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02 maggio 2018

A proposito di bufale sulla Corea del Nord, la grottesca galleria di Msn Italia

La potete trovare qui. Grotteschi i commenti "suggestivi" alle foto che, a detta di Msn, sarebbero "rubati", eppure tutte perfettamente a fuoco, che strano.
Ad aver tempo mi verrebbe da commentarle ad una ad una ma lascio alla vostra intelligenza valutarle.
Il Link alla galleria.

27 ottobre 2014

Lo strano caso di Reyhaneh Jabbari


Dal blog di Francesco Santoianni
Impazza la campagna stampa mainstream (Renzi – ieri, alla Leopolda – l’ha celebrata con un minuto di silenzio) contro l’Iran colpevole di avere impiccato Reyhaneh Jabbari la ragazza accusata di avere accoltellato a morte “l’uomo che aveva tentato di stuprarla”, e cioè il medico Morteza Abdolali Sarbandi; il quale, addirittura, sarebbe stato un “agente dei servizi segreti” (“iraniani” o “irakeni ” a seconda di chi la spara più grossa). “Notizia” questa che ha scatenato sul web una valanga di farneticazioni, ultima delle quali: l’omicidio di Morteza Abdolali Sarbandi altro non sarebbe che una esecuzione compiuta da chissà quale servizio segreto (ovviamente, il Mossad); circostanza questa “attestata” dalla ragazza che, mantenendo fino all’ultimo la sua versione, ha scelto di morire come ogni agente segreto che si rispetti.
Ma, tralasciando le fantasticherie, occupiamoci dei fatti. Ma, intanto, una premessa.
Che il maschilismo (nonostante significative conquiste) domini ancora l’Iran resta un fatto innegabile. E a farne le spese sono le tante donne per le quali, anche in sede giudiziaria, valgono due pesi e due misure; una situazione non molto diversa da quella che viveva l’Italia del “delitto d’onore” (al più, qualche anno di detenzione se si ammazzava la moglie fedifraga o presunta tale) abrogato definitivamente solo il 5 agosto 1981. È possibile, quindi, che anche nel caso Reyhaneh Jabbari, abbia pesato una “cultura”, anzi una “religione”, oggi per noi assolutamente inaccettabile. Ma questo non può certo giustificare forsennate campagne mediatiche – come quella, di qualche tempo fa, per salvare Sakineh “condannata alla lapidazione per adulterio” – che si direbbero finalizzate ad additare un altro “stato canaglia” da distruggere con una ennesima “guerra umanitaria”. Meglio tenerlo a mente ora che l’Iran – tra le proteste e i tentativi di sabotaggio di non pochi paesi – sta per firmare il trattato sul nucleare che dovrebbe togliere ogni legittimità ad un attacco militare dell’Occidente.
Ma torniamo ai fatti, così come sono emersi dagli atti del processo (*). Intanto una precisazione: non è vero che Reyhaneh Jabbari non è stata assistita dagli avvocati o che “le autorità l’hanno costretta a sostituire il suo avvocato con un collega inesperto”. La verità è che i suoi ottimi avvocati sono stati messi alle corde dalle prove. Prima tra tutte un sms inviato il giorno prima dell’omicidio nel quale Reyhaneh Jabbari comunica ad un suo amico di volere uccidere Morteza Abdolali Sarbandi. Poi ci sono tante altre cose che non tornano nell’alibi della ragazza: le coltellate date – non già frontalmente – ma alle spalle dell’uomo; la porta della stanza del “tentato stupro” non chiusa dall’uomo; il coltello (usato per l’omicidio) acquistato da Reyhaneh Jabbari alcuni giorni prima; la circostanza del coltello messo dalla ragazza, prima dell’incontro, nella borsa (ma se aveva “tanta paura” di quell’uomo”, perché non è andata all’appuntamento accompagnata da qualcuno?); il presunto ingresso nella stanza – immediatamente dopo l’omicidio – di una persona (rimasta non identificata) che, a dire della ragazza, sarebbe andato in cucina a prendere alcuni fogli…
Non è certo il caso di ridursi qui al rango di “giurati” o “giudici”, come pretendono di essere gli spettatori delle innumerevoli “Crime Stories” che affollano i nostri teleschermi. Ogni delitto, tra l’altro, è costellato di tante inevitabili incongruenze che possono lasciar propendere per una tesi o per l’altra. E un errore giudiziario è sempre possibile. E questo vale per sia l’Iran sia per tanti altri paesi  dove vige l’abominevole pena di morte. E varrebbe la pena di mobilitarsi contro questa, invece di inventarsi l’innocente “eroina di turno” vittima dell’ennesimo “stato canaglia”.
E per onorare la morte della povera Reyhaneh Jabbari sarebbe anche il caso di non fare due pesi e due misure e guardare anche nel cortile di casa. Come l’Arabia Saudita, dove oggi 14 donne rischiano la decapitazione in quanto accusate di “stregoneria”o  gli USA dove stanno nel braccio della morte 11 donne, alcune delle quali troppo povere per poter dimostrare la loro innocenza. A proposito, avete saputo di qualche mobilitazione per la loro salvezza?
Francesco Santoianni
(*) Mi spiace di non poter inserire, questa volta, uno dei tanti link che costellano i miei articoli; il sito – del Ministero della Giustizia iraniano – che riporta gli atti del processo è in Farsi e, a quanto mi risulta, a giorni dovrebbe riportare il testo anche in inglese. Spero al più presto di potere – in una nuova versione di questo articolo – pubblicare questa documentazione. Per ora mi sono servito principalmente della documentazione tratta dalla intervista a Rai NEWS fatta a Tiziana Ciavardini e di altre notizie fornitemi da un mio amico iraniano che, pur non potendo nominare, desidero qui  ringraziare.
- See more at: http://www.francescosantoianni.it/wordpress/2014/10/26/strano-caso-reyhaneh-jabbari/#sthash.uU8x8M13.dpuf

22 ottobre 2010

Giampaolo Pansa, il revisionista impenitente

Dal sito Storia in Rete.

Il revisionista che non si pente. Anzi. L’autore che più di ogni altro ha attaccato in Italia miti storiografici del Novecento e l’Accademia, sta per tornare con un libro destinato a rinverdire le polemiche scatenate da «Il Sangue dei Vinti». Le tesi di Pansa? «Il PCI di Togliatti voleva l’Italia satellite dell’Urss»; «la politica di oggi non è interessata a fare i conti con la Storia»; «I miei critici? Scappano…»; «Le celebrazioni? Non mi piacciono mai»; «Il miglior leader italiano? De Gasperi»; «Gli italiani? Non hanno futuro se continuano così…». Forse perché non vogliono avere un passato?
di Gabriele Testi da Storia in Rete n° 59 
C’è sempre una prima volta, anche per Giampaolo Pansa. Quella del giornalista piemontese al Festival Internazionale della Storia di Gorizia, dunque allo stesso tempo su un terreno e in un territorio particolarmente delicato per ogni forma di rivisitazione e di analisi storiografica, non è passata inosservata. Anzi. La dialettica con un pubblico tanto attento quanto sensibile alle vicende degli italiani vissuti (e morti) oltre il Muro, in particolare comunisti di fede stalinista fuggiti in Jugoslavia e diventati «nemici del popolo», e lo scontro verbale con il moderatore Marco Cimmino non saranno dimenticati facilmente dalle parti di Gorizia. L’occasione si è comunque rivelata perfetta per una chiacchierata con un autore che, in polemica con gli accademici italiani e i «gendarmi della memoria» non arretra di un metro sul piano del confronto scientifico su quei temi, il tutto alla vigilia del compleanno che il primo ottobre gli farà oltrepassare la soglia dei tre quarti di secolo e della pubblicazione di un ultimo lavoro che lo riporterà in autunno nei panni a lui del revisionista. È lui stesso a raccontarlo a «Storia in Rete» in un’intervista esclusiva in cui si mescolano Resistenza e Risorgimento, eredità del PCI, meriti e demeriti democristiani, una visione organica della nostra società e le differenze esistenti fra i giovani di oggi e quelli le cui scelte avvennero con la Guerra.
Considerato il soggetto dei suoi ultimi due libri, considera ormai chiusa la parentesi dedicata alla Guerra Civile italiana?
«No, tant’è vero che in novembre uscirà con la Rizzoli un mio nuovo libro sulla Guerra Civile. Il titolo è: “I vinti non dimenticano”. Non è soltanto il seguito del “Sangue dei vinti” e dei miei libri revisionisti successivi. Insieme a vicende che coprono territori assenti nelle mie ricerche precedenti, come la Toscana e la Venezia Giulia, c’è una riflessione più generale, e contro corrente, sul carattere della Resistenza italiana. Dominata dalla presenza di un unico partito organizzato, il PCI di Palmiro Togliatti, Luigi Longo e Pietro Secchia. Che aveva un traguardo preciso: conquistare il potere e fare dell’Italia un Paese satellite dell’URSS».
È rimasto fuori qualcosa – un’osservazione, una storia, un nome – che le piacerebbe aggiungere o correggere?
«Non ho niente da correggere per i miei lavori precedenti. E voglio dirvi che, a fronte di sette libri ricchi di date, di nomi, di vicende spesso ricostruite per la prima volta, non ho mai ricevuto una lettera di rettifica, dico una! E non sono mai stato citato in tribunale, con qualche causa penale o civile. Persino i miei detrattori più accaniti, tutti di sinistra, non sono mai riusciti a prendermi in castagna. Mi hanno lapidato con le parole per aver osato scrivere quello che loro non scrivevano. Però non sono stati in grado di fare altro».
E a proposito di «aggiungere»?
«Come voi sapete meglio di me, nella ricerca storica esistono sempre campi da esplorare e vicende da rievocare. In Italia questa regola vale ancora di più a proposito della Guerra Civile fra il 1943 e il 1948. Parlo del ’48 perché considero l’anno della vittoria democristiana nelle elezioni del 18 aprile la conclusione vera della nostra guerra interna. I campi da esplorare sono molti, anche perché della guerra tra fascisti della RSI e antifascisti non vuole più occuparsene nessuno. I cosiddetti “intellettuali di sinistra” hanno smesso di scriverne perché si sono resi conto che il loro modo di raccontare quella guerra non regge più, alla prova dei fatti e dei documenti. Nello stesso tempo, le tante sinistre italiane non hanno il coraggio di ammettere quella che ho chiamato nel titolo di un mio libro “La grande bugia”. Se lo facessero, perderebbe molti elettori, ossia quella parte di opinione pubblica educata a una vulgata propagandistica della Resistenza. Sul versante di destra constato la stessa reticenza. Un tempo esisteva il MSI, in grado di dar voce agli sconfitti. Oggi i reduci di quell’esperienza, parlo soprattutto del gruppo nato attorno a Gianfranco Fini, si guardano bene dal rievocare il tempo della Repubblica Sociale Italiana. Infine, il Popolo della Libertà ha ben altre gatte da pelare. E a Silvio Berlusconi della Guerra Civile non importa nulla. Di fatto, sono rimasto quasi solo sulla piazza. Questo mi rallegra come autore, però mi deprime come cittadino. Sono ancora uno di quelli che non dimenticano una verità vecchia quanto il mondo: il passato ha sempre qualcosa da insegnare al presente e anche al futuro».
Che cosa risponde a chi nega valore ai suoi libri perché «poco scientifici»? È davvero soltanto una questione di note a margine?
«Mi metto a ridere! Rido e me ne infischio, perché la considero un’accusa grottesca. Questa è l’ultima trincea dei pochi “giapponesi” che si ostinano a difendere una storiografia che fa acqua da tutte le parti. A proposito delle note a piè di pagina, ricordo che tutte le mie fonti sono sempre indicate all’interno del testo, per rispetto verso il lettore e per non disturbarlo nella lettura del racconto. Per quanto riguarda i cattedratici di storia contemporanea, il mio giudizio su di loro è quasi sempre negativo. Ci sono troppi docenti inzuppati, come biscotti secchi e cattivi da mangiare, nell’ideologia comunista. Il Comunismo è morto in gran parte del mondo, ma non all’interno delle nostre università. L’accademia che ho conosciuto nella seconda metà degli anni Cinquanta era molto diversa…».
Com’è un libro di storia «scientifico»? Perché non si toglie lo sfizio e glielo fa? Oppure bisogna necessariamente scriverlo da una cattedra universitaria?
«Se per libro scientifico si intende una ricerca storica fondata su fonti controllate e che racconta fatti veri o comunque il più possibile vicini alla verità, questo è ciò che ho sempre fatto. Anche il libro che uscirà a novembre, se vogliamo usare una parola pomposa che non mi appartiene, è a suo modo un’opera scientifica. Lo è perché l’ho pensato a lungo, ci ho lavorato molto e sono pronto ad affrontare ogni contraddittorio. Ormai la storiografia accademica “rossa” non vuole fare contraddittori con i cani sciolti come me perché ha paura di essere messa sotto. Si nascondono, fanno come le lumache. Mia nonna diceva: “lumaca, lumachina, torna nella tua casina”. Non si fa così: si tengano le loro cattedre sempre più inutili, cerchino di insegnare qualcosa a studenti altrettanto svogliati. Dopodiché quello che posso fare per loro è pagare le mie tasse fino all’ultima lira, come ho sempre fatto. In fondo, io sono tra i finanziatori della ricerca storica universitaria».
A proposito di revisionismo: come giudica quello sul Risorgimento (quello neo-borbonico, ma anche la nostalgia cripto-leghista che ha in mente il Regno Lombardo-Veneto austriaco)?
«Quando ero studente diedi anche un esame di storia del Risorgimento. Non mi ricordo più con chi. Mi appassionava, però confesso di non avere un interesse per quel periodo storico. Mi rendo conto, com’è accaduto per tutte le fasi cruciali, che bisognerebbe andare a vedere anche lì se la storia ci viene raccontata nel modo giusto. Io non santifico nessuno, non mi piace. Non l’ho mai fatto nel mio lavoro di giornalista politico, per cui mi è difficile trovare qualcuno che mi entusiasmi anche tra i leader partitici. E credo che anche sul Risorgimento ci sia molto da rivedere o revisionare. Ma se un partito come la Lega Nord si mette di mezzo e pretende di riscrivere la storia, io me ne ritraggo inorridito…».
Ci fu anche allora, indubbiamente, una guerra civile che prese il nome di «brigantaggio». Ha mai pensato di occuparsene?
«Sul brigantaggio ho letto parecchio, recentemente anche un romanzo bellissimo che racconta di un episodio in Calabria o Campania, adesso non ricordo, della lotta contro i piemontesi. Ritengo che questo fenomeno fosse una forma di resistenza delle classi dirigenti del Mezzogiorno nei confronti dei Savoia per quella che era un’occupazione militare. Lo Stato unitario è certamente nato sul sangue di entrambe le parti, perché non è che i piemontesi siano andati con la mano leggera al sud, e lo dico parlando da piemontese. Del resto, le guerre sono sempre state fatte in queste modo: le vincono non soltanto coloro che hanno la strategia più intelligente, ma anche chi non usa il guanto di velluto. Basti vedere come sono stati i bombardamenti alleati in Italia durante la Seconda guerra mondiale, un altro argomento che gli storici dell’antifascismo e della Resistenza non hanno granché affrontato e che io credo di avere chiarito bene nel prossimo libro, per di più alla mia maniera. Ormai ho imparato che i conflitti bellici sono mattatoi pazzeschi. Ricordo che da bambino vidi passare sulla mia testa, a Casale Monferrato, le “fortezze volanti” americane che andavano a bombardare la Germania. In un primo tempo a scaricare esplosivo sui tedeschi erano gli aerei inglesi del cosiddetto Bomber Command, guidati da questo Harris [sir Arthur Travers Harris, maresciallo dell’aria della RAF, 1892-1984, soprannominato “Bomber Harris” NdR] che anche dai suoi era stato battezzato “Il macellaio” [per la leggerezza con cui mandava a morire i suoi equipaggi NdR]. Anch’io avrei potuto essere un bambino bombardato in Italia, ma grazie a Dio non abitavo vicino ai due ponti sul Po che attraversavano la mia città. Queste sono le guerre. È chiaro che se poi, una volta che sono finite, ci si mettono di mezzo i faziosi che pretendono di raccontarle alla loro maniera, secondo gli interessi di una parte politica, allora non ci si capisce più nulla…».
Come si esce dalle divisioni del passato? Ancora oggi l’ANPI, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, tessera dei giovani: queste cose hanno senso per lei?
«No, e io sono stato uno dei primi a raccontarlo in qualche mio articolo e anche in un libro. Una sera mi trovavo a Modena, dove mi ero recato a presentare uno dei miei lavori revisionisti, e mi accorsi che sui quotidiani locali c’erano delle pagine pubblicitarie a colori, dunque costose, e delle locandine in cui si invitavano i ragazzi a iscriversi all’ANPI. Tutto questo non ha senso o, meglio, lo ha se si pensa che l’Associazione è oggi un partito politico, minuscolo e molto estremista. Secondo me tutto ciò non ha senso, però se vogliamo capire il fenomeno bisogna dire che l’ANPI è uno strumento nelle mani della Sinistra radicale o, diciamolo meglio, affinché non si offendano, una sua componente: è chiaro che se dovesse fare affidamento soltanto sugli ex partigiani, anche su quelli delle classi più giovani del ’25, ’26 e ’27, oggi i soci sarebbero tutti ultraottantenni. Hanno bisogno di forze fresche e hanno trasformato un’organizzazione di reduci, assolutamente legittima, in un club quasi di partito. Siamo in una situazione di sfacelo delle due grandi famiglie politiche, prima è toccato al centrosinistra e ora sta accadendo per una specie di nemesi al centrodestra, e possiamo immaginarci quanto poco conti l’ANPI in questo scenario. Quando l’Italia diventerà ingovernabile e nessuno sarà in grado di gestirla, ci renderemo conto di come certi leader politici non possano fare nulla».
Come spessore dei personaggi, chi vince tra la Prima e la Seconda Repubblica? E, fra i grandi statisti del passato, chi ci servirebbe oggi?
«È una bella domanda, che però richiede una risposta complicata. Come ho scritto nella prefazione de “I cari estinti”, tanto per citare un mio libro che sta avendo un grande successo, sono un nostalgico della Prima Repubblica. Non ricordo chi lo abbia detto, se Woody Allen o Enzo Biagi, personaggi agli antipodi fra di loro, ma “il passato ha sempre il culo più rosa”. Io sono fatalmente portato a ritenere che i capi partito della Prima Repubblica avessero uno spessore più profondo, diverso, migliore di quelli di oggi, anche se in quel periodo furono commessi degli errori pazzeschi. Prima che quella classe politica si inabissasse per sempre e la baracca finisse nel rogo di Tangentopoli – non tutta naturalmente, perché il PCI fu graziato dalla magistratura inquirente – negli ultimi quattro-cinque anni si accumulò un debito pubblico folle, che è la palla al piede che ci impedisce di correre e, soprattutto, diventa una lama d’acciaio affilata che incombe sulle nostre teste. Non ho mai votato la DC, anche perché sono sempre stato un ragazzo di sinistra, ma ho una certa nostalgia della “Balena Bianca”. Il grande merito della Democrazia Cristiana fu di vincere le elezioni del 18 aprile, perché se nel 1948 avesse prevalso il Fronte Popolare, non so che sorte avrebbe potuto avere questo Paese. Secondo me ci sarebbe stata un’altra guerra civile, se non altro per il possesso del nord Italia, anche se poi la storia non si fa con i “se”. Per fortuna, lì si impose Alcide De Gasperi in prima persona. Ero molto giovane, ma quello è un leader al quale ho visto fare grandi cose nei rapporti con gli elettori. Ma pure i leader dell’opposizione a vederli da vicino erano cosa altra da adesso. Anche di Enrico Berlinguer, che era una specie di “santo in terra”, mi resi subito conto di che pasta fosse da un punto di vista politico, più che umano. Quando lo intervistai per il “Corriere della Sera”, alla vigilia delle elezioni politiche del 1976, mi disse che si sentiva molto più al sicuro sotto l’ombrello della NATO che non “protetto” dal Patto di Varsavia. Queste risposte eterodosse sull’Alleanza Atlantica e il PCI non le pubblicò “l’Unità”, censurando di fatto il segretario del Partito, perché avevano suscitato i malumori dell’ambasciata dell’URSS a Roma. Però gli stessi concetti mi furono ribaditi dal leader comunista, senza battere ciglio, anche in televisione durante una tribuna elettorale. Evidentemente, tutto ciò non doveva finire su ”L’Unità”, che era letta come il Vangelo dai militanti comunisti, mentre in tivù si poteva dire qualsiasi cosa».
Secondo lei chi è stato il più grande? E perché?
«Io direi che oggi ci servirebbe un uomo molto pratico ed energico come Amintore Fanfani, che ha curato i nostri interessi sotto molti aspetti, oppure un temporizzatore tranquillizzante come Mariano Rumor. Con tutto il rispetto per la sua figura e la fine che ha fatto, non so invece se ci occorrerebbe un Aldo Moro. A sinistra ci vorrebbe un tipo come Craxi, diciamoci la verità: Bettino aveva un grande orgoglio di partito, ma non pendenze storiche che sarebbero state sconvenienti da mostrare come accadeva a molti leader del PCI. In conclusione, ci servirebbe un leader democratico e liberale in grado di imporsi con autorità e autorevolezza per mettere fine a questa guerra civile di parole di cui in Italia non ci rendiamo troppo conto e che diventa sempre più violenta. Il più grande di tutti resta comunque De Gasperi, un uomo affascinante, brillante e capace: se non sbaglio fece sette governi, si ritirò a metà dell’ottavo per il venir meno della fiducia e fu per undici mesi segretario della DC prima di morire nel 1954. È stato il politico che ha concesso a me e a voi, in un giorno d’estate del 2010, di procedere in quest’intervista senza paura di dire come la pensiamo».
Come giudica, anche da piemontese, il modo con cui l’Italia si appresta a «festeggiare» i primi centocinquant’anni di vita nel 2011 e le dimenticanze su Cavour in questo 2010?
«Vi dirò una cosa: io sono contrario alle celebrazioni, anche le più oneste. Non servono a nulla, se non a far girare un po’ di consulenze, a far lavorare qualche storico, vero o presunto che sia, gli architetti, qualche grafico e chi si occupa di opere pubbliche per tirar su mostre, ripristinare un museo e via dicendo. Non me ne importa nulla e non sono affatto d’accordo. Chi vuole approfondire la storia del Risorgimento, trova già tutto: basta che vada in una buona libreria e si faccia consigliare da qualche bravo insegnante, magari di liceo, che spesso è anche più competente di tanti docenti universitari…».
Che popolo sono gli italiani? È giusto dire che dimenticano tante cose belle e si accapigliano a distanza di secoli sempre sulle stesse cose?
«Io ho un’idea abbastanza precisa di come siamo: un popolo in declino, che non è all’altezza delle nazioni con le quali dovremmo confrontarci. L’Italia è un Paese di “serie B”, che presto scenderà in “serie C”, con una squadra di calcio che non combina più nulla da un sacco di anni. La gente è sfiduciata e non vuole più saperne della politica, anche per come è la politica oggi. I giovani sono in preda ai “fancazzismi” più esasperati e affollano le università per lauree assurde, vere e proprie anticamere della disoccupazione. A un sacco di ragazzi se chiedi che cosa vogliono fare da grandi, non sanno risponderti, perché non vogliono nulla. Questo è un Paese per vecchi che diventano sempre più vecchi e io mi metto in cima alla lista, perché a ottobre di anni ne avrò settantacinque. Quand’ero giovane l’Italia era un contesto più generoso e che osava, baciato da miracoli economici successivi, in cui il figlio di un operaio del telegrafo e di una piccola modista, allevato da una nonna analfabeta come Giampaolo Pansa, poteva andare all’università, laurearsi e fare il giornalista, che era la cosa che avrebbe sempre voluto fare. Adesso l’Italia è un deserto di speranze, ma anche i giovani non si accontentano mai. Oggi se ho bisogno di un idraulico, di un falegname o di un elettricista, o trovo dei signori ultracinquantenni, o mi affido a giovani molto bravi che quasi sempre sono extracomunitari. Vallo a spiegare ai ragazzi italiani che gli studi universitari non garantiscono più nulla…».
Gabriele Testi

Guillermo Fariñas, "dissidente" a pagamento.

Dal Blog Viva Cuba.


Per un cubano finto dissidente a pagamento il premio Sacharov del Parlamento Europeo, per i milioni di veri dissidenti europei che lottano per la sopravvivenza (Grecia, Francia, Spagna, Italia....) manganellate e lacrimogeni. E si dicono democratici questo perditempo strapagati mentre i lavoratori muoiono di lavoro e di botte!

Ma chi è questo povero "represso" per meritarsi tanta gloria?

Guillermo Fariñas, detto "El Coco", è uno sfaccendato che per vivere fa il dissidente, un lavoro ben retribuito dall'imperialismo in cerca di scoop che non si trovano. Che non si trovano a Cuba ovviamente perché se guardassero dove ben sanno di dissidenti veri ne troverebbero a iosa....

Io per esempio! Io sono un dissidente, detesto dal più profondo dell'animo il capitalismo e l'imperialismo che ritengo sistemi criminali responsabili di aver portato l'inferno in terra. Ma chissà perchè, non mi cagano!!!! E di bigliettoni verdi nemmeno a parlarne.... Ma mettiamo il caso che decidessi di arricchirmi. Facile! Visto che vivo spesso a Cuba, la conosco bene, l'ho sempre difesa con tutte le mie forze contro le vili aggressioni di cui i cubani sono vittime dallo stesso giorno che hanno deciso di essere un paese libero, mi basterebbe fare il salto del muro, fare un po' come Bondi per intenderci, ed hoplà, balzerei immediatamente dal silenzio alle cronache. Sicuro che verrei invitato da Fabio Fazio a Che tempo che fa, e pure ben retribuito, almeno quanto Tony Blair. E mi farebbero fare una, che dico una, molte trasmismissioni televisive milionarie e se mi spingessi a dichiararmi a favore di Israele mi darebbero pure la scorta come a Roberto Saviano.

Fatto! Divento ricco e 'fanculo ai cubani!!! Ma ci vuole un bel fegato, e quello io ce l'ho normale, non come quello di Fariñas che deve essere enorme. E pure una gran bella faccia tosta, con tutto quello che Cuba, paese del Terzo Mondo non dimentichiamolo, mi ha regalato.... Pensate che a Cuba mi curano gratis malgrado a loro non ho versato un centesimo mentre in Italia ho pagato una fortuna per pressochè niente. Se han dato molto a me, figuratevi a Fariñas, che lì ci vive dalla nascita anche se dissente. Ma lui ce l'ha la faccia tosta, io no! Per questo col cazzo che mi daranno mai un premio!!!! Col cazzooooooo! A lui sicuro che glie ne daranno altri, già glie ne hanno dati parecchi ma se continua a fare scioperi della fame rischia il Nobel. Di scioperi della fame lui ne ha già già fatti ben 23, pensate, passare quasi tutta la vita senza mangiare e senza mai morire! Manco Pannella....

Io invece sono sfigato, sono nato in Italia invece che a Cuba e non mi premieranno mai malgrado io la fame la dovrei fare tutti i giorni, eh sì, tutti i giorni. Perchè io, onesto italiano, dopo 45 anni di lavoro mi danno una pensione con la quale non riesco a vivere nemmeno un giorno perchè appena mi basta per pagare le spese della casa, dell'auto, del telefono, l'acqua, il gas, il riscaldamento, la spazzatura, la fognatura, tasse varie e l'ICI. Si l'ICI, perchè Berlusconi mica l'ha tolta a tutti come va raccontando, l'ha tolta solo ai ricchi come lui, chi come me ha famiglia deve pagarla perchè se lasci la casa ai figli e tu ne prendi un'altra diventa seconda casa, e paghi l'ICI!!!!! Ricazzo, proprio unItalia democratica mi doveva capitare! A Fariñas invece niente di tutto questo, a lui la casa l'ha data lo stato, non ha mai fatto un emerito cazzo se non infangare lo stato e questi gli danno pure la casa! Sarà per questo che dissente? Come, a lui la casa la da lo stato mentre a me niente, ho dovuto farmela io pagandoci sopra una montagna di tasse e lui lo pagano per dissentire?????? Non è mica scemo questo gran figlio di mignotta, fa lo sciopero della fame e ricatta il governo che gli ha dato tutto, se non gli danno il telefono, sciopero della fame, se non gli danno il cellulare, sciopero della fame, se non gli danno internet, scioppero della fame, se non gli danni il computer, altro sciopero della fame! Ed il Governo cubano è costretto a cedere al ricatto di un bastardo per non far partire la solita campagna mediatica anticubana che sta pagando al prezzo di un computer per ogni centesimo di secondo. Allora visto che pure il Governo cubano paga, avanti con gli scioperi della fame. Presunti ovviamente, perchè chi fa davvero lo sciopero della fame muore e non riesce nemmeno a fare il secondo altro che 23! Ed il Parlamento europeo si trova nell'impossibilità di fare campagne mediatiche. Ma quì arriva in soccorso l'unto dal Signore, lui sa come fare e la sua storia lo dimostra. Per premiare una vittima della repressione non serve un represso vero, basta dire che lo reprimono ed è fatta. Certo, qualche comunista dirà che è una vergogna ma lasciamo che dica, chi li ascolta più, non hanno più nemmono un partito degno di tale nome e manco uno straccio di giornale, figuriamoci!

E così il finto represso se la ride, con cellulare ed internet pagati da altri va dicendo a tutti che sta in carcere mentre vive nella sua agiata casa di Santa Clara, fa finta di non mangiare ma non muore mai. Scommettiamo che riuscirà ancora a ricattare il suo Governo e lo costringerà a lasciarlo venire in Europa a ritirare il premio malgrado abbia pendenze con la giustizia per aggressioni? Non ha aggredito un non dissidente che ce l'aveva con lui, macchè, ha aggredito una donna ed un'anziano? Che ingiustizia per uno come me che dissento veramente, a me niente di niente, continueranno a non cagarmi. Per mia fortuna c'è la dittatura cubana che il giorno che deciderò di non fare il pensionato che continua a lavorare per vivere, cioè domani, mi permetterà di campare fino alla fine dei miei giorni. Per questo continuerò a dissentire veramente urlando forte: ABBASSO IL CAPITALISMO E LA SUA FINTA DEMOCRAZIA! VIVA LA LIBERTA' DELLA DITTATURA CUBANA! E 'fanculo al Parlamento europeo e pure a quel bastardo di Fariñas con il quale mi toccherà convivere. Unico neo di un futuro povero ma felice....

PS, 'fanculo pure agli idioti che applaudono i loro carcerieri.

07 ottobre 2010

Negazionisti (ambientali) a marcia indietro.

Di Fulco Pratesi per National Geografic.


Pare che il professor Bjorn Lomborg, definito il “grande dissidente dell’ambiente” e autore di libri come “L’ambientalista scettico” abbia fatto recentemente marcia indietro nella sua azione di negazionista militante nell’ opera di smontaggio delle teorie scientifiche che denunciano un aumento progressivo della temperatura globale provocato dalle attività umane, basate soprattutto su un utilizzo incontenibile di combustibili fossili.
Le  sue posizioni controcorrente hanno per anni fatto la gioia  dei più famosi gruppi  industriali e sviluppisti che vedevano (e vedono) come fumo agli occhi ogni possibile riduzione dei loro consumi e dei loro guadagni.
Quest’astuta opera di diffusione di dubbi e incertezze, che ora pare ridimensionata, ha però provocato molti danni, a livello globale, facendo diminuire e rallentando gli impegni verso politiche energetiche e industriali più accorte e prudenti.
E di quest’ azione  (sua e dei tanti interessati seguaci di casa nostra) nessuno gli chiederà conto, come avviene invece nei confronti di chi contesta e nega la realtà dell’Olocausto.
Una domanda che vorrei fare agli ancora numerosi individui che negano ilglobal warming e la responsabilità dell’uomo in questa preoccupante evoluzione, sbeffeggiando personaggi come il premio Nobel Al Gore  e altri che mettono in guardia contro sviluppi imprevedibili e minacciosi.
Questa la domanda: “Quali sono, secondo voi  gli interessi dei cosiddetti “catastrofisti”? Quelli legati alla produzione di pale eoliche e di pannelli solari? L’aumento delle copie vendute puntando sui timori della gente comune? La ricerca di finanziamenti pubblici per lanciare campagne di risparmi energetici?”
Non credo che, messi tutti assieme, possano paragonarsi agli stratosferici interessi industriali legati ai combustibili fossili, a uno sviluppo consumistico senza limiti, al mantenimento di un processo distruttivo delle risorse non riproducibili del Pianeta.
E credo, nel contempo, che – come è successo per l’industria del tabacco che ha per decenni negato i danni del fumo – ancora molto tempo dovrà passare prima che queste interessate resistenze inizino ad essere ridimensionate per il bene dell’umanità.

02 ottobre 2010

"Attentato" a Maurizio Belpietro: ecco a voi tutte le stranezze del caso.

da Non Leggere Questo Blog.



Gli investigatori parlano di un vero e proprio "rompicapo": dell'uomo che avrebbetentato di uccidere il Direttore di Libero Maurizio Belpietro si sa poco e nulla. Nonostante questo, la legione papale si è mossa immediatamente, quel killer è stato armato da Gianfranco Fini, da Antonio Di Pietro, anzi da Facebook, dai Blogger, no, dai grillini, e pure dal Popolo Viola, Travaglio e Lisa Simpson. Quella roba lì insomma. Dinamiche che vanno sfruttate nel brevissimo periodo, a prescindere da verità, falsità e riscontri esaustivi. Via subito ai mandanti morali, ai generatori d'odio, è il ritorno agli anni di piombo. Vabbè, vedremo. Intanto mi sono permesso di raccogliere tutte le curiosità del caso, sapete, quando si ha a che fare con una certa parte politica e giornalistica è sempre meglio andarci piano. Tra cimicioni-farsaauto-minacce,allarmi-falsi e pseudo-bombe, nel luogo dove si continua a mischiare verità e menzogna, nel luogo dell'esasperazione mediatica e della "Betulla" atomica, beh, è d'obbligo usare la prudenza. Dicevo, ecco tutte le stranezze dell'"attentato" alla vita di Maurizio Belpietro:
  1. Il capo scorta, dopo anni di routine, decide di non prendere l'ascensore, ma scendere per le scale. Per potersi fumare una sigaretta, dice. Sarà proprio questa provvidenziale casualità a farlo imbattere nel malintenzionato, prima che questi possa dirigersi dal Direttore di Libero.
  2. L'attentatore tenta immediatamente di uccidere il capo scorta, sparandogli in faccia da una distanza ravvicinata. Questo racconta il poliziotto. La pistola però s'inceppa, fa "click", poi il killer scappa. Un'altra provvidenziale casualità.
  3. La pistola viene descritta dal capo scorta come una "Beretta", quindi una semiautomatica. Pistola affidabilissima, scelta come arma ufficiale da molti eserciti del mondo, compreso quello italiano. Io non sono un intenditore, ma da quello che ho capito non è possibile che questo tipo di arma s'inceppi, non nel modo descritto dal capo scorta.
  4. Spunta persino l'ipotesi "pistola-giocattolo", ma i media vicini al Presidente del Consiglio non la prendono assolutamente in considerazione, e non ne fanno cenno.
  5. La reazione dell'attentatore alla vista del capo scorta è particolarmente violenta. Il poliziotto era vestito in borghese, perché ucciderlo? E se fosse stato un normale condomino? Perché non provare a far finta di niente, e risalire tranquillamente le scale?
  6. La reazione del capo scorta: dopo aver visto la morte in faccia (ricordiamo la pistola puntata sul suo volto) si getta a terra, o dietro un angolo, poi fa fuoco mirando al killer. Due volte, poi si alza, insegue giù per le scale l'attentatore - un paio di rampe - e spara una terza volta. Poi risale da Belpietro. Nessun colpo giunge a segno, ed in questo momento la sezione balistica della Questura di Milano sta indagando sulla traiettoria dei proiettili sparati. Inizialmente si è parlato di "3 spari in aria", con il semplice obiettivo di dissuadere il malintenzionato. Aspettiamo ulteriori riscontri.
  7. Sono attimi concitati, fuori è notte, a rischio la vita, il criminale in fuga. Tutto in un lampo, ma il capo scorta riesce a descrivere il tipo di pistola, il volto, la carnagione, la corporatura e l'abbigliamento del fuggitivo: prima si parla di un uomo vestito da finanziere, poi le ore passano e si scopre che quell'uomo aveva i pantaloni di una tuta adidas, bianchi con righe nere, ed una camicia "grigio-verde con mostrine" che potrebbe ricordare quella della Gdf. Un po' straccione, ecco.
  8. Gli agenti di scorta sono professionisti particolarmente preparati, che devono saper fronteggiare qualsiasi situazione di pericolo. In questo caso il poliziotto ha sì messo in fuga l'attentatore, ma non è riuscito a colpirlo da una distanza ravvicinata, dopo aver subito un'aggressione gravissima, per poi lasciarselo sfuggire.
  9. Il racconto di Maurizio Belpietro: a Repubblica afferma di essere entrato in casa (6°piano) e di aver lasciato la porta socchiusa, di aver sentito gli spari, di essersi girato ed aver visto l'agente proteggersi dietro ad un angolo, per poi rispondere al fuoco. Ma l'agente ha incontrato l'attentatore solo al piano inferiore (tra il 4° ed il 5°), e quindi sarebbe stato impossibile vederlo. Difatti Belpietro alla maggior parte dei media dichiara qualcosa di diverso, e cioè di aver chiuso la porta di casa alle sue spalle, una volta entrato, e di aver sentito in un secondo momento gli spari.
  10. Belpietro afferma di essere andato istintivamente verso la porta, una volta sentito il trambusto - per poterla aprire e capire cos'era successo - ma di essere stato subito avvertito dagli agenti di scorta di rimanere in casa, che c'era un uomo armato nel palazzo. Ma il poliziotto che aspettava in macchina non si è accorto di nulla, e l'altro era occupato con il malintenzionato. Chi ha avvertito Belpietro con tanta rapidità, immediatamente dopo l'ultimo sparo? Un punto da chiarire.
  11. Il fallito attentato non è stato ancora rivendicato. Il capo della polizia Manganelli ordina di vagliare ogni ipotesi, ma già parla di un "fanatico singolo", spezzando il clamore mediatico: "Magari poi si scoprirà che la pistola era finta, e che l'attentatore voleva solo spaventare".
  12. La scientifica ha analizzato scale e garage: non ci sono indizi, nessuna traccia.
  13. Per ora la quasi totalità della ricostruzione si basa sulle parole dell'agente di scorta coinvolto nel fattaccio, tale A.M., promosso agente scelto dopo aver sventato un altro possibile attentato. Era il 1995, e la vittima designata il procuratore D'Ambrosio. La dinamica ricorda molto quella avvenuta nel palazzo di Belpietro: anche allora A.M. mise in fuga l'attentatore, ma non riuscì a catturarlo o a colpirlo, ed i responsabili del possibile omicidio non sono mai stati individuati.
  14. L'attentatore è probabilmente fuggito dall'uscita secondaria, che dà su Corso Borgonovo. D'obbligo quindi imbattersi nella relativa telecamera, o nel custode, che abita proprio lì. Ma nessuno ha notato niente, né l'occhio umano, né quello elettronico. Da dove sia fuggito l'attentatore, rimane un mistero. E pure da dove sia entrato: nessun condomino ha notato niente di strano.
  15. Infine casa-Belpietro è situata in pieno centro a Milano - vicino allo show room di Armani - ed è quindi circondata da telecamere. Se qualcuno è entrato o uscito da quel palazzo, impossibile non venga ripreso. Gli investigatori hanno già controllato tutte le registrazioni, fino a 4 isolati di distanza, ma per ora niente. L'attentatore è un fantasma.

17 agosto 2010

Come volevasi dimostrare...

Come volevasi dimostrare le "notizie" apparse sui media mainstream occidentali circa fantomatiche punizioni contro giocatori e staff tecnico della nazionale nordcoreana erano nient'altro che delle super-bufale.
A volte è facile dimostrarlo, basta attendere un poì, altre volte è un poì più difficile ma sempre bufale restano.
Viva la Repubblica Democratica Popolare di Corea!
Viva la libertà e la verità.

06 luglio 2010

Immagini (sacre?)

dal blog di Paolo Attivissimo.

Sabato scorso, alla cena magica del CICAP, ho avuto occasione di incrociare Luigi Garlaschelli, autore di ricerche sulla Sindone. Mi ha confermato che l'articolo completo sulle sue ricerche storico-tecniche e sui suoi esperimenti di duplicazione della Sindone, di cui avevo parlato tempo addietro nei commenti a questo articolo (e che ho già letto come suo revisore linguistico), verrà pubblicato da una rivista scientifica nel numero di luglio-agosto e dovrebbe fornire i dettagli delle questioni toccate molto brevemente nei sunti finora circolati e che hanno suscitato parecchia discussione.

Nel frattempo segnalo quest'intervista di Marco Cagnotti a Garlaschelli, nella quale si fa in sintesi il punto delle presunte prove di autenticità e non riproducibilità della Sindone e soprattutto viene messa in luce l'effettiva competenza di chi ancora insiste a voler sminuire il divino cercandolo dentro un lenzuolo. Un esempio: sapevate che il ritrovamento di pollini mediorientali sulla Sindone, che ne documenterebbe e daterebbe il viaggio da Gerusalemme, è opera della stessa persona che "autenticò" i diari falsi di Hitler, e che i suoi risultati sono stati smentiti anche dai palinologi?


Intanto qualcuno invece dice di vedere l'immagine di Gesù su un terreno della campagna ungherese

04 maggio 2010

Una risposta* autorevole alle bufale di Luca Ricolfi

* Che vale anche come risposta a questo infelice articolo (e all'ancora più felice commento di risposta) di Fabio Chiusi dato che l'autore dell'articolo smonta in poche righe proprio quel "metodo"(ma verrebbe da dire mancanza di metodo) di cui Ricolfi si vanta.



In Italia abbondano gli opinionisti, ma scarseggiano gli analisti, coloro cioè studiano dati e fatti con la stessa pignoleria degli scienziati da laboratorio. Luca Ricolfi, sociologo con la vocazione a occuparsi di economia, è uno di questi. Mai banali, sempre documentati, i libri e gli articoli del professore piemontese sembrano, quasi tutti, ispirati dall’imperativo categorico che dovrebbe animare un vero intellettuale: sfatare i luoghi comuni. Infatti. Nell’opera di demolizione del luogocomunismo Ricolfi è un picconatore instancabile, come possono testimoniare molti commessi culturali, organici alla sinistra o alla destra.
Ma siccome nessuno è perfetto, e siccome anche Omero ogni tanto si addormenta, può capitare che a furia di insistere nella battaglia contro i luoghi comuni si perda di vista l’essenziale.
O addirittura si sbagli la mira contro il bersaglio designato. Oggi è un luogo comune dire che il Nord è il Bene mentre il Sud è il Male. Da uno studioso raffinato e indipendente come Ricolfi ci saremmo aspettati la confutazione di questo paradigma dogmatico, sulle cui fondamenta Umberto Bossi ha costruito una fortuna politica inferiore solo a quella del Cavaliere. Invece, manco fosse uno spin doctor del Senatùr, il bravo Ricolfi ha dato alle stampe un saggio-pamphlet il cui titolo «Il sacco del Nord» non ha bisogno di particolari esegesi. Il saccheggio del Settentrione, dice in sostanza l’autore, sta azzoppando il Paese, ogni anno 50 miliardi di euro lasciano ingiustificatamente le regioni del Nord per dirigersi al Sud.
Cinquanta miliardi? Non sappiamo come abbia fatto Ricolfi a calcolare questa cifra, anche perché la questione contabile Nord-Sud è più controversa di una lite postconiugale sul patrimonio da dividere. Se dovessimo calcolare non i soldi che dalle Regioni del Nord scendono al Sud ma i quattrini che lo Stato centrale invia al Nord sotto forma di cassa integrazione e aiuti alle aziende in crisi; se dovessimo calcolare i risparmi che le Banche settentrionali raccolgono al Sud e destinano al Nord; se dovessimo calcolare le tasse che alcuni gruppi industriali pagano al Nord, pur operando e inquinando al Sud. E ci fermiamo qui. Beh, se dovessimo calcolare fino all’ultimo decimale il viavai di denari tra le due Italie, anche il professor Ricolfi si renderebbe conto, con la buonanima di Karl R. Popper (1902-1994), che «nel momento in cui credi di essere venuto a capo di qualcosa, tutto è perduto. Non veniamo mai a capo di qualcosa, i nostri problemi si spostano di continuo, vanno sempre più lontano». Si fa presto a dire che ogni anno il Nord regala 50 miliardi al Sud. Cinquanta miliardi? Bah. Qui l’unica cosa certa, riconosciuta dallo stesso Ricolfi, è la seguente: «Il vittimismo del Mezzogiorno è perfettamente giustificato se guardiamo alla prima parte della storia d’Italia, quando la politica del Regno - attenta ai soli interessi del Nord - ha creato la questione meridionale, generando un divario che nel 1861 probabilmente non c’era, e se c’era era di proporzioni modeste, in ogni caso molto minori di quelle attuali». Ma il medesimo vittimismo - secondo Ricolfi - è largamente immotivato se si studia la storia dell’Italia repubblicana, nella quale «il Mezzogiorno non solo ha in parte risalito la china (specie tra il 1951 e il 1975), ma è diventato il principale beneficiario dell’immenso apparato burocratico-clientelare che ha spento le energie produttive del Paese».
Ok. Ma già il fatto che, come scrive il professore, il Regno abbia sposato una politica filo-settentrionale dal 1861 al 1945 (poco meno di un secolo) non è ammissione da nulla: neppure venti Bill Gates meridionali avrebbero potuto recuperare un ritardo così cospicuo rispetto al Nord qualora lo Stato arbitro si fosse comportato, come si è verificato per decenni, in maniera parziale a favore dell’Italia padana. Quanto poi all’Intervento straordinario per il Mezzogiorno, solo uno studioso superficiale (e non è il caso di Ricolfi) potrebbe sostenere che ha giovato esclusivamente all’assistenzialismo nel Sud. E i soldi finiti ai finti imprenditori del Nord che hanno saccheggiato risorse al Sud, grazie alla legislazione speciale, per poi sparire in qualche valle alpina o in qualche paradiso fiscale e naturale del Centro-America? Sembrano banalità, in realtà sono verità accertate, che spesso si tende a dimenticare.
Ciò detto, non saremo noi a contestare a prescindere la frase crociana sul paradiso abitato da diavoli. Il Mezzogiorno è affollato di peccatori e furbetti. Ma non è che il Nord sia la nuova frontiera degli angeli. Non è che il Sud sia il festival della spesa pubblica mentre il Nord resta l’ultimo avamposto del buongoverno e della sana amministrazione: gli scandali aministrativi e finanziari di Nord e Sud si somigliano come le gemelle Kessler. Idem certi sprechi di fondi pubblici.
La differenza è che il Nord, grazie allo statalismo nordista già biasimato da Luigi Sturzo (1871-1959), è partito con un grande vantaggio. E anche adesso, contrariamente a certi luoghi comuni che lo danno sedotto e abbandonato, il Nord fa la voce grossa, spesso ascoltata, su infrastrutture, grandi investimenti, sussidi vari. Il che, ripetiamo, non assolve il Mezzogiorno dalle sue debolezze vecchie e nuove, ma non deve neppure costituire un paradossale esclusivo capo di imputazione ai suoi danni.
Su una cosa Ricolfi ha perfettamente ragione: il pericolo che il federalismo fiscale sfoci in un nuovo show della spesa pubblica, da parte di Regioni e Comuni. Ma la questione merita un articolo ad hoc.  

09 aprile 2010

Le bufale sindoniche di Bruno Vespa



Giovedì sera penso molti di quelli che avevano la tv accesa si siano imbattuti nella puntata di Porta a Porta dedicata alla Sindone di Torino.
A dispetto del titolo del post non voglio stare li troppo a perdere tempo sulle scorrettezze e sulla mancanza di rispetto della deontologia professionale da parte del viscido insetto e neanche stare a parlare della "nuova televisione" superblindata e supercensurata del regime berlusconiano. Per questo vi rimando a questo ottimo articolo tratto dal blog Ismaele.
Vorrei invece parlare proprio di lei, della sindone in modo che possiate capire la portata delle minchiate dette da Vespa. Partirei dall'unica cosa veramente interessante detta in trasmissione, detta dall'esperta in tessuti Mechtild Flury Lemberg (che per inciso non ha mai detto che il telo è del I secolo ma che potrebbe anche essere, cosa ben diversa). La cosa interessante detta dalla Lemberg è che il campione usato per il test del carbone14 non appartiene a nessun rammendo e quindi sul telo sono presenti tracce di pigmenti: questo smentisce tutto quanto detto da decenni riguardo l'impossibiltà che la sindone sia un dipinto.
Inoltre dimostra che il campione usato per la datazione al carbonio14 era corretta essendo corretto il prelievo di un campione assolutamente rappresentativo della sindone stessa (cosa messa in dubbio dallo stesso Raymond Rogers, poco prima della sua morte, che aveva analizzato la sindone col metodo del carbonio14 proprio quando si accorse della presenza di pigmenti nel campione che quindi ha ritenuto appartenere a un rammendo): invece i pigmenti ci sono e su tutta la sindone ma soprattutto le analisi sulla datazione erano corrette: il telo è del XIV secolo e quindi l'immagine può essere solo contemporanea o successiva.
D'altronde il fatto che la sindone non possa essere "il calco" di un corpo umano è talmente ovvia che non dovrebbe dare oggetto a nessuna discussione. Questo perché quando si posa un velo su un viso l'eventuale immagine che verrebbe impressa quando il velo si adagia sui connotati del volto apparirebbe inevitabilmente deformata verso l'esterno quando il telo verrebbe messo in posizione piana com'è nella sindone, un principio che conoscono molto bene, per esempio coloro che si occupano di grafica 3d ma che era conosciuto anche in epoche molto antiche.
A proposito della presunta "tridimensionalità" della sindone vale solo dire che qualsiasi immagine 2d può essere trasformata in 3d attraverso l'uso di normalissimo software che si può trovare anche comunemente in commercio, la sindone non ha nulla di speciale.
Altre obiezioni risibili sono quella che vuole la presenza di pollini provenienti dal medio oriente sulla sindone stessa. Quant'anche fosse vero potrebbe trattarsi tranquillamente di una coincidenza provenendo all'epoca (XIV-XV secolo) moltissime merci e stoffe in particolare da quella zona.
Pure il sangue non crea grossi problemi per un'eventuale falsificazione:  "come spiegare i coaguli ematici se non con il contatto diretto con un cadavere?". Basta usare una provetta o qualcosa di simile!
La grande bufala però riguarda l'impossibilità della falsificazione dell'immagine della sindone, che oltre ad essere un controsenso (qualsiasi fenomeno chimico può essere ripetuto) è dimostrata falsa dai fatti.
Vi invito dunque a guardare il video di qui sopra riguardante l'opera del prof. Garlaschelli che pure non è certamente il primo esempio di riproduzione della sindone riuscita. Con metodi diversi infatti, quasi 20 anni fa il professor Nicholas Allen, riuscì usando materiali a disposizione di un ipotetico falsario medioevale e un metodo che sfrutta le leggi dell'ottica e una rudimentale macchina "fotografica" a creare una copia credibile della sindone. Risibili ("nel Medio Evo nessuno avrebbe potuto realizzare una statua così corretta da lato anatomico", come se non ci erano già riusciti i greci, tanto per citarne alcuni secoli prima) e scorrette (Allen non ha mai parlato di usare cadaveri) sono le obiezioni contro Allen .
Riguardo alle teorie di Allen vi segnalo questo link visto che Google ha scelto di censurarle (in Italia, non in Cina).
Ma quella di Allen e di Garlaschelli non sono che due di molte verosimili e simiglianti sindoni create con i metodi più disparati.
Sicuramente la sindone qualche mistero continuerà sempre ad averlo ma non certo per qualche motivo soprannaturale. Se una cosa si è capita è che non può essere "originale".

19 marzo 2010

"Soli contro i comunisti"


Il Ppe si attribuisce tutti i meriti della fine della falce e martello. Tira aria di riscrittura della storia.

Sentita ieri al Parlamento europeo.
"Noi abbiamo combattuto il comunismo. Abbiamo denunciato la grande menzogna del comunismo. Il partito popolare europeo è stato solo nella sua battaglia. Gli altri partiti erano ciechi".

Parlava il segretario generale del Ppe,  Antonio López-Istúriz.

Tira aria di riscrittura della storia. Non la prima volta. Non l'ultima.

di Marco Zatterin per La Stampa.

31 dicembre 2009

NON E’ VERO CHE L’ITALIA HA ATTRAVERSATO LA CRISI MEGLIO DI ALTRI PAESI: IL PIL E’ TORNATO AI LIVELLI DEL 2001

Dal Blog Destra di Popolo

MENTRE L’ITALIA HA PERSO OTTO ANNI, GERMANIA E FRANCIA SONO ARRETRATE SOLO DI TRE… LA PRODUZIONE INDUSTRIALE E’ CROLLATA DEL 25%, TORNANDO AI LIVELLI DI 25 ANNI FA, NESSUN ALTRO GRANDE PAESE EUROPEO HA NUMERI COSI’ NEGATIVI….E IL 2010 INIZIA CON AUMENTI DI AUTOSTRADE, GAS E ASSICURAZIONE CHE COSTERANNO 600 EURO A FAMIGLIA

Finisce un anno difficile per le famiglie italiane e sta per iniziare un 2010 in cui si annuncia un lenta ripresa per l’economia mondiale.
Tanti uomini e donne del nostro Paese stanno vivendo un serio momento di difficoltà.
Una ricerca Ires, resa nota stamane, certifica che il 10% delle famiglie italiane detiene il 44,5% della ricchezza nazionale, mentre aumenta la distanza tra ricchi e poveri.
Sull’altro lato della scala sociale, infatti, il 50% delle famiglie ha a disposizione solo il 9,8% della ricchezza.
Accanto all’11% delle famiglie italiane che vivono al di sotto della soglia di povertà, c’è ormai un altro 7,9% di quasi poveri, quelli che vivono sull’orlo del precipizio, quelli che si vergognano e quasi lo nascondono.
Aumentano le richieste di anticipo sulla liquidazione, i pignoramenti e le cessioni di un quinto dello stipendio, i prestiti richiesti a finanziarie per fronteggiare non solo le emergenze, ma le quotidiane spese alimentari.
Facile lanciare lo slogan “nessuno sarà lasciato indietro”, quando ormai di tanti italiani indigenti si sono perse le tracce nei tornanti delle difficoltà della vita.
Facile trincerarsi dietro falsità come “nessun Paese europeo ha reagito così bene come il nostro alla crisi economica internazionale”: sono slogan che possono garantire qualche voto in più, in regime di monopolio dei media televisivi, ma son ben lungi sia dalla verità che dalla risoluzione dei problemi reali.
L’Italia ha attravervato la crisi meglio di altri? Non è vero.
I dati ufficiali della Banca d’Italia dicono che, dal 2007 ad oggi, il Pil italiano è tornato ai livelli del 2001, mentre Germania e Francia hanno perso solo tre anni, assai meno dei nostri otto e mezzo.
Se esaminiamo la produzione industriale, il crollo è ancora più evidente: in un solo anno abbiamo perso il 25%, tornando ai livelli di ben 25 anni fa.
Nessun altro grande Paese europeo ha numeri così negativi, a dimostrazione di una nostra costante, persistente e progressiva debolezza.
Manca una strategia sia da parte del governo che dell’opposizione, forse perchè la convenienza politica suggerisce il quieto vivere: meglio un declino soft, percepito gradualmente, che un impatto argentino.
Ma non crediamo che sia questo il compito di chi fa politica: siamo tra coloro che ritengono il popolo italiano adulto e responsabile, e dovere della politica non nascondere mai la verità.
A mezzanotte di oggi scattano altri pesanti aumenti.
Domani gli italiani, dopo i festeggiamenti e i cenoni, si sveglieranno con la vita più cara.
Ami la televisione? Pagherai 1,5 euro in piùdi canone.
Non puoi fare a meno di gas e acqua? Troverai le bollette più care di 50 euro l’anno.
Usi l’auto? Ecco l’aumento del 2,7% medio delle tariffe autrostradali ( costo 60 euro l’anno in più per famiglia) e quello delle assicurazioni (130 euro l’anno), oltre al solito balzo della benzina (90 euro l’anno).
Viaggi in aereo? Beccati l’aumento delle tasse aereoportuali (3 euro a viaggio).
E altre arriveranno, come la tassa sugli atti giudiziari.
E poi si dice che non si mettono le mani nelle tasche degli italiani…
Solo questi aumenti costeranno circa 600 euro l’anno a famiglia: per qualcuno sarà nulla, per molti sono importanti rinunce.
Ecco perchè gli italiani avrebbero diritto a un modo diverso di fare politica, basata su una informazione corretta, sulla verità, sui fatti e non sempre su promesse e spot pubblicitari.
Chiudiamo con una notizia emblematica.
Daniela Santanchè, per un anno tra gli irriducibili contestatori “da destra” del Pdl, famosa per aver definito Berlusconi “un uomo che le donne le vuole solo orrizzontali”, salvo poi convertirsi sulla via di Arcore, a breve sarà promossa sottosegretaria al Welfare.
I motivi? Fonti qualificate del Pdl sostengono che “è una che porta 700.000 voti” e che ” è stata lei a convincere Feltri a passare a il Giornale”.
Se queste sono le medaglie al merito, se queste sono le motivazioni di una “pasionaria” della presunta e sedicente ex “destra sociale”, cari amici di destra cercate la prossima volta di non farvi almeno prendere per il culo . Buon anno e un abbraccio a tutti.

05 dicembre 2009

270 milioni di vittime del Jihad e altre bufale


Un lettore mi segnala un testo che gira in rete, secondo cui i musulmani avrebbero ucciso 270 milioni di non musulmani in 1400 anni di jihad; e precisamente 60 milioni di cristiani, 80 milioni di indù, 10 milioni di buddisti (in Afghanistan e lungo la Via della Seta), più 120 milioni di cristiani e animisti in Africa.[1]

Su Internet, testi di questo tipo corrono a notevole velocità; e questo è scritto in un inglese talmente semplice da essere traducibile persino da un neocon italiano. Per cui presumo che lo troveremo presto anche in italiano, se non c'è già.

