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10 marzo 2011

GHEDDAFI E GLI ALTRI



Di Fulvio Grimaldi.

La terra è tua madre, lei ti diede la nascita dal suo ventre. E’ colei che ti allattò e ti alimentò. Non disubbidire a tua madre e non tosare i suoi capelli, tagliare le sue membra, lacerare la sua carne, o ferire il suo corpo. Devi solamente aggiustare le sue unghie, fare che il suo corpo sia pulito da ogni lordura. Darle la medicina per curare ogni sua malattia. Non mettere pesi gravosi sopra la sua mammella, fango o cemento sopra le sue costole. Rispettala e ricorda che se sei troppo aspro con lei, non ne troverai un’altra. Non distruggere la tua dimora, il tuo rifugio, o ti perderai.
(Muammar Gheddafi).


 Forse è per questo che gira con una tenda. Mentre il nostro viaggia di Arcore in Grazioli in Certosa in castelli in Santa Lucia e costruisce Milano 2 e C.A.S.E.


Se è vero che il firmaiolo di tutte le sconcezze berlusconidi, salvo qualche chiavica sesquipedale, è "il più amato dagli italiani" (così dal "manifesto" a "il giornale", escluso il solitario "Il Fatto quotidiano"), vuol dire che siamo più fessi addirittura degli sciamannati libici che, sotto i vessilli di un re-scodinzolo degli inglesi, vogliono precipitarsi nel paradiso della globalizzazione, del cannibalismo multinazionale, della miseria e del degrado garantito a tutti, tranne ai futuri Karzai o Abu Mazen che guidano la rivolta, dagli strumenti della civiltà superiore: Nato, FMI, Banca Mondiale, WTO, servizi di sicurezza in mano al Mossad. Ieri, per l'ennesima volta, il venerato custode della Costituzione, ha violato la sacra carta approvando che si metta fine a un "dittatore che compie raid aerei sul proprio popolo". Traducendo: Vai Folgore! Non so se l'uomo, già capo della banda rubacchiona e collaborazionista dei Miglioristi, abbia tanti e tali scheletri nell'armadio del suo ravanare tra PCI e suo contrario, da essere preso alla gola da ricatti. O se sia nella sua natura di rinnegato della sinistra vasellinare le infamie autoctone e alloctone dell' imperialismo genocida. Ma so che le mani del custode della nostra Costituzione di pace grondano sangue afghano e iracheno. Presto anche libico.

C’è qualcuno in giro che s’è chiesto perché mai quasi tutti i governanti, i progressisti, rivoluzionari, antimperialisti del Sud del mondo, America Latina in testa, pur non negando critiche al Gheddafi degli ultimi 10 anni sotto ricatto occidentale, si schierano a difesa del legittimo governo libico e del suo leader e denunciano le mire imperialiste di una “comunità internazionale” che da vent’anni, con la scusa dei dittatori e con l’uso di provocatori e provocazioni, assalta e massacra popoli, stende sul mondo una cappa di miseria sul quale danzano alcune migliaia di ultraricchi, svuota libertà e diritti democratici, sociali, culturali, avvia ovunque Stati di polizia intrecciati alla criminalità organizzata, traffica in droga e armi, distrugge la possibilità di istruirsi e informarsi? C’è qualcuno che pensa che questi siano peggiori di Bush, Cheney, Obama, D’Alema, Fassino, Berlusconi, Netaniahu, Calderon, Karzai, Al Maliki, i golpisti killer dell’Honduras?

Coerenze. Voto bipartisan, salvo IDV, per la missione afghana nel 2010. Missione dei 36 “professionisti” italiani caduti e dei 34mila raid aerei all’anno (il doppio rispetto al 2007), per 25 miliardi e mezzo di euro tra Afghanistan, lotta ai pirati somali (in difesa di pesca di frodo e scarico di rifiuti tossici europei), Unifil, addestramento di ascari vari...62 milioni alla ricostruzione. "Per il buon nome del paese" (Pinotti, PD). Da promuovere ora in Libia.

I vernacolari del "Campo Antimperialista", collaudato il loro pluralismo nell'unione antimericana con i neonazisti di Franco Freda, manifestata la loro chiaroveggenza politica con orgasmatici applausi al trapanatore iracheno-iraniano di resistenti e sunniti, Moqtada, perfezionano la missione schierandosi "con l'insurrezione popolare" in Libia. Loro vestale, Emma Bonino, ancora zuppa di sangue serbo, iracheno, afghano.

Potenza dell’ignoranza. Andrea Camilleri, Luigi Ciotti, Cristina Comencini, Magherita Hack, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Igiaba Scego, firmano un appello "Fermiamo il massacro in Libia". Come si compromette una vita onorata. In arrivo anche gli amici del giaguaro, Saviano, Fazio, Santoro, tutto il PD, il papa, Sgrena, l'intera celebrata "società civile" in marcia per "promuovere i diritti culturali delle popolazioni contro dirigenti corrotti e venduti". Sono bravi, chiedono di sfasciare ma senza sparare troppo.

Dall'inizio del 2011 Israele ha rapito e incarcerato 80 bambini palestinesi nella Gerusalemme Est occupata e stuprata dai coloni carburati da Obama. Ne invade le case di notte e se li porta via. Innumerevoli sono le denunce di tortura e abusi sessuali. Ieri ad altre 22 famiglie della città è arrivato l'ordine di demolizione delle loro case. Parlarne? Ma se sono riusciti anche a occultare i 500 bambini terroristi sterminati da Piombo Fuso...


Al Jazira pompa le balle dei "ribelli democratici". Gli editoriali di Al Jazira sono gestiti da agenti dei servizi segreti con targa BBC. Al Jazira trasmette ogni singola patacca del defunto Bin Laden, senza controlli di autenticità, favorendo la "guerra al terrorismo". E' dal Qatar che gli Usa lanciarono l'invasione dell'Iraq, visto che Turchia e Arabia Saudita rifiutarono. E' un pollaio che si fa difendere dal capo volpe.


 Al Jazira inventa bombardamenti aerei di Gheddafi (smentiti da tutti, compresi i satelliti russi), il delegato libico al Tribunale dell'Aja offre in pasto ai media e ai Obama 10mila morti, subito confermati da Al Jazira (e poi il Tribunale smentisce di avere tale delegato). Ma come, l'emittente del Qatar non era anti-israeliana? Sì, ma filo-americana e, da tv pagata dall'emiro, anche filo-monarchica, ovunque qualche stronzo risusciti un re.

In Sudan, distretto di Abyei, 70 ammazzati e villaggi rasi al suolo perchè il Sud secessionista grazie a USraele, UE, comboniani e Vaticano vuole anche quella regione assegnata al Nord. C'è quel po' di petrolio che è rimasto al Sudan libero. Se possono somalizzare la Libia, vuoi che non ci provino con il Sudan che, oltre agli idrocarburi, ha il Nilo? Già tengono Etiopia, Ruanda, Uganda, Kenya. Per l’Eritrea, a forza di trattamento alla Saddam, si avvicina l’ora. Usraele ueber alles anche in Africa.




Centinaia di migliaia di iracheni manifestano nel "Grande Giorno della Collera" in tutto il paese "restituito alla democrazia", ma non a luce, acqua, pane, scuola, vita. Vengono abbattuti come mosche in città militarizzate, sotto coprifuoco e proibite ai giornalisti. Il popolo di Mosul ha cacciato il generale fantoccio con i suoi 450 sgherri. Ovunque vengono costretti alla fuga governatori fantoccio installati dagli occupanti e loro sicari. La rivolta è in prima linea contro l’occupazione, causa di tutto. Ne avete sentito niente?

La Libia si difende da reazionari salafiti e monarchici ansiosi di Occidente e neoliberismo, chiamati “patrioti”. I governatori di Wisconsin, Ohio, Idaho e altri Stati Usa si difendono da centinaia di migliaia di manifestanti che assediano da settimane i palazzi del potere contro leggi neoliberiste che eliminano sindacati, contratti, diritti, chiamati “estremisti”. Un’insurrezione di lavoratori nel cuore dell’impero. Visto come ci si avventano i media?

L'ONU sanziona la Libia e fa scattare orde distruttrici su ordine Usa. L'ONU classifica il Messico primo al mondo per violazioni dei diritti umani. Mortalità materna 5 volte superiore a quella degli altri paesi. Con 35mila ammazzati in quattro anni si muore di più che in qualsiasi paese non in guerra. 2.500 donne uccise all’anno per reprimere l’opposizione e disintegrare il tessuto sociale con la psicosi della paura. 170 incarcerate per aborto con pene fino a 25 anni. 20mila migranti scomparsi o uccisi ogni anno. Zitti, da lì arrivano la droga per il mercato Usa e i dollari per le sue banche, dollari con i quali si finanziano le campagne elettorali dei presidenti. I cinque Stati Usa che risultano i massimi riciclatori di denaro da droga sono i cinque Stati che contribuiscono maggiormente alle campagne presidenziali.





Obama, vindice del diritto internazionale, decide che urge abbattere il leader di un paese sovrano. Non è interferenza. E' democrazia ai tempi dei Berlusconi e di tutti i masochimbecilli della "sinistra". Curioso: quelle del governo sono "milizie" e "mercenari" “che “sparano sulla folla”, quelle dei ribelli con istruttori Blackwater sono "truppe" e "volontari", quando non “civili inermi” (con tanto di RPG e cannoni moderni). Mentre Karzai in Afghanistan e al Maliki in Iraq hanno truppe e gli altri sono "terroristi". E dal sole piove e di notte ci si abbronza.

‎2010: 10mila afghani, all'80% civili, uccisi da USA e Isaf (160mila mercenari nella più lunga e costosa guerra dell'era democratica), 712 militari occupanti, migliaia di contractors, di cui 36 italiani, morti per le lacrime tossiche del mandante La Russa. 1000 civili pakistani, fatti passare per "taliban", massacrati dai droni Cia nell'alleato Pakistan. Bombe Cia-Mossad a tutto spiano nelle moschee e città pakistane per destabilizzare un paese dal popolo ostile. Exit strategy di Obama svaporata e quattro enormi basi permanenti annunciate. Ma che mascalzone quel Gheddafi!

Nello Stato di Chihuahua hanno appena ucciso tre famigliari di una donna, Maria Magdalena Reyes Salazar, che si batteva per la giustizia per l'assassinio di suo figlio. Poi le hanno incendiato la casa. I narcos minacciano di sgozzare i bambini di un asilo a Ciudad Juarez. Qui sono state uccise in gennaio-febbraio 79 donne, il 32% in più rispetto ai due mesi del 2010. Quando qualche biasimo al presidente complice o un bell’ "intervento umanitario"?



Israele, che detesta gli anti Ben Ali, anti-Mubaraq, anti-Saleh, anti-Abdallah, adora (infiltra) i "rivoluzionari", anche un po' linciatori, di Bengasi. Portatrice, come questi, di diritti umani e democrazia, ha ammazzato altri tre palestinesi a Gaza e ha raso al suolo per la 20esima volta un villaggio beduino nel Sinai, 19 volte ricostruito, per far spazio ai coloni. Chiede ai beduini il costo degli smantellamenti

Antropologia imperiale, ovvero quando le facce spiegano. A Tehran le belle gnocche "verdi" ingioiellate e fresche di stilista. A Brega, Cirenaica, dove lealisti e ribelli si contendono il terminale petrolifero, i "rivoluzionari libici" di Anno Zero. Una turba barbuta armatissima, parossistica, schiumante, urlante in una specie di ballo di S.Vito alla salafita "Allah u Akbar". Del tutto simile a studenti, operai, donne, poveri del Cairo e Tunisi...

Le lotte nelle piazze arabe sono una lotta transnazionale di proporzioni epiche. Si combatte per dignità, diritti, giustizia e sovranità. Sono lotte che non possono prescindere della consapevolezza del nemico: l'imperialismo globalizzante che sta attaccando la Libia che quelle lotte le aveva vinte. L'ordine globale vive o muore con la rivoluzione pan-araba. Ne fa parte il popolo libico, non chi lo frantuma.

Fidel Castro: "La campagna colossale di bugie sparse dai mezzi di comunicazione di massa, ha creato una grande confusione nell'opinione pubblica mondiale. Passerà del tempo prima di poter ricostruire ciò che è successo realmentre in Libia e di separare i fatti reali dai falsi che sono stati diffusi". Già, nel frattempo le armate barbare passeranno sulla nostra coscienza nel viaggio verso Tripoli.



Il ”satrapo” Gheddafi, che non ha manco un palazzo d'oