Visualizzazione post con etichetta Asia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Asia. Mostra tutti i post

13 luglio 2011

Lo scandalo dell’antimodernità: Fini e il Mullah Omar

Di Giuseppe Gallo.


L’ultimo libro del grande giornalista ricostruisce la storia dei talebani, mettendone in risalto gli aspetti politici propri di un movimento nazionalista di tipo radicale. Ma sottolinea anche il carattere provocatorio che il loro modello pauperistico di società ha finito con l’assumere agli occhi dell’Occidente dominato dalle leggi dell’economia.

A furia di inseguire un pericolo immaginario, inAfghanistan gli americani hanno finito col crearne uno reale. È la tesi sostenuta da Massimo Fini in Il mullah Omar (Marsilio, pp. 178, euro 16,50). E l’incursione all’Hotel Intercontinental di Kabul nella notte fra il 28 e il 29 giugno sembra offrirle un ulteriore motivo di credito. L’obiettivo del resto non era civile ma politico-militare: il lussuoso albergo ospitava infatti i membri del governo, i vertici delle forze di sicurezza e i governatori delle province riuniti per la conferenza che dovrà guidare la transizione.

La differenza è importante. Perché il movimento talebano è anzitutto un movimento nazionalista, che si ribella agli occupanti e aspira a ripristinare le antiche tradizioni del Paese, ma è estraneo al terrorismo internazionale. Tutta la retorica della guerra umanitaria si scontra contro questo dato di fatto. Non c’era nessun afghano nei commandos che nel settembre 2001 attaccarono le Torri Gemelle e il Pentagono. Né è mai stato trovato un afghano nelle cellule di al-Qā’ida. Negli anni Novanta, lo scopo dei talebani era liberare il Paese dai sovietici e, in seguito, dai locali signori della guerra. Oggi, è porre termine all’occupazione politica e militare statunitense, ancor meno giustificabile dopo il venir meno della ragione della guerra, la presenza sul territorio diOsama bin Laden (trovato infine in Pakistan).
L’orizzonte dei talebani è tutto interno ai confini dell’Afghanistan: non hanno interesse per la jihad universale, non hanno una visione globale del mondo, non sono mai stati una fonte di pericolo per l’Occidente fuori del territorio afghano. Anzi, fra gli attestati di solidarietà e cordoglio inviati agli Usa all’indomani dell’11 settembre vi fu anche quello del loro governo.
La realtà tuttavia è difficile da accettare per chi asseconda i tentativi di imporre unordine globale conveniente agli interessi statunitensi. Non stupisce dunque che il libro abbia scatenato un’aspra polemica nel centrodestra, guadagnandosi una denuncia da parte della deputata del Pdl Souad Sbai, della giornalista Maria Giovanna Maglie e di un gruppetto di rappresentati di varie associazioni. Giustamente, l’editore ne ha approfittato, aggiungendo alla seconda edizione una fascetta pubblicitaria che recita: Il libro messo all’indice, «indegno, scandaloso, inaccettabile.»
Ma nel saggio di Fini non c’è nulla di così scabroso. Il celebre giornalista fa semplicemente il suo mestiere: ricostruisce la biografia del Mullah Omar e la storia delmovimento talebano, cercando di distinguere il vero dalle mezze verità e dalle notizie false. Il linguaggio, d’altra parte, è quello analitico dello studio storico minuziosamente documentato, non quello del pamphlet. Gli accenti polemici sono rari, e riservati quasi esclusivamente agli italiani: La RussaBerlusconiFrattiniBoniverBonino.
Nonostante la simpatia che il libro lascia trasparire per il mullah, non c’è alcuna adesione da parte di Fini all’ideologia talebana. Né potrebbe essere altrimenti. È chiaro che un intellettuale come lui nutrito di nietzschianesimo sin dentro le ossa si troverebbe a disagio nel regime sessuofobo e illiberale degli studenti afghani. Né Fini tace i gravi limiti politici del mullah: conquistato il potere negli anni Novanta, Omar – che è nato in un villaggio di capanne di paglia e fango, e si è istruito unicamente nellemadrasse (le scuole coraniche diffuse anche in Afghanistan) – impone ovunque un’interpretazione rigida e integralista della legge islamica, non capendo che le grandi città come Kabul, dove s’è recato soltanto un paio di volte, non potevano essere trattate allo stesso modo delle campagne.
Quindi, nel 2001, sottovaluta la forza militare degli Stati Uniti, e si gioca il paese per una questione di principio: non essendogli state rivelate le prove richieste, si rifiuta di consegnare Bin Laden, che pure non stima e da cui lo divide tutto (l’uno è un afghano, sunnita e nazionalista, l’altro un arabo, waabita e internazionalista islamico). Il grande giornalista apprezza la motivazione: in realtà, il mullah Omar se ne infischia dello sceicco saudita (già ai tempi di Clinton aveva fatto capire che, pur non essendo disposto a espellerlo, non avrebbe avuto nulla da ridire se gli americani lo avessero eliminato), il suo rifiuto è determinato unicamente dalla volontà di proteggere la sovranità e la dignitàdello Stato afghano. La decisione è nobile. Ma trascina il Paese in una guerra lunghissima, più lunga persino di quella del Vietnam.
In cosa risiede allora la simpatia di Fini per il mullah? Sul piano politico, egli riconosce alla guida ideologica dei talebani il merito di aver fatto, negli anni di governo, quello che aveva promesso: disarmare la popolazione, riportare la sicurezza, riaprire le strade al traffico e al commercio. E vi è riuscito perché il suo movimento si è conquistato sul campo il consenso della popolazione, combattendo – dopo i sovietici – i signori della guerra che si erano trasformati in bande di taglieggiatori, borseggiatori, stupratori e assassini.
