09 agosto 2007

Nuova emergenza diritti umani USA. Salviamo K. Foster


Salviamo Kenneth Foster. Condannato a morte nel Texas senza aver ucciso nessuno.
Se volete partecipare alla petizione cliccate qui.

Da Repubblica.it

ROMA - Non ha ucciso nessuno, non è neanche il complice di un omicidio, eppure il 30 agosto Kenneth Foster, 30 anni, sarà giustiziato. La sentenza ha applicato una legge vigente solo in Texas, in base alla quale una persona "è responsabile di un crimine commesso da altri qualora egli abbia agito con l'intenzione di promuovere o assistere il compimento di tale crimine". Foster era alla guida dell'auto che è servita alla fuga di Maurice Brown, esecutore materiale di una rapina degenerata in omicidio, giustiziato per questo delitto alcuni anni fa.

Brown tentò di rapinare un giovane, ma qualcosa andò storto, fece fuoco e lo uccise. Per tutto il tempo Foster che, in base alla testimonianza dello stesso Brown e dell'altra persona che era in macchina, non si mosse da posto di guida. Ignorava inoltre le intenzioni del suo amico.

Ma il padre del giovane ucciso, avvocato molto abile e tra i più noti di San Antonio, riuscì a dimostrare che Foster aveva progettato l'omicidio insieme a Brown, e questo è stato sufficiente per arrivare alla condanna a morte considerato che, come affermano i tanti attivisti contro la pena di morte che hanno seguito il caso anche in Italia, il condannato è nero, povero, viene da una famiglia particolarmente disastrata e non era in grado di pagarsi avvocati sufficientemente abili.

Kenneth è figlio di genitori tossicodipendenti. Sua madre, una prostituta, è morta di AIDS quando lui aveva 17 anni. E' stato cresciuto da diversi parenti, tra i quali il nonno paterno, che lo ha aiutato a finire la scuola superiore e ad entrare al college. Aveva solo 19 anni al momento del crimine, andava al college ed era un musicista di talento (partecipava a una locale "street gang", l''origine del suo destino)".

Foster ha usato in modo proficuo i suoi 11 anni in carcere: ha studiato teologia, filosofia, yoga, sociologia ed diventato anche un esperto sulle leggi del Texas. Insieme ad altri compagni di prigionia ha fondato "Drive", un movimento che si oppone alla pena di morte in modo pacifico, combattendo fino alla fine.

Molte manifestazioni e campagne d'opinione sono state promosse in suo favore, negli Stati Uniti e, recentemente, anche in Italia. Esistono diversi siti, di lingua inglese, italiana, francese e tedesca nei quali si può trovare il modulo per inoltrare un appello al governatore del Texas, che finora si è mostrato sordo a queste sollecitazioni. Del resto il Texas, sottolineano gli stessi giornali, è lo stato capofila per la rigida applicazione delle leggi sulla pena di morte. Secondo il sito statunitense Associated Content, tra l'altro, ci sono tra gli 80 e i 100 condannati in attesa di essere giustiziati, che sono stati condannati senza aver ucciso nessuno. Si tratta di situazioni simili a quelle di Foster, cadute sotto la 'Law of parties'.

Recentemente c'è stato un appello di alcuni parlamentari italiani di vari partiti, che hanno aderito all'appello del comitato italo-americano Paul Rougeau. Inoltre il 30 luglio il Consiglio regionale del Veneto ha approvato a maggioranza una risoluzione rivolta al governo, perché intervenga per impedire l'esecuzione.

Le emittenti televisive La7 e MTV hanno promosso inoltre sui rispettivi siti Internet una campagna video a favore di Foster. La storia del giovane è raccontata in due documenti video di 50" ciascuno; inoltre si può scaricare una lettera da firmare e inviare al governatore del Texas Rick Perry per chiedere l'annullamento dell'esecuzione fissata per il 30 agosto.

Sul sito www.freekenneth.com si possono leggere gli scritti del giovane condannato. Tra questi c'è anche una lettera indirizzata al governatore del Texas: "La mia sola preghiera - scrive Foster è quella di avere la possibilità di prendermi cura della mia figlioletta (che ha 11 anni, ndr) che sarà così profondamente ferita se rimarrà senza suo padre. Non chiedo la libertà. Voglio pagare per quello che ho fatto. Ho guidato un'automobile permettendo a un uomo di rapinare altre persone. Ma questo non è un crimine capitale".

(8 agosto 2007)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo...
In quanto simpatizzante dei Radicali Italiani sostengo convintamente la loro battaglia per l'abolizione della pena di morte...
In ogni Stato...
Visto che ti sta tanto a cuore il rispetto dei diritti umani perchè parli sempre e solo degli Usa e mai di quanto segue?!?
Mi sembra che la loro violazione sia molto più grave in Iran che non negli Usa!...

Anonimo ha detto...

Un quotidiano chiuso per aver intervistato una poetessa lesbica. Un ragazzo finito in commissariato dopo aver affisso un volantino per ritrovare quella «bestia impura» del suo barboncino smarrito. Le donne di Isfahan costrette a dimenticare le biciclette e le loro pruriginose pedalate. Diciassette adolescenti tra i 13 e i 17 anni sbattuti in (galera dopo uno sconcio “festino promiscuo”. La campagna moralizzatrice lanciata dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad con l’approvazione della suprema Guida Ayatollah Alì Khamenei e l’indefessa collaborazione di polizia e servizi di sicurezza marcia a gonfie vele.

Ai primi di Mordad, il mese iraniano che inizia il nostro 23 luglio, le autorità avevano rinnovato gli avvertimenti, ma tutti avevano pensato al solito rituale, alla consueta sceneggiata estiva contro veli e mantelli troppo corti seguita dall’usuale tolleranza. La repressione di giornalisti poco allineati, studenti d’opposizione e militanti troppo critici, andava di pari passo – finora - con una certa accondiscendenza in campo sociale. Lo chiamavano modello cinese. Era la ricetta dei conservatori pragmatici, contrari alle riforme, ma convinti che un controllato lasseiz-faire evitasse rivolte plateali garantendo lunga vita al regime. Anche dopo l’elezione del presidente pasdaran tutto era continuato come prima. Lunghe chiome tinte strabordavano da veli multicolori. Seni e sederi disegnavano curve vellutate su mantelli corti e attillati. Caviglie e piedini dalle unghie tinte sbucavano dai calzoni al polpaccio e svettavano su tacchi e sandali aperti. Con i primi di Mordad tutto è finito. Il capo della polizia Ahmed Reza Radan ha dichiarato guerra agli abiti indecenti delle peccatrici e ai pervertiti tagli di capelli occidentali così di moda tra gli adolescenti della capitale. Subito dopo i «monkerat», le pattuglie specializzate nella lotta al vizio, hanno assunto il controllo di parchi e strade.

Ma il giro di vite supera le più pessimistiche previsioni. L’arresto di 230 giovani sorpresi a un ritrovo rock fuori dalla capitale è stato seguito da una serie di irruzioni in case private durante le feste del fine settimana. Nel corso di questi assalti ai covi della promiscuità, gli specialisti dei monkerat hanno individuato nove ragazzini e otto fanciulle tra i 13 e i 17 anni intenti a ballare e consumare alcolici in una villa di Teheran. Inevitabile l’arresto e probabile, dopo il rifiuto della libertà provvisoria, la condanna a una pena fino a tre anni. Ancor più inatteso il rigore della campagna anti-animali domestici. Benché il capo della polizia Reza Radan avesse rammentato la regola islamica che proibisce di accompagnarsi ad animali impuri, nessuno pensava di finir in galera per aver dimostrato troppo attaccamento a un barboncino. Si sbagliava. Chiedere informazioni per ritrovare un animale smarrito e dimostrargli affetto equivale infatti a «incoraggiare la detenzione di questi animali» e quindi «favorire la corruzione».

A Isfahan la polizia guida invece la lotta alle «sconvenienti abitudini» delle femmine locali convinte di poter bighellonare su biciclette, pattini e monopattini. In attesa dell’annunciata produzione di una «bicicletta islamica», capace di celare dietro una morigerata cabina le pruriginose mosse delle cicliste, la questura di Isfahan ha ripristinato le regole degli anni Ottanta promulgando l’assoluto divieto di pedalata per le sue cittadine.

Sul fronte politico l’indicatore più negativo è la chiusura, per la seconda volta, di Shargh, il quotidiano dei conservatori moderati dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani. L’editto di censura segue l’intervista a Saghi Ghaherman, una poetessa iraniana esule in Canada e paladina, dalle pagine del suo sito internet, dei diritti di omosessuali e lesbiche. Nell’intervista di una pagina, la signora Ghaherman si limita a invocare confini sessuali «flessibili» e Mehdi Rahmanian, direttore di Shargh si affretta a precisare di averla sentita soltanto in quanto poetessa. Non basta. Il quotidiano conservatore Kayhan, assai vicino alla Suprema Guida, denuncia l’intervista a una «controrivoluzionaria a capo dell’organizzazione iraniana delle lesbiche». Contemporaneamente l’organo di controllo della Guidanza Islamica vota la chiusura del quotidiano colpevole di «promuovere l’immoralità».

Per molti osservatori la chiusura rappresenta solo la prima mossa anti-Rafsanjani in vista delle votazioni – a partire dal 23 agosto - per la nomina del presidente dell’Assemblea degli Esperti. Il nemico numero uno di Ahmadinejad è infatti il grande favorito nella corsa per la presidenza dell’influente organo di controllo costituzionale a cui spetta, tra l’altro, la nomina della Suprema Guida.

Jean Lafitte ha detto...

assolutamente le violazioni dei diritti umani sono importanti in tutto il mondo. ma quando succedono in casa nostra, gli stati uniti è come se fosse casa nostra, è più importante da segnalare. nessuno di noi prende ad esempio da seguire l' Iran, molte delle persone che incontri nei vari blog e forum sono fan sfegatatie invitano a seguire l'esempio americano. che come vedi non sempre è molto edificante.