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12 ottobre 2010

Perché Liu Xiaobo ha conseguito il «Premio Nobel per la pace»


Nel 1988 Liu Xiaobo dichiarò in un’intervista che la Cina aveva bisogno di essere sottoposta a 300 anni di dominio coloniale per poter diventare un paese decente, di tipo ovviamente occidentale. Nel 2007 Liu Xiaobo ha ribadito questa sua tesi e ha invocato una privatizzazione radicale di tutta l’economia cinese.
Riprendo queste notizie da un articolo di Barry Sautman e Yan Hairong pubblicato sul «South China Morning Post» (Hong Kong) del 12 ottobre.
Non si tratta di un giornale allineato sulle posizioni di Pechino, che anzi in questo stesso articolo viene criticato per aver colpito un’opinione sia pure «ignobile» con la detenzione piuttosto che con la critica.
Da parte mia vorrei fare alcune osservazioni. Anche sui manuali di storia occidentali si può leggere che, a partire dalle guerre dell’oppio, inizia il periodo più tragico della storia della Cina: un paese di antichissima civiltà è letteralmente «crocifisso» – scrivono storici eminenti; alla fine dell’Ottocento, la morte in massa per inedia divene noioso affare quotidiano. Ma, secondo Liu Xiaobo, questo periodo coloniale è durato troppo poco; avrebbe dovuto durare tre volte di più! Il meno che si possa dire è che siamo in presenza di un «negazinionismo» ben più spudorato di quello rimproverato ai vari David Irving. Ebbene, l’Occidente non esita a rinchiudere in galera i «negazionisti» delle infamie perpetrate ai danni del popolo ebraico, ma conferisce il «Premio Nobel per la pace» ai «negazionisti» delle infamie a lungo inflitte dal colonialismo al popolo cinese! Purtroppo, in modo non molto diverso si atteggia spesso la sinistra occidentale, che si è ben guardata dal condannare l’arresto a suo tempo di David Irving e di altri esponenti della stessa corrente ancora in stato di detenzione, ma che in questi giorni inneggia a Liu Xiaobo.
Quest’ultimo, peraltro, non si è limitato a esprimere opinioni, sia pure «ignobili» (come riconosce il South China Morning Post»). Dopo aver invocato nel 1988 tre secoli di dominio coloniale in Cina, l’anno dopo è ritornato di corsa (di sua spontanea iniziativa?) dagli Usa in Cina, per partecipare alla rivolta di Piazza Tienanmen e impegnarsi a realizzare il suo sogno. E’ un sogno per la cui realizzazione egli continua a voler operare, come dimostra la sua celebrazione (in un’intervista del 2006 a una giornalista svedese) della guerra Usa per l’esportazione della democrazia in Iraq. Come si vede, siamo in presenza di un personaggio che contro il suo paese invoca direttamente il dominio coloniale e, indirettamente la guerra d’aggressione. E’ un sogno che gli ha procurato al tempo stesso la detenzione nelle galere cinesi e il «Premio Nobel per la Pace».



Un Nobel per lo yuan



di Pietro Garante
Quando ero ragazzo e si davano i Nobel per la Pace al dottor Schweitzer e a Martin Luther King, o a Linus Pauling, credevo che quel premio avesse un senso umanitario.
Ero giovane ed ingenuo, ma anche i tempi erano oggettivamente diversi: il mondo era stabile sotto il duopolio USA-URSS e l’Occidente accumulava capitalisticamente con grande lena, coordinato, guidato e protetto dagli Stati Uniti.
Poi venne una stagione fitta di Nobel dati a politici e capi di stato (era già avvenuto in precedenza, ma con moderazione). Vedemmo allora premiati il dottor Kissinger assieme al vietnamita Le Duc Tho, che però rifiutò il premio, e poi Begin assieme a Sadat, per aver fatto la pace tra Israele ed Egitto, o Peres, Rabin e Arafat per aver fatto finta di far la pace tra Israeliani e Palestinesi. Mi “reprimono” un pò questi premi, ma con un pò di cinismo e di realpolitik possiamo capirne il senso, per lo meno formale.
Da quando siamo nel pieno dei sommovimenti tellurici dovuti al crollo dell’URSS e al conclamarsi della crisi planetaria dell’egemonia USA, vediamo invece un progressivo affollarsi di premi dati ai “dissidenti”, ovvero a coloro che criticano i governi (solitamente detti “regimi”) che danno fastidio agli Stati Uniti (col recentissimo entr’acte esilarante di un premio Nobel preventivo per la Pace assegnato al guerrafondaio Barack Obama).
Capostipite fu Sakharov, poi venne il polacco Wałęsa, poi il Dalai Lama, quello che ha dovuto ammettere di essere stato per anni sul libro paga della CIA al suon di 180.000 dollari all’anno, poi la birmana Aung San Suu Kyi, dolce e non-violenta leader di un partito, la National League for Democracy, con filiali a Washington, capitale di un noto Paese non-violento; poi l’iraniana Shirin Ebadi ed ora il cinese Liu Xiaobo.
Tutte persone con buone ragioni per voler dissentire dai loro governi. Tutte persone scelte, tra le mille possibili, con serissimi criteri geopolitici, per essere laureate Nobel per la Pace da parte del Norwegian Nobel Committee.
Scelte che si sono spesso associate a tentativi concreti di rovesciare governi, regimi, poteri. Sempre in una stessa identica direzione: quella in cui si deve in un modo o nell’altro “esportare la democrazia”.
Ecco allora la “rivoluzione verde” iraniana, la rivolta dei monaci in Tibet, quella dei monaci nel Myanmar, quella degli Uiguri nello Xinjiang (che però è finita sotto silenzio appena è saltato fuori che in realtà erano gli Uiguri a massacrare i cinesi Han – viva l’obiettività).
Gli USA hanno sviluppato tecniche, una volta abbastanza raffinate ma ormai sputtanate dalla ripetitività, per far leva sui malumori di minoranze o ceti sociali e sfruttarli nei loro giochi politici e geopolitici. L’Einstein Institution, col suo corredo di false ONG, è l’esempio apodittico di fucina di queste tecniche (ne parlò anche un servizio di “Report”).
I media allineati e gli intellettuali allineati (praticamente tutti, con una percentuale che rasenta il 100% tra quelli cosiddetti “progressisti”) fanno da cassa di risonanza di queste tecniche, così come il solito pittoresco jet-set di nani e ballerine, il cui leader indiscusso è il canterino miliardario Bono.
Ecco l’origine del politically correct, che ha fatto della sinistra radicale un luogo di aristotelica corruzione culturale e politica (si pensi a un Kouchner o ad un Cohn Bendit, o ai nostri meno illustri Sofri, Mieli, Annunziata, Nirenstein), o dove si agitano generosi useful idiots, e di quella non radicale un luogo di diretto asservimento alle mene di potenza statunitensi.
Piazza Tienanmen fu innanzitutto un profondo scontro di potere all’interno del Partito Comunista Cinese. Poi un tentativo da parte di poteri politici, economici e finanziari internazionali di ripetere il processo che stava frantumando il blocco sovietico e che da lì a poco avrebbe portato al collasso dell’URSS, ad alcuni milioni di morti per indigenza e all’aumento del 13% della mortalità nell’ex impero sovietico (e a tal fine cercarono di mobilitare anche Gorbaciov, che guarda caso l’ anno dopo ricevette il Nobel per la Pace). Infine Piazza Tienanmen fu il tentativo del nuovo ceto medio cinese che si stava sempre più prepotentemente formando, e che come in Iran aveva un punto di forza nelle Università, di ottenere più gradi di libertà e privilegi.
Un ceto medio in progressiva ascesa, le cui pulsioni “democratiche” sono state tacitate più dall’enorme arricchimento reso possibile proprio grazie alla sconfitta del tentativo di Tienanmen, che non dalla repressione. Per il futuro si vedrà.
Come al solito gli “idealisti” ci lasciano le penne, perché si trovano, il più delle volte senza rendersene conto, nel bel mezzo dello scontro tra grandi poteri ed enormi interessi.
Ci lasciano le penne perché finiscono soli, uccisi o dietro le sbarre. Oppure perché ricevono un pelosissimo premio che li equipara ad un semplice termine di negoziazione per ottenere la rivalutazione dello yuan (il Corriere della Sera era addirittura sfrontato nell’accostare le due cose il giorno dopo il premio).
Mammona ha vinto ancora: stavolta il Nobel per la Pace.
Chissà perché il Nobel non è mai stato dato alla dissidente anticapitalista e antimperialista Silvia Baraldini condannata a 43 anni di carcere negli Stati Uniti, e ivi imprigionata in condizioni terribili per 16 anni?

Sull'argomento leggere anche questo post

09 ottobre 2010

Ancora sul Nobel a Liu Xiaobo





"Un Nobel contro la Cina"



I falchi a Pechino temono un complotto occidentale dietro il premio per la pace dato al dissidente Liu Xiaobo
di Francesco Sisci

PECHINO -- L’ex cancelliere Helmut Kohl, l’altro candidato al premio Nobel per la pace, quello bocciato dall’accademia di Oslo, ha riunificato la Germania dopo mezzo secolo di separazione per la guerra fredda, ha iniziato il processo di consolidamento economico e politico dell’Unione europea, ha portato il popolo tedesco a emergere pacificamente nel mondo, lasciandosi alle spalle la sanguinosa eredità di due guerre mondiali.
Invece cosa ha fatto Liu Xiaobo, il dissidente cinese che ieri ha vinto il Nobel, che 20 anni fa dopo il movimento di Tiananmen era una personalità di spicco, ma oggi è isolato?, si domandano intellettuali cinesi organici al partito.
Questi sono anche le persone che 20 anni fa avevano conosciuto Liu Xiaobo in piazza e oggi temono complotti occidentali anticinesi molto di più che lo strapotere del PC. Anche allora, ai tempi del movimento, Liu non era il personaggio di maggior rilievo, quello con il più grande seguito. È però quello che è rimasto in Cina, non ha voluto andare all’estero.
Tanta gente comune alza le spalle sulle questioni dei diritti umani, e si preoccupa solo di come mettere da parte i soldi per comprarsi la prima o la seconda casa, la prima o la seconda automobile.
Allora perché dare il premio a Liu oggi invece che dieci anni fa, quando i diritti umani in Cina erano peggiori di oggi? Perché prima o dopo il premio a Sacharov i norvegesi non hanno premiato un cinese, vittima degli orrori della rivoluzione culturale?
I tanti falchi nazionalisti del partito ne sono sicuri, il premio è arrivato oggi perché è in atto una cospirazione contro Pechino. La Cina è colpevole agli occhi dell’occidente di essere emersa troppo rapidamente con la sua economia, mentre l’occidente è impantanato in una crisi economica dai confini vaghi,  e di avere una linea politica troppo indipendente.
In effetti con il nobel a Liu Xiaobo, la Cina del 2010 viene messa nello stesso rango della Birmania del 1991, che ancora tiene in carcere la Aung An Suu Kyi, dell’URSS che deteneva nel 1975 Andrei Sacharov, o la Germania nazista che aveva rinchiuso in un campo di concentramento nel 1935 lo scrittore Carl von Ossietzky. I precedenti paiono incoerenti con la Pechino punteggiata di bar, neon, ristoranti, discoteche, ragazzi e ragazze che nelle notti inseguono relax e divertimento.
Questo Nobel pare la fine di un periodo di tregua ininiziata con l’attentato alle torri gemelle di New York l’11 settembre del 2001. Da allora l’occidente aveva distolto la sua attenzione dalla Cina per concentrarsi sulla minaccia islamica, potentissima e reale con le migliaia di morti rovesciati nella capitale morale d’America.
Oggi invece la minaccia islamica appare ridimensionata, sotto controllo e per certi versi non così grave. La guerra in Iraq è stata dichiarata finita, e anche quella infinita, e forse infinibile, dell’Afghanistan è stata messa in un angolo. Sono problemi locali, mal di testa, ma quattro etremisti esaltati non cambieranno gli equilibri mondiali.
Invece a luglio la notizia che il prodotto interno lordo cinese aveva davvero sorpassato quello americano è un’altra cosa. Come la Cina oggi ha superato il Giappone domani potrebbe superare gli Usa. Questo ha riportato la Cina, e i suoi tanti problemi irrisolti, al centro dell’attenzione. In fondo l’occidente aveva già provato l’efficacia di un Nobel per la pace contro Pechino, dandolo nel 1990 al leader tibetano il Dalai Lama.
Potrebbero essere tesi peregrine, ma al di là dei fantasmi cospiratorii dei non pochi nazionalisti cinesi, rimane il problema che la difficoltà e l’imbarazzo attuale della Cina sono raddoppiate a causa delle minacce lanciate nei giorni scorsi da Pechino contro Oslo. La Cina nei giorni scorsi infatti aveva tuonato contro la candidatura di Liu e aveva annunciato ritorsioni commerciali contro la Norvegia in caso di premio. Pechino oggi si è dimostrata debole perché aveva urlato contro Oslo e perché gli urli sono stati ignorati.
Questa debolezza potrebbe versare nuova benzina sul fuoco nazionalista, e Pechino potrebbe ulteriormente irrigidirsi, per cercare di compensare con un atteggiamento di facciata allo smacco subito. Oppure potrebbe guidare un ripensamento profondo della gestione della politica estera.
Pechino potrebbe capire che gli urli sono controproducenti in ogni caso, perché se qualcuno li ascolta non ne è persuaso ma solo intimorito e creano dissenso e un’immagine internazionale fosca del paese. Se gli ulti non li ascolta dimostrano debolezza. Il caso di Taiwan è lampante. L’isola si è allontanata fin tanto che Pechino minacciava, quando Pechino ha addolcito i toni, l’isola si è avvicinata.
Se questo era il fine degli accademici di Oslo, allora sì probabilmente avranno ottenuto il loro scopo: il premio a Liu potrebbe essere una scossa profonda alla Cina. Ricchezza e potere della Cina rischiano di essere infangati da un gruppo di vecchi parrucconi di una città quasi ai confini del mondo se non qualcosa non si ripensa profondamente a Pechino.






Silvia Baraldini e Liu Xiaobo (da Medioevo Sociale)

Il Presidente Obama "intima" alla Cina la immediata scarcerazione di Liu Xiaobo l'indomani del conferimento del premio Nobel per la Pace. Liù Hiaobo è una delle figure più significative di Tien An Men ed è diventato nel corso degli anni una vera propria icona dell'Occidente come la Betancourt, la signora birmana San Suu Kui, Neda e poi Sakineh,
il Dalai Lama ed i suoi monaci che vogliono tornare al potere in Tibet, ed altre figure ancora che servono ad attizzare odio verso paesi o regimi mal sopportati dagli Usa.
Io sono per la difesa dei diritti civili ed umani, ma per la loro universale applicazione. Non si può combattere per i diritti soltanto in determinate direzioni e soltanto contro certe realtà ma dappertutto ed in tutte le circostanze. I diritti civili ed umani non debbono essere strumentalizzati per umiliare le nazioni che si vogliono mettere in difficoltà o legare alla colonna infame dell'obbrobrio, della riprovazione generale.
Ricordo che gli USA non hanno le carte in regola per contestare alla Cina o all'Iran o ad altri comportamenti lesivi dei diritti umani. La nostra connazionale Silvia Baraldini è stata tenuta prigioniera negli USA per circa venti anni, detenuta in diverse prigioni e sottoposta a regime durissimo ed a torture per periodi prolungati di tempo. Non aveva mai commesso alcun delitto, alcun fatto di sangue: era attivista ed ideologa dei diritti degli afroamericani, diritti negati tuttora dal momento che la stragrande maggioranza dei tre milioni di detenuti americani sono neri e vengono utilizzati per lavori coatti appaltati da privati. E' vero che il Presidente degli USA è nero ma la sua elezione ha portato lustro soltanto alla parte alto borghese e non a tutti i neri. Obama è nero ma la sua politica e la sua ideologia sono wasp del tutto bianche e delle tradizioni più intransigenti del capitalismo.
Silvia Baraldini è stata detenuta dal 1983 al 1999. Fu estradata in Italia con l'impegno del nostro Governo di farle completare i 43 anni di detenzione alla quale era stata condannata dal tribunale americano. Gli USA hanno cercato di fare impazzire Silvia Baraldini.
"La censura operata sulla sua posta, la durissima restrizione nei rapporti con l’esterno, con i propri parenti, compresa l’anziana madre, sono nulla se paragonati alle vere e proprie torture che subisce: per tre mesi consecutivi le applicano l’interruzione costante del sonno. La svegliano ogni 20 minuti. La guardia arriva, apre la porta e le punta sul viso un fascio di luce con la propria torcia. Se non si sveglia, fa chiasso e fa in modo che il suo debole dormiveglia venga sempre sistematicamente interrotto. Al contempo la deprivano della luce, le impediscono di riconoscere i colori, la circondano di un alone separatorio con tutto ciò che può essere il contatto mentale tra la realtà e la cella."


Attualmente molti prigionieri politici privi di ogni diritto perchè etichettati come "terroristi" sono detenuti a Guantanamo ed in altre carceri segrete sparse per il mondo. Sottoposti a torture di vario genere a cominciare di quella famigerata detta waterboarding.
Subiscono umiliazioni allo scopo di piegarne l'autostima e di ridurli alla sottomissione totale. Non sono assistiti da legali e non hanno rapporti con la famiglie. Quando vengono
liberati si trovano sdradicati e sospesi nel vuoto dal momento che tutti rifiutano di riceverli
appunto perchè criminalizzati e circondati di una sinistra fama. Anche se liberi saranno civilmente morti.
Non abbiamo mai sentito la voce di un detenuto di Guantanamo e mai la sentiremo. E' come se fossero morti anche se continuano a vivere sotto la stretta sorveglianza di militari che spesso si comportano con sadismo, senza un briciolo di umanità.
Pietro Ancona
.
http://it.wikipedia.org/wiki/Silvia_Baraldini
http://www.donvitaliano.it/?p=265


INOLTRE SULL'ARGOMENTO SI E' ESPRESSO, COME SEMPRE MIRABILMENTE, DOMENICO LOSURDO (CLICCARE SU QUESTO LINK).

08 ottobre 2010

Liu Xiaobo: questo sconosciuto

Oggi tutti a pontificare su questo Liu, e quasi nessuno di loro ne aveva mai sentito parlare e men che meno sa che cosa abbia realmente fatto in vita sua. Noi ne avevamo già parlato qui, dove potete trovare anche il testo tradotto della sentenza. Sentenza emanata regolarmente da un tribunale , non dal "regime", sentenza che condanna Liu al minimo della pena prevista per uno solo dei reati a lui ascritti. Pensatela come volete, per i cinesi è un criminale comune e infatti , come si può leggere anche nella sentenza , la libertà di opinione non c'entra nulla col fatto che Liu sia in carcere. Se lo ricordi il signor Obama, quello che non ha fatto NULLA, per Teresa Lewis.
Dal loro punto di vista, e anche dal mio, i cinesi hanno tutte le ragioni del mondo per indignarsi per una scelta del genere. Come se loro incominciassero a dare premi a Bin Laden o a qualcuno del genere.
Il sospetto che la geopolitica si sia insidiata pesantemente nelle recenti decisioni per i premi Nobel è un sospetto diffiuso e che riguarda anche altre assegnazioni.

30 dicembre 2009

Liu Xiaobo: il testo della sentenza


dal blog CaraCina

Traduco, con qualche taglio, il testo della sentenza nel processo a carico di Liu Xiaobo, condannato a undici anni il 25 dicembre 2009 a Pechino. Devo dire che leggendo un testo di questo tipo, per la prima volta mi sono reso davvero conto di cosa significhi essere processati per le proprie parole. Mai le virgolette ” ” mi sono apparse così… spietate.



Sentenza penale della Prima Corte Popolare Intermedia di Pechino

[…] Imputato Liu Xiaobo, maschio, 53 anni (nato il 28-12-1955), di etnia Han, nato a Changchun, provincia di Jilin, Dottore di ricerca, non impiegato, domiciliato presso […] Nel gennaio 1991 viene graziato da sanzione penale dopo attività di propaganda controrivoluzionaria. Nel settembre 1996 viene condannato a tre anni di rieducazione attraverso il lavoro per cospirazione contro l’ordine sociale. Sospettato di tentata istigazione alla sovversione dell’ordine statale è colpito da provvedimento di custodia l’8 dicembre 2008; dal 9 dicembre 2008 è agli arresti domiciliari; il 23 giugno 2009 viene tratto in arresto. E’ attualmente detenuto a Pechino fra gli attendenti giudizio di primo grado.

Gli avvocati difensori sono […]

Il primo collegio della Procura del Popolo della città di Pechino […] accusa l’imputato Liu Xiaobo di incitamento alla sovversione dell’ordine dello Stato. La requisitoria ha avuto luogo il 10 dicembre 2009 presso questa Corte. Il collegio giudicante si è riunito in conformità con la legge [….] e si è giunti alla conclusione del processo.

Secondo l’accusa della Procura l’imputato Liu Xiaobo ha manifestato insofferenza rispetto al sistema di governo del Paese fondato sulla dittatura democratica popolare (人民民主专政) e nei confronti del sistema socialista. Dal 2005 ha pubblicato su siti internet stranieri come Observe China e BBC China i seguenti articoli incitanti alla sovversione: Il patriottismo dispotico del partito comunista cinese; Perchè al popolo cinese è concessa soltanto la democrazia del partito unico?; Cambiare la società per cambiare il regime; I molti volti della dittatura del partito comunista cinese; Gli effetti negativi della dittatura sulla democrazia nel mondo; Indagini in corso sui casi di bambini schiavizzati nelle miniere;

In tali articoli spargeva voci calunniose come:

- “Da quando il partito comunista cinese è al potere, le varie generazioni di autocrati si sono sempre e soltanto preoccupate di mantenere il potere nelle loro mani, senza curarsi minimamente dellla vita delle persone”.

- “Il patriottismo promosso dai quadri del regime guidato dal partito comunista cinese si fonda sull’assurdo proposito di ‘reggere il paese attraverso il partito’; la sostanza di tale patriottismo è che il popolo deve amare il regime, la dittatura e i dittatori, con ciò ci si appropria di un tal valore per portare in rovina il paese e il popolo.”

- “I metodi usati dal partito comunista cinese sono i classici espedienti che i dittatori usano per mantenere sino alla fine il potere. Ma numerose crepe intaccano oramai il palazzo del regime cui s’aggrappano senza modo di perdurare a lungo.”

E istigava esprimendosi in questi termini:

- “Cambiamo la società e cambieremo questo regime”

- “Le speranze per la nascita di una Cina libera non risiedono tanto in un rinnovamento da parte dei governanti, quanto piuttosto nell’inarrestabile diffondersi di nuova energia popolare.”

Fra settembre e dicembre 2008 l’imputato Liu Xiaobo, assieme ad altri, ha redatto la “Carta 08” con i propositi dichiarati di: “cancellare il privilegio del partito unico a governare ininterrotamente” e “istituire attraverso un impianto democratico costituzionale una Repubblica Federale Cinese”. Propositi che, assieme ad altri, incitavano alla sovversione del potere vigente. Liu Xiaobo, dopo aver raccolto oltre 300 adesioni, le ha fatte pervenire tramite posta elettronica, assieme alla “Carta 08”, a siti stranieri come Minzhu Zhonguo [Cina Democratica] e Indipendent Chinese Pen Center dove sono state pubblicate.

L’imputato Liu Xiaobo, dopo aver commesso il crimine, è stato fermato e assicurato alla giustizia. La Procura del Popolo della città di Pechino ha portato a questa Corte le deposizioni di testimoni atte a dimostrare la colpevolezza dell’imputato; raccolto informazioni sulle circostanze del crimine; vagliato i documenti e i dati elettronici […] e ritiene che la condotta dell’imputato Liu Xiaobo costituisca una violazione degli articoli (nota di Jean Lafitte: gli articoli in questione sono il 103-106) del Codice Penale della Repubblica Popolare Cinese, configurando il reato grave di incitamento alla sovversione dell’ordine statale. […] L’imputato Liu Xiaobo nel corso dell’udienza si è professato innocente sostenendo di aver semplicemente esercitato il diritto alla libertà d’espressione sancito dalla costituzione e di non aver arrecato danno a nessuno con le sue critiche né di aver mai incitato alla sovversione dell’ordine statale. L’avvocato difensore dell’imputato ha aggiunto che nel testo di “Carta 08” non compaiono contenuti mezogneri, né calunniosi o diffamatori. […]

I fatti summenzionati sono confermati dai dati seguenti: [segue in dieci punti un elenco dettagliato che riguarda i conti in banca dell’imputato, i soldi provenienti dall’estero come compenso per i suoi scritti, i dettagli sulla sua utenza internet, tutti i siti cinesi ed esteri in cui sono comparsi i suoi scritti, tutti gli elementi sospetti emersi dalle sue conversazioni skype, email e dai dati salvati nei suoi computer, le testimonianze di persone che hanno discusso con lui riguardo a “Carta 08”, la lista dei titoli degli articoli incriminati, ecc..]

La procura ritiene che l’imputato aveva come obiettivo il sovvertimento del governo nazionale fondato sulla Dittatura Democratica del Popolo e del sistema socialista. Ha approfittato di un veloce sistema per trasmettere informazioni come Internet, di mezzi di diffusione ad ampio raggio, di una elevata capacità di influenza sulla società, di un’elevata attenzione da parte dell’opinione pubblica. Ha diffamato e sollecitato al rovesciamento dell’ordine statale vigente e del sistema socialista attraverso articoli e appelli in rete. Con ciò ha tenuto una condotta che profila il reato di incitamento alla sovversione dell’ordine statale vigente, crimine che si è perpetrato per un tempo lungo e con una malignità soggettiva elevata. E’ stato inoltre sottolineato che gli articoli pubblicati hanno avuto un’estesa diffusione, sono stati linkati e ripubblicati più volte, arrecando un’influenza estremamente negativa. Egli perciò viene considerato fra coloro i quali si sono macchiati di reati gravi e perciò, in conformità con la legge, va trattato con severità. L’impianto accusatorio a carico dell’imputato Liu Xiaobo, per come descritto dalla Procura, appare chiaro nei fatti, ampliamente documentato e perciò sussistente.

Ascoltate ed esaminate nel corso del dibattimento le discolpe dell’imputato Liu Xiaobo, le istanze della difesa, i fatti accertati e le testimonianze, la Corte ha ritenuto abbondantemente dimostrato che l’imputato Liu Xiaobo [….] si è reso colpevole del reato di incitamento alla sovversione dell’ordine statale vigente e del sistema socialista, con una condotta ben oltre i confini della libertà d’espressione. Pertanto le istanze difensive presentate dall’imputato e dai suoi avvocati non possono essere accettate. Considerati entità, natura, circostanze e grado di pericolosità sociale del reato ascritto all’imputato Liu Xiaobo, la Corte, in conformità con gli articoli […] del Codice Penale della Repubblica Popolare Cinese, giudica:

1) L’imputato Liu Xiaobo colpevole del reato di incitamento alla sovversione dell’ordine statale vigente, lo condanna a una pena di undici anni di detenzione e lo priva dei suoi diritti politici per dodici anni. (La detenzione viene calcolata tenendo conto della custodia scontata prima del processo […] quindi dal 23 giugno 2009 al 21 giugno 2020).

2) [indicazioni per fare appello e conferma del sequestro dei computer]

25 dicembre 2009 [….]

IL COMMENTO DI JEAN LAFITTE.
Per la propaganda occidentale Liu è una povera vittima del "regime", il "regime" condanna Liu etc.... come se non fosse stato un tribunale ma Hu Jintao a condannarlo. E soprattutto come se questo signore non avesse più e più volte violato la legge del suo paese, da vero criminale incallito. Ma tutti molto indulgenti nei suoi confronti, gli stessi magari pronti a condannare il raptus estemporaneo di Tartaglia come fosse il peggiore dei criminali.
Certo possiamo discutere sulla giustezza di alcune norme penali in Cina (ma non venitemi a parlare di reati di opinione, qui non c'entrano nulla), noi, giusto per parlare: non certo gli ambasciatori o gli altri Stati.
Ogni paese si scegli le sue norme, la Cina ha le sue e Liu è tenuto a rispettarle come tutti, anche se non sono di suo gradimento. Se poi ritiene di fare la rivoluzione e violarle, faccia pure, ma sappia che se la sua rivoluzione fallisce lo stato che lui tenta di sovvertire verrà a chiedere il conto. Manco lo avessero condannato a morte!
Ha preso il minimo della pena prevista per questi reati: ma dov'è lo scandalo?