Certo, la rivoluzione talebana non è quella francese: guarda al passato anziché all’avvenire. Ma, sia pure sotto una legge durissima e inflessibile, la sharia, era riuscita a spazzare via il sistema feudale (i signori della guerra, appunto) e a unificare le diverse etnie del Paese. È stato saggio combattere il governo talebano per mettere alla guida del paese un presidente fantoccio come Hamid Karzai, disprezzato dalla popolazione perché mentre i mujāhidīn si battevano contro gli invasori sovietici costui faceva affari con gli americani? Il caos attuale non è forse conseguenza di questa scelta infelice?
Senz’altro poi Massimo Fini – estensore del Manifesto dell’antimodernità e autore di un saggio intitolato Il denaro «Sterco del demonio» – avrà provato un altro motivo di interesse: nell’era di Internet e della finanza pervasiva, il mullah Omar ai suoi occhi ha avuto il merito di proporre un modello di società pauperistica, antitetica al modello occidentale e indifferente ai dettami imperanti dell’economia. La misura più audace è rappresentata dal blocco imposto nel 2000 alla coltivazione del papavero e quindi dell’oppio, da cui dipendeva la sopravvivenza di migliaia di contadini: una decisione che poteva prendere solo chi considera il Corano più importante della ricchezza e ha il prestigio per imporla.
Qui sta il vero motivo di scandalo del mullah Omar, il quale ribalta i valori dell’Occidente perché, non avendo mai messo piede su un aereo e non essendo mai stato all’estero, semplicemente li ignora. Va anche detto tuttavia che, fatta salva la pregiudiziale religiosa, il suo modello sociale non è ignoto alla tradizione occidentale. È un peccato che Fini non abbia avuto interesse ad approfondire questo aspetto, distinguendo analogie e contrasti con altri modelli di società pauperistiche, quali quelli teorizzati per esempio daTommaso MoroCampanellaBaconeRousseau. Ma non escluderei che la ferocia della propaganda antitalebana dell’Occidente sia stata alimentata anche da una sorta di ritorno del perturbante (e cioè dall’emergere di qualcosa di spaventoso che ci appare estraneo e familiare allo stesso tempo), che ha le sue radici in casa nostra.
Più in generale, inoltre, il grande giornalista deve aver provato per l’Afghanistan la stessa simpatia che Pasolini riservava agli esclusi fra gli esclusi: non solo i talebani vivono in uno dei paesi più poveri nella Terra, sono musulmani ma non sono arabi e non sono comunisti, perciò non hanno santi in paradiso, non c’è nessuno che li difenda nel consesso internazionale. Possono contare soltanto sull’aiuto volontario di altri disgraziati come loro: ceceniuzbekiturchi. Sono davvero esclusi fra gli esclusi. Fini tuttavia non potrebbe essere più estraneo alle idealizzazioni terzomondiste dell’autore degli Scritti corsari, cui pure è legato dall’anticonformismo dei giudizi e dalla vocazioneanticapitalistica. L’argomentazione del giornalista lombardo si mantiene sempre su un piano di realtà fattuale e politica, senza concessioni alle fantasie di rigenerazione morale in cui non crede.
D’altra parte, l’antimodernismo di Fini ha un carattere squisitamente progressista. La sua critica, per quanto inclemente, muove infatti dall’adesione al principio per eccellenza della modernità liberale e democratica: l’autodeterminazione degli individui e dei popoli. Ciascuno in casa sua fa quello che vuole e crede in ciò che più gli aggrada. Proprio questo relativismo assoluto, rinvigorito dalla lettura di Nietzsche, consente a Fini di rispettare costumi tanto distanti dai suoi come quelli dei talebani, in cui il fideismo contemporaneo vede solo la mostruosità da cancellare, colpevole solo di resistere alla Storia, così come la concepiscono la superpotenza americana e i suoi alleati.



11 luglio 2011

Malesia, diritti umani violati nel silenzio della stampa occidentale

Per la stampa occidentale sembra che ci siano solo pochi paesi in cui esistono violazioni dei diritti umani: Cina, Cuba, Iran, Corea del Nord, ora, a comando, la Libia. Non si parla mai di paesi come la Malesia (quasi 30 milioni di persone).


da Asca.it







25 novembre 2010

E ora parliamo della Corea del Sud

Una manifestazione di protesta per le disumane condizioni di lavoro in Corea del Sud
Lo sapevi che nella capitalista Corea del Sud non sono garantiti i più elementari diritti umani?
La Corea del Sud infatti e al centro di vari traffici riguardanti: traffici di organi umani, schiatitù delle donne, schiavitù degli immigrati, sono diffuse pratiche di detenzione arbitraria, di limitazione della libertà di espressione, di riunnione, di associazione,  della libertà di sciopero, oltre a varie persecuzioni religiose (come per esempio riguardo ai testimoni di Geova). Questa è la vera Corea del Sud. Quanto di più lontano ci possa essere dalla democrazia. Ma questo sui media occidentali non viene detto MAI. Si parla, sempre a sproposito, delle fantomatiche violazione dei diritti umani in Corea del Nord, mai provate, ovviamente, perché inesistenti.
Leggete qui per esempio quante scicchezze!
Secondo questo Federico Fumagalli (segnatevi il nome) in Corea del Nord:

  • In Corea del Nord i cittadini non hanno programmi televisivi. "Questo non è del tutto vero: ogni famiglia, specie nella capitale, possiede un televisore, e da esso può guardare i programmi che vengono propinati dal regime dittatoriale comunista di Kim Jong-Il. Esiste un solo canale nazionale, tranne la domenica in cui ce ne sono due. Un po’ come se ci fossero solo Rai 2 e Canale 5".                                                                                                                                                         A parte il fatto che i canali nazionali sono 4 e che in Italia sono solo 12 (lo stesso rapporto per popolazione visto che l'Italia ha il triplo degli abitanti della Corea del Nord, anche se potremmo dire solo 7 di cui la metà almeno in mano al dittatore Berlusconi. Pure in Spagna fino al 2005 le televisioni nazionali erano solo 4:Tve1 e 2, Antena 3, Canal5 ) , almeno fino all'apertura del digitale, e che fino agli anni 70 inoltrati di canali ce n'erano solo 2 senza che l'Italia fosse meno democratica di oggi, anzi, non capisco tutta questa importanza dato al numero di televisioni.
  • In Corea del Nord non si può mangiare quello che si vuole."No no.Immaginate di essere in Corea del Nord, magari nella capitale Pyongyang: volete mangiare una pizza? Non c’è una pizzeria. Anzi, ultimamente una pizzeria e un McDonalds sono stati costruiti, ma sono riservati alle delegazioni straniere in visita e agli alti ufficiali del Partito.(...)In Corea del Nord è lo Stato che decide cosa e quanto un Nord Coreano deve mangiare. Esiste un sistema di razionamento del cibo che prevede riso e mais, a volte zuppe e farina, che varia a seconda della classe a cui si appartiene. Il cibo viene distribuito dai soldati, e più una classe è abbiente, più cibo riceve.Chi è fortunatissimo e ha un buon lavoro (non nel senso del reddito, ma nel senso dell’utilità comunista) mangia tre volte al giorno. Chi è fortunato riceve due pasti al giorno. Chi non è molto fortunato ha diritto ad un solo pasto.Poi c’è chi di fortuna non ne ha proprio, e purtroppo questa è la maggior parte dei 23 milioni di abitanti, dislocati perlopiù nelle campagne e costretti ad arrangiarsi come possono."                                                                                                                                        A parte che mi sembra una minchiata andara in Corea del Nord o in Nigeria o in Islanda per mangiare una pizza , non capisco per quale motivo ci si debba inventare una cazzata del genere. Anche se estranea alla cucina coreana la pizza si mangia anche in Corea del Nord. E se viene pure pubblicizzata evidentemente non è solo cibo per i "VIP". Vediamo invece cosa dice il professor Maurizio Scaini , ordinario della cattedra di Geostrategia presso l'Università degli studi di Trieste in un suo resoconto di un viaggio in Corea del Nord:  “I ristoranti, specie nei giorni di festa, sono affollati e in alcune sere non è facile trovare posto.” Qui invece il video di un normalissimo fast food.
  • "Nel tra il 1994 e il 1997 una carestia ha ucciso quasi 3 milioni di persone, portato al disastro economico e fisico altri milioni di cittadini, e lo Stato cosa ha fatto? Ha forse chiesto aiuto al Mondo?Già, ha importato cibo in quantità enormi anche dai Paesi nemici, ma ha vietato l’ingresso delle ONG e delle Associazioni Umanitarie, dimodoché potesse distribuire il cibo a modo proprio privilegiando la classe militare e lasciando al loro inutile destino tutti gli altri.Ancora oggi la Corea del Nord fa una fatica disumana a sopravvivere, e siccome il mercato è stato bandito fino a poco tempo fa, la gente vive come può. Solo di recente è stato possibile essere proprietari di un orto in cui coltivare due verdure, dato che la proprietà è sempre stata vietata. Un vero socialista non può permettersi di essere uno sporco proprietario capitalista, ma visto che anche per quest’anno si muore di fame, per un pezzo di terra si chiude un occhio."                       A parte il fatto che le organizzazioni umanitarie in Corea del Nord sono presenti in maniera permanente come per esempio la Croce Rossa della Corea del Nord, che non fu affatto cacciata ma aiutò il paese durante la carestia, come oggi sta aiutando il Bangladesh, Haiti etc... per situazioni simili. Le vittime non sono state comunque 3 milioni, quella è una stima per eccesso, nella realtà sarebbero sull'ordine delle centinaia di migliaia.Inutile commentare il resto , visto quanto è sfacciattamente  ideologicamente orientato fino a negare, come abbiamo già visto e continueremo a vedere, pure l'evidenza.
  • "Non esiste un Nord Coreano grasso ( a parte il Presidente Kim Jong-Il, ovviamente). Le condizioni fisiche sono disastrose, non ci sono ospedali con strutture mediche funzionanti, le medicine sono scadute da anni, non si sono sale operatorie specializzate. Il rischio di contrarre un’infezione è più alto in un “ospedale” che non in città."                                                                                                          Basta vedere uno dei tanti video che ho postato qui per vedere che qualche grassottello e grassottella -nonostante l'attenzione che viene data alla corretta educazione e allo sport e alla costituzione, come sappiamo, esile dei popoli asiatici- c'è eccome. Gli ospedali poi sono tra i più moderni e funzionali della regione come un po' tutte le strutture pubbliche: "Rispetto ad altri paesi limitrofi o vicini, quali il Vietnam, la Cambogia, il Laos e la Birmania, la Corea del Nord si rivela essere una nazione tecnologicamente più avanzata: sicuramente non è un paese ricco se visto con i nostri canoni occidentali, ma non sembra essere neppure il paese sull’orlo della fame e del tracollo economico di cui spesso si parla."
  • È obbligatorio portare una spilla raffigurante uno dei due presidenti appesa al petto, dalla parte del cuore; se non la porti, hai commesso un reato e puoi finire sotto tortura o in prigione. Spesso entrambe le cose. In ogni camera di ogni appartamento di ogni condominio di ogni paese e cittàdevono essere appesi i ritratti di entrambi i presidenti (il Caro Leader Kim Jong-Il e il Grande Leader Kim Il-Sung), i quali devono essere sempre tenuti perfettamente dritti e lucidi. Solo in bagno è vietato appenderli; se qualcuno si accorge che c’è un filo di polvere su un ritratto, si rischia la denuncia e la prigione.

         Anche qui, guardando i video, si vede un sacco di gente senza spille e pure case senza quadri.Eppure nessuno sembra preoccupato di finire in prigione per questo.  
  • "Ascoltare la radio o captare programmi sudcoreani o cinesi è un crimine molto grave. Chiedetelo a chi è finito in un “Campo di Rieducazione” per anni, sempre che sia ancora vivo.In ogni casa ci sono degli altoparlanti che trasmettono propaganda comunista, musica comunista, discorsi comunisti in cui le parole guerra, liberazione, Kim Il-Sung, Kim Jong-Il, America nemica costituiscono la maggioranza tra tutte le parole. Non si possono spegnere, ed entrano automaticamente in funzione dalle 05 di mattina fino alle 22 o alle 23; si può solo abbassare il volume durante il giorno. Cercare di disattivarle può causare l’arresto e la prigione."
Chiedetelo a chi è finito in un campo di rieducazione. Già. A chi? Ovviamente non viene riportata neanche una testimonianza o una fonte indiretta. Pure di questi fantomatici altoparlanti che suonano tutto il giorno (qui siamo veramente alla follia o semplicemente Fumagalli ha letto troppi libri di fantascienza) in nessun documentario pro-contro-neutrale non c'è traccia. Chissà come mai.
  • " Parlare, discutere, scrivere usando termini e toni di disprezzo verso il regime o lo Stato, o anche solo il lamentarsi della situazione generale di vita, è causa frequente di denuncia. Si rischia l’arresto. I campi di rieducazione (per prigionieri politici, per criminali, o per familiari di criminali) sono pieni zeppi di gente comune che ha fatto una delle precedenti cose. Si contano tra 250 e 300 mila prigionieri che non hanno fatto niente di male. Nella maggior parte dei casi la gente viene torturata nella maniera più brutale (argomento che vi descriverò in futuro) per confermare un crimine del quale era solo sospettata. Se dopo settimane di torture la vittima non resiste più, si trova di fronte a due scelte: confessare e finire condannata a morte, giustiziata davanti ad una platea di gente alla quale partecipano anche i bambini, oppure continuare a negare e ricevere torture e sofferenza fisica. Ce ne sono più di 15, di questi campi, ma lo stato nega che esistano nonostante tutti ne conoscano la presenza. Nessun Nord Coreano, comunque, sa dove siano. "                                                                                                                              Ancora nessuno straccio di affermazione provata  o documentato e continuo uso di tinte fosche. "Si contano tra 250 e 300 mila prigionieri"... chi conta? Come ha contato? Non si sa , è verità rivelata da Jesus Christ Fumagalli che per il momento, giova ricordare, non ne ha azzeccata una.
  • "Da quello di Yodok, il signor Kang Chol Hwan è sopravvissuto e dopo essere fuggito in Corea del Sud ha scritto un libro (The Acquariums of Pyongyang) dove descrive i suoi 10 anni di vita in un campo di concentramento. Si parla tanto dei campi di concentramento della seconda guerra mondiale, specie quelli dei nazisti, che ora sono ufficialmente chiusi, ma nessuno sa che in realtà in Corea del Nord funzionano alla grande e sono sempre pronti ad ospitare gente denunciata da un vicino di casa o da un amico e persino da un parente."                                                                


   Anche qui giova ricordare prima di tutto che il signor Kang, che di questo presunto internamento ha fatto un business, e che i fatti a cui si riferisce sono vecchi di più di 30 anni, quando in Europa Salazar e Franco ne facevano di cotte  e di crude. Poi a Fumagalli andrebbe ricordata la differenza tra i campi di sterminio nazisti e i campi di concentramento, tipo quelli fatti dagli americani per i giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Ad ogni modo, il signor Kang, oltre a non essere stato assassinato non era neppure stato separato dai genitori (per questo era finito in questo campo, per non separarlo dai genitori, rei di delitti che negli Stati Uniti a lungo sono stati puniti con la pena di morte ). E poi andrebbe ricordato che "campi" del genere, che altri non sono che grandi carceri, sono presenti in tutto il mondo , Italia compresa, anche per disperati che non hanno commesso alcun delitto.
  • "Cercare di oltrepassare il confine è un crimine gravissimo. I soldati di guardia hanno l’ordine di sparare a vista e uccidere chiunque tenti un’impresa del genere. Sono pochi i punti in cui è possibile tentare la fuga (il fiume Yalu al confine con la Cina è un esempio), ma se non ti becchi una pallottola in testa rischi di morire congelato, annegato nel fiume, oppure beccato dai soldati oltre il fronte che poi ti rimandano indietro. Nemmeno corrompere le guardie funziona sempre: altre guardie potrebbero essere spie e denunciare sia chi tenta di passare, sia i soldati che chiudono un occhio."

Oltrepassare il confine è reato in molti paesi, ogni giorno centinaia di messicani rischiano la pelle e così in molti altri paesi, tipo la Libia dell'amico e riverito Gheddafi. E dunque?
  • Internet e i cellulari non sono ancora disponibili per i comuni cittadini. Avere accesso ad uno di essi è un peccato mortale. Le comunicazioni telefoniche tramite i normali telefoni sono sempre tenute sotto controllo da qualcuno, ma non si sa mai da chi. Il tuo vicino di casa potrebbe essere un collaboratore della polizia, quindi attento a quello che dici.

Qui siamo veramente alle comiche. Non solo in Corea del Nord Internet e i cellulari sono liberi, ma sono anche a un ottimo livello tecnologico dato che hanno il 3g e usano spesso le videochiamate.
  • "Se hai fame e non hai niente da mangiare, un’opzione è rubare del cibo. Ma non lamentarti della carenza di cibo: è la tua lamentela che ti porta in prigione!Non partecipare alle sessioni di autocritica o alle riunioni del Partito potrebbe far insospettire qualcuno che stai tramando qualcosa ai danni dello Stato: meglio avere una buona scusa, e magari fare la spia su qualcun altro."

In un paese comunista nessuno ha bisogno di rubare, concetto troppo difficile da capire per Fumagalli (perchè rubare ciò che puoi avere gratis?). Questa sessioni di autocritica, poi , sono una simpatica invenzione di Fumagalli o dei suoi amici sudcoreani visto che facendo qualche ricerca non se ne trova la benchè minima traccia.
  • " Quando vai a visitare la statua di bronzo di Kim Il-Sung non puoi sdraiarti per terra; è mancanza di rispetto! Potresti finire arrestato. Se un tuo parente viene denunciato, arrestato e mandato in un campo di rieducazione, anche tu ci finirai. Secondo metodi comunisti, il male contro lo stato va estirpato per tre generazioni di una famiglia. Tuo nonno viene portato via dai soldati? Tra poco altri soldati faranno irruzione e ti porteranno via con la sola spiegazione di essere parente di un nemico dello Stato e del Socialismo. Se durante l’interrogatorio tu confermerai i crimini di tuo nonno, lui morirà. Difficile che possa resistere fino alla fine di una pena di 10 o 20 anni. Ma anche tu non pensare di cavartela: la tua pena sarà semplicemente ridotta, ma comunque finirai a patire la fame, a subire torture, a vestire lo stesso vestito per anni, il freddo, il sonno, i lavori forzati. Se invece non confermerai i suoi crimini e ti ostinerai a dichiarare la sua innocenza, lui morirà comunque e tu subirai altre torture (il Regime non sbaglia mai). Se sopravviverai alle bastonate e alla sedia elettrica, morirai nel più vicino campo di rieducazione. Negare i crimini di un parente è un reato."


Sulla storia dello straiamento davanti alla statua non vale la pena neanche rispondere visto la ridicolaggine e visto anche che in alcuni di quei video si vede pure qualche coreano davanti alla statua e nessuno si stande, se non per farsi un pisolino. Sulle bufale seguenti ci sarebbe da scrivere un'enciclopedia , sulla tecnica di disinformazione intendo, visto che pure in questo caso si tratta solo di pessima narrativa di fantascienza. Non una sola delle sue affermazioni è documentata.
  • Parlare con turisti o persone straniere è vietato. Chissà quali pericolose informazioni potrebbero venir scambiate tra abitanti di questi due mondi…La lista continua, ovviamente: tranquilli, non si va in prigione solo per questi piccoli dettagli. Ce ne sono altri. Nella seconda parte passerò in rassegna le cose fondamentali che rendono così celebre questo paese disperato detto Corea del Nord (il Paese del Divieto, anche quello di sopravvivere).


Anche qui cabaret Fumagalli! Non si capisce allora come mai nei tanti video che vi ho mostrato e che ricordo si trovano qui, un sacco di gente parla senza problemi e senza timori con gli stranieri. Che Fumagalli ci abbia rifilato una sequela di balle? E intanto in Corea del Sud succede quel che succede...

22 novembre 2010

Vietnam, Socialismo in Pericolo?


Di Alessio Fratticcioli * (scritto per L’Internazionale di Micropolis, 18/11/2010)
Ho Chi Minh City – Nel 2010 il Vietnam celebra quattro importanti anniversari: 1000 anni dalla fondazione della città di Hanoi, 120 anni dalla nascita di Ho Chi Minh, 65 dalla proclamazione dell’Indipendenza e 35 dalla fine della Guerra Americana. Per i popoli asiatici il simbolismo è importante e questi anniversari, così densi di significato, vanno celebrati nel miglior modo possibile. Stranamente, però, il Paese arriva a questo importante appuntamento apparentemente indeciso sulla propria natura ideologica e socio-politica. Continua a definirsi una “Repubblica Socialista” – ma questo conta poco, visto che anche Costituzioni come quelle di Portogallo ed India pontificano nella medesima direzione. La bandiera rossa con al centro la stella gialla continua anch’essa a sventolare un po’ ovunque. Il rosso sta sempre a simboleggiare il sangue dei patrioti morti per l’Indipendenza del Paese – oltre ad essere il colore del socialismo e il colore che in Oriente viene tradizionalmente associato alla vita, al successo e alla fortuna – e la stella gialla continua a voler rappresentare il Partito, avanguardia rivoluzionaria che ha guidato le masse fino alla vittoria. Ma a dispetto della propaganda massiccia e del fatto che materie come “storia del Partito Comunista Vietnamita (PCV)” e “filosofia marxista-leninista secondo Ho Chi Minh” continuino ad essere insegnamenti imprescindibili in ogni scuola o università, per i vietnamiti il comunismo non è più né un modello di società perfetta da costruire o raggiungere, né un’ideologia totalitaria o repressiva. Al contrario, tutta questa iconografia e il rispetto che va portato ai patrioti o ai membri del partito sono più che altro un’usanza tipicamente asiatica di onorare o divinizzare le grandi personalità, come anche un modo per ricordare che il Potere è ancora nelle mani dei vincitori del 1975. In questo senso, significativa è stata la parata svoltasi a Città Ho Chi Minh (la vecchia Saigon) lo scorso 30 aprile, per celebrare i 35 anni dalla “Grande Vittoria” e dalla “Riunificazione” del Paese.
La sfilata, minuziosamente organizzata e di scena in una città semideserta per il ponte festivo (la Liberazione cade il giorno precedente la Festa dei Lavoratori), più che per diffondere ideali rivoluzionari, sembrava studiata apposta per non urtare i sentimenti di buona parte dei saigoniti – che hanno sempre guardato alla “Liberazione” come ad una occupazione della loro città da parte dei nordisti – per cementare lo spirito nazionale e soprattutto per riconoscere, lodare e promuovere lo spirito capitalista di questa metropoli del Sud, che da sola produce il 20% del Pil di tutto il paese.
Con ogni probabilità è stata questa la ragione per cui l’uomo più in vista durante le celebrazioni è stato il Presidente della Repubblica Nguyen Minh Triet, 68 anni, uomo del Sud ed ex partigiano del Fronte di Liberazione Nazionale (o guerrigliero Vietcong, se preferite). Grande assente, il Segretario del PCV Nong Duc Manh, uomo del Nord e, secondo voci mai confermate, figlio di Ho Chi Minh (che ufficialmente non ha avuto ne mogli ne figli, essendosi sposato alla patria e riconoscendo come suoi figli tutti i vietnamiti). Triet, Presidente dal 2006, ha assistito alla manifestazione dalla tribuna d’onore sul viale Le Duan insieme ad altri leader del partito, tutti uomini del Sud, e alcuni delegati laotiani, cambogiani, cubani e russi. Questo grande boulevard, eredità degli urbanisti francesi, parte dal Palazzo della Riunificazione (Palazzo del governatore francese prima e del presidente del Vietnam del Sud poi), costeggia la cattedrale (anche quella francese) e arriva fino al giardino zoologico. Gruppi teatrali si sono alternati nella rappresentazione dei momenti salienti della “Guerra Americana” (descritta solamente come uno scontro tra Vietnam e Stati Uniti, più che come un conflitto fra Nord e Sud). Tanta anche la musica: una spruzzata di pop, canti rivoluzionari e l’immancabile Internazionale (storico inno socialista), che oramai viene rispolverata solo per gli anniversari. Per finire, circa 50mila giovani, contadini, studenti, donne, intellettuali e soldati hanno sfilato, con in braccio i loro strumenti (falci, bastoni, libri, fucili…) e le loro bandiere. Tutto intorno, una coreografia abbastanza modesta e asiaticamente kitch. Decine di migliaia di persone hanno sfidato il caldo per assistere allo show muniti di bandierine, pop corn, noccioline e gelati. Tante braccia si sono alzate per scattare fotografie con gli ultimi modelli di cellulari. In un breve discorso, Le Thanh Hai, numero uno del partito a Saigon, ha dichiarato: “Il tempo passerà, ma la nostra vittoria contro l’aggressione statunitense vivrà per sempre come una delle pagine più gloriose della nostra storia e di quella mondiale, simbolo luminoso del patriottismo e dell’eroismo rivoluzionario del nostro popolo”.
Quella di Le Thanh Hai è stata un’apologia del ruolo del partito comunista nel Vietnam di oggi, dove in sostanza il PCV continua a detenere il potere con la sola giustificazione delle grandi vittorie del passato. L’idea che il partito possa aver esaurito la sua funzione storica, che abbia raggiunto da tempo lo scopo per cui storicamente era nato, continua ad essere inammissibile. Difatti, nonostante l’impetuosa crescita economica, continuano a restare irrisolte tutte quelle questioni legate ai temi della libertà, della democrazia e dei diritti umani. Il Paese rimane governato da un partito unico che non tollera alcuna opposizione al suo ruolo e che condanna regolarmente i dissidenti.
Almeno ufficialmente, il PCV considera di primaria importanza mantenere la stabilità politica, ma il pericolo in realtà è che la crescente integrazione internazionale del Vietnam renda le misure repressive della libertà di espressione progressivamente obsolete ed anacronistiche. Non a caso, due dei più celebri dissidenti politici vietnamiti, l’avvocato Le Cong Dinh e il giovane Nguyen Tien Trung, hanno entrambi avuto l’opportunità di studiare all’estero. Quando nel gennaio scorso sono stati condannati insieme ad altri dissidenti a pene dai 5 ai 16 anni di reclusione, per aver utilizzato Internet per criticare il partito, Dinh ha ammesso di aver violato la legge (la Costituzione riserva il ruolo di guida dello stato e della società al Partito Comunista), ma ha chiesto e ottenuto una pena relativamente leggera perché “influenzato da idee occidentali”. L’ironia è che anche Ho Chi Minh fu “influenzato da idee occidentali” durante i suoi 30 anni di peregrinazioni in giro per il mondo. Il marxismo stesso è una “idea occidentale”. Inoltre, in un Paese che si sta velocemente integrando, economicamente e culturalmente, nella comunità internazionale, e dove sempre più giovani navigano in Rete, studiano l’inglese, hanno contatti con stranieri e hanno l’opportunità di andare all’estero, è prevedibile che un numero sempre maggiore di cittadini saranno “influenzati da idee occidentali”, mettendo a rischio “il Socialismo”.
Ma ancora più paradossale è il fatto che il Socialismo in Vietnam, più che essere in pericolo, in realtà non è mai esistito. La Repubblica Democratica nacque nel Nord del Paese nel Settembre del ’45, ma rimase in guerra contro i francesi fino al 1954. Dopo la vittoria di Dien Bien Phu, il Governo che aveva davvero intenzione di iniziare a costruire il Socialismo, avviò la creazione di fabbriche, scuole ed ospedali, ma presto tutto venne raso al suolo dai B52 di Nixon. Dopo il 1975, a drenare la maggior parte delle risorse ci fu l’occupazione della Cambogia e l’invasione cinese del ‘79. A tutto questo vanno poi sommati anche gli errori del PCV. Quello fondamentale fu la decisione irrealistica e impaziente, presa dopo il ’75, di emulare il socialismo sovietico puntando sull’industria pesante, in una fase in cui l’economia mondiale aveva virato in tutt’altra direzione. Nel Quinto congresso del PCV nel 1982 ci fu un altro passo falso: la supervisione centrale venne eliminata e si lasciò che le province gestissero autonomamente le proprie risorse. Inutile ricordare che i ‘quadri’ di provincia, in gran parte ex contadini e guerriglieri, avevano ancora meno nozioni di economia degli ex generali del Politburo. Le conseguenze furono drammatiche, l’inflazione prese a salire in modo impressionante e la corruzione divenne rampante. Per questo nel 1986 si decise di ricorrere ad una soluzione western style – la Doi Moi - con la quale, dando la priorità all’agricoltura, all’industria leggera, allo sviluppo dei mercati di esportazione e all’apertura del paese al capitale straniero, si e’ sostanzialmente iniziata l’opera di abbattimento di ogni caratterizzazione stalinista dell’economia di questo paese. Il vero paradosso però risale al 1991, quandi il PCV ha dichiarato il Paese aperto agli investimenti stranieri: mentre in Europa il comunismo crollava in un paese dopo l’altro, sancendo la vittoria del modello capitalista, in Vietnam proprio i capitalisti occidentali, in tandem con giapponesi e sud coreani e con le donazioni internazionali, mantenevano il PCV saldamente al potere. Mentre in Europa Orientale i mezzi di produzione finivano in mano ai privati, in Vietnam, gli investimenti stranieri presero la via delle joint ventures con le aziende statali. La proporzione dell’economia controllata dallo stato crebbe dal 39% del ‘92 al 41% del 2003. Oggi, 125 delle 200 aziende più grandi del Paese sono controllate dallo Stato, il resto, quelle ‘private’, sono nelle mani di familiari, amici o prestanome di importanti membri del Politburo e del Partito. In parole povere, il PCV ha trasformato il capitalismo vietnamita in un affare di famiglia. Per dirla con Marx, il PCV è diventato un “comitato per gestire gli affari della borghesia”.
Chiaro, dunque, che se oggi c’è qualcosa in pericolo in Vietnam, non è tanto il Socialismo, ma il potere del partito ‘comunista’.
 *Alessio Fratticcioli, blogger e giornalista freelance, dal 2006 vive, studia e lavora in Asia. Collabora con i mensili Orizzonti Nuovi e Micropolis e con varie testate online. Lo puoi seguire sul blog Alessio in Asia e su Twitter

08 giugno 2010

Mondiali e diritti umani: perché si tacciono i problemi del SudAfrica?



Solo due anni fa tutti i media del mondo a menarcela con discussioni e talk show (tutti a senso unico)l'opportunità o meno di "permettere" alla Cina di organizzare le Olimpiadi e con le loro panzane sul Tibet e il tema dei c.d "diritti umani" nella Repubblica Popolare. Meno male che c'è almeno Alex Zanotelli!

Poi a proposito di disparità di trattamento riguardo casi analoghi, che dire di come i media occidentali ci hanno presentato i fatti accaduti in Birmania prima e in Thailandia dopo?

E vogliamo parlare dello Sri Lanka?

Meno male almeno che ci sono persone colte (perché noi che parliamo delle violazioni dei diritti umani di Israele siamo per definizioni "ignoranti") come tale Augusta Lucilla scrive (anche pessimo gusto nel scegliersi il nickname) delirando sul blog di Guzzanti con questo intervento definito dall'onorevole una "raffinatata e drammatica riflessione" (sic):
" [...] e la chiave di lettura ce la fornisce Paolo quando dice che il “due popoli due Stati” è una fregnaccia europea, e che Israele e gli americani sono dei coglioni per essere stati tanto generosi coi palestinesi. [..] 
Questo “altro” è, per le nostre categorie per bene, orrendo, tanto che chi non ha problemi a riconoscerlo, come Sigal, ammette che non sarebbe male se si aprisse una voragine e li ingoiasse tutti, o non sarebbe male farne tonnellate di hamburger, come disse un mio amico ebreo [...]
Penso perciò che sia il caso, per chi ne ha le palle, al fine di trovare una soluzione più praticabile, di cominciare a fare i conti con la verità dal lato brutto, a cui non si rimedia."
Veramente raffinata

08 marzo 2010

Corea, piccola muore di fame perché i genitori giocano a Prius Online

da Animeclick

Una coppia sudcoreana, impegnata a giocare a un MMORPG (abbreviazione di Massively Multiplayer Online Role-Playing Game, ovvero un gioco di ruolo online dove persone reali interagiscono tra loro in un mondo virtuale), si è dimenticata di dar da mangiare alla propria figlia di tre mesi, facendola morire di fame.

È questa l’ultima preoccupante notizia di cronaca arrivata dall’Oriente e legata al mondo dei videogiochi.
La coppia, un quarantunenne e una venticinquenne residenti vicino a Seoul, era diventata ossessionata dal MMORPG Prius Online, dove i giocatori hanno il compito di allevare una bambina virtuale chiamata Anima, che devono aiutare a far recuperare la memoria e a sviluppare emozioni. Per fare ciò, i coniugi coreani erano arrivati a fare tirate di dodici ore al vicino Internet Cafe, dando da mangiare una sola volta al giorno alla propria figlia nata precocemente. Lo scorso 24 settembre, tornati a casa, si sono accorti della morte della bambina e sono subito scappati.

La polizia è riuscita a rintracciarli e arrestarli lo scorso giovedì nella città di Suweon, a sud di Seoul. “I coniugi pare avessero perso la voglia di vivere una vita normale perché erano senza lavoro e avevano dato alla luce una bambina prematura.” ha affermato l’ufficiale di polizia Chung Jin-Won “Si sono buttati in un gioco online che prevede l’allevamento di un personaggio virtuale per fuggire dalla realtà, cosa che ha portato alla morte della loro vera figlia.

A titolo esclusivamente informativo, vi mostriamo a seguire un video del MMORPG Prius Online raffigurante un giocatore con la propria Anima al suo seguito.


Questo, purtroppo, è solo l’ultimo dei decessi causati da dipendenza da videogiochi che avvengono saltuariamente in Corea del Sud. Il mese scorso, ad esempio, un uomo di 32 anni è morto dopo aver giocato a un videogame per cinque giorni di fila senza quasi nessuna pausa.


Il mio commento: ma forse stanno meglio in Corea del Nord?

07 gennaio 2010

Un prodiano ministro delle finanze in Giappone.


di Marco del Corona per il Corriere della Sera


Il cambiio al ministero delle Finanze giapponese, dopo il tiramolla di ieri, ne muta il profilo politico. Esce Hirohisa Fujii, 77 anni, che già aveva occupato la stessa poltrona all'inizio degli anni Novanta, sostenitore di un rigore nella spesa che non tutti nel Partito democratico del primo ministro Yukio Hatoyama amano. Arriva il vicepremier Naoto Kan, e la sua è una nomina molto poco tecnica e molto politica. E' tra i padri del Partito democratico, vanta frequentazioni con l'Italia e anche con Romano Prodi ed è vicino al segretario (e rivale di Haotyama) Ichiro Ozawa. Kan dovrà far quadrare le onerose promesse elettorali con la necessità di contenere le spese, ma rispetto a Fujii potrebbe dimostrare una maggior capacità negoziale con i partner minori della coalizione - socialdemocratici e populisti di destra del People's New Party - e con l'ala sinistra del suo stesso partito. Non è un esperto di finanza e ha apertamente criticato i vertici della Banca centrale. Inoltre il suo compito nel governo finora è stato quello di contenere l'azione dei potentissimi burocrati, aspetto che sarà probabilmente costretto a ridimensionare. In ogni caso, quali che siano le novità politiche e di metodo che potrà portare, Kan dovrà fare in fretta. La Finanziaria del 2010 si discute fra una decina di giorni.