L'affermazione viene fatta da un certo Bill Warner, in un'intervista aFront Page Magazine, il principale organo planetario dell'islamofobia.
270 milioni di vittime del Jihad e altre bufale
Bill Warner

Bill Warner compare come direttore del Center for the Study of Political Islam, che si presenta a sua volta come un "team di esperti" di "scienze politiche, scienze, storia, studi classici greco-latini, statistica, fisica e filosofia".

Peccato che il sito non specifichi:

1) chi siano questi esperti

2) chi sia Bill Warner [2]

3) dove si trovi la sede del presunto centro studi

Approfitto del fatto che il revisionismo/negazionismo non è ancora reato in Italia (appena lo diventa, mi autodenuncerò per questo post, se me lo ricordo) per fare una breve analisi critica.

E' un'analisi non documentata, sia perché non ho molto tempo, sia perché spetta a chi fa affermazioni straordinarie portare le prove.

Se qualcuno scrive che Berlusconi è stato assassinato "alcuni anni fa" durante una visita in Birmania e sostituito da un sosia, non spetta a me studiare tutti gli spostamenti di Berlusconi per dimostrare che non è mai stato in Birmania. Spetta a lui, quantomeno, specificare la data precisa e la fonte.

Infatti, Bill Warner non cita la pur minima fonte per le sue affermazioni.

Mettiamo da parte ogni opinione sulle conquiste islamiche; e anche l'ovvia obiezione che il soggetto conquistatore - la comunità islamica unita e combattente - è sparito dalla storia meno di trent'anni dopo la morte di Muhammad. Dopo, non è stato "l'Islam" a fare questo o quello, ma innumerevoli gruppi, capi, tribù e stati in lotta soprattutto tra di loro, che hanno agito anche come musulmani.

Le prime conquiste islamiche hanno qualcosa in comune con laconquista spagnola delle Americhe. In entrambi i casi, ad agire erano giovani irrequieti e marginali, dotati di un coraggio fuori dal comune, che combinavano un'indubbia fede al desiderio di arricchirsi.

Il caso dell'India è particolarmente interessante, perché - come il Messico per i cristiani - fu il primo incontro tra un agguerrito monoteismo e una civiltà che possiamo chiamare "pagana".

Il Sindh - l'attuale Pakistan meridionale - fu conquistato da un giovane arabo di diciassette anni, Muhammad bin Qasim Al-Thaqafi; i conquistatori furono spietati con chi resisteva e provarono la stessaorripilata meraviglia dei conquistadores davanti alla civiltà aliena che appariva loro davanti, anche se furono molto più tolleranti nei confronti della religiosità locale.

Il parallelo è interessante, perché sappiamo che molta gente è effettivamente morta in seguito alle conquiste spagnole. Per stimare approssimativamente il numero di vittime, basterebbe calcolare la differenza tra quelli che c'erano prima della Conquista e quelli che c'erano dopo.

Gli spagnoli hanno svolto censimenti fiscali, da cui si può dedurre una popolazione - tra area messicana e area peruviana - di circa 3 milioni di persone verso il 1570.[3]

Ma quante ce n'erano prima? Vari demografi si sono messi a fare i conti. Il bello è che alla fine le loro stime sulla popolazione precolombiana delle Americhe variano da 8 milioni a 112 milioni.Avete indovinato - le cifre riflettono abbastanza rigorosamente le idee politiche dei demografi in questione.[4]

Per il Medio Oriente del settimo secolo - figuriamoci per l'Afghanistan o il Sindh - manca ogni certezza sulla popolazione preislamica, come su quella successiva alla conquista islamica.

Per dirla con un'elegante formula matematica, la cifra esatta delle "vittime del jihad" quindi è ? - ? = ?

Senza aver fatto particolari studi a riguardo, sospetto però che il numero dei morti nelle varie conquiste islamiche sia stato molto minore di quello provocato dalle conquiste spagnole nelle Americhe.

Innanzitutto, ricordiamo che la grandissima maggioranza dei morti nelle Americhe fu dovuta a una serie di malattie - vaiolo, morbillo e altro - rispetto a cui gli abitanti erano indifesi. Malattie che si combinavano in maniera devastante con un generale sradicamente sociale, economico e culturale.

Invece, le terre conquistate dai musulmani si trovavano tutte lungo storiche vie di comunicazione, per cui l'impatto in termini di nuove malattie deve essere stato irrilevante.

Sia in Medio Oriente che nelle Americhe, i protagonisti erano un numero relativamente ristretto di giovani avventurieri. Che se avessero voluto veramente sterminare i popoli conquistati, avrebbero dovuto passare tutta la vita in faticosi viaggi di villaggio in villaggio, per poi perdere giornate intere a tagliare teste. I massacri ci furono, e anche terribili; ma nulla in termini di grandi numeri. L'omicidio di massa è diventato uno sport piacevole solo dopo l'invenzione del mitra e dell'aereo.

In realtà, i conquistatori - spagnoli come arabi - hanno fatto lavorare per loro i popoli conquistati e si sono costruiti dei gradevoli harem con le donne locali (Hernán Cortés fu un poligamo comparabile al nostro Presidente del Consiglio).

Ci sono però notevoli differenze anche qui. Gli spagnoli si sono trovati di fronte comunità contadine fondate sulla sussistenza, e hanno dovuto trasformare gli indigeni in minatori, costruttori di strade e di città e produttori di cibi di loro gradimento, proprio mentre ne espropriavano le terre per insediarvi il bestiame. E' facile immaginare cosa abbia significato in termini di crollo dei sistemi produttivi tradizionali.

Gli arabi, invece, si sono in larga misura impossessati di sistemi di sfruttamento già esistenti: il meccanismo per spremere lo spremibile dai contadini persiani non è cambiato granché dai sassanidi ai tempi dell'ultimo Scià.

Senza cadere nel mito della diffusione pacifica dell'Islam, è probabile che i contadini abbiano in genere provato sollievo per il cambio di padroni - un sollievo demograficamente significativo, perché voleva dire mangiare un po' di più e faticare un po' di meno. Infatti, il sistema islamico era relativamente più decentrato di quello bizantino (o di quello spagnolo nelle Americhe), e il centralismo crollò comunque presto: i conquistatori potevano pensare a se stessi, ma non dovevano contribuire molto a lontane corti ed eserciti.

L'archeologia e la genetica ci dimostrano che possono avvenire grandi cambiamenti culturali e linguistici, senza bisogno che una popolazione faccia fuori un'altra: il genetista inglese Stephen Oppenheimer ha recentemente dimostrato che gli attuali abitanti delle isole britanniche hanno ancora oggi molto di più in comune, in termini di DNA, con i baschi che con i celti e poi con i germani di cui hanno preso successivamente lingua e cultura.

Riguardo a questa questione, bisogna distinguere tra le conquiste arabe in Africa e quelle arabe e poi turche in Oriente. Nel primo caso, abbiamo una grande diffusione linguistica, soprattutto dopo l'anno 1000, però - quasi quattro secoli dopo la fine dell'unità islamica. Molti nordafricani vantano oggi una discendenza araba, anche se sembra che si tratti spesso di una semplice finzione, per avvicinarsi alla famiglia del Profeta.

Invece a est dell'Iraq, non si è diffusa nemmeno la lingua araba. Mentre gli studi genetici dell'attuale Turchia dimostrano che la popolazione attuale - pur parlando una lingua centroasiatica - ègeneticamente affine a quella dei balcani.

Dare i numeri è un'ossessione caratteristica dei nostri tempi. E spararli grossi, pure.

Note:

[1] Non è chiaro se i cristiani del Nordafrica del settimo secolo rientrino tra i 60 milioni di "cristiani" o i 120 milioni di "africani".

[2] Bill Warner, attualmente pensionato, non è precisamente un islamologo. Laureato in fisica, ha lavorato per un certo periodo presso un importante laboratorio di elettronica. Si è poi dimesso, andando a vivere in una roulotte e facendo il venditore ambulante, per poi fondare una ditta che si occupava di risparmio energetico nell'edilizia. Infine, ha trovato lavoro presso la facoltà di ingegneriadella Tennessee State University sorta come una specie di istituto professionale superiore per soli neri.

Esiste un "investigatore privato" in Florida con lo stesso nome, che si dedica a chiudere siti islamici e ad accusare altri neocon di essere agenti di al-Qaeda, ma che nega di essere il Bill Warner di cui stiamo parlando qui.

[3] Queste statistiche non ci dicono nulla sull'America del Nord o su altre terre non in mano agli spagnoli.

[4] Si veda Massimo Livi Bacci, Conquista. La distruzione degli indios americani, Il Mulino, 2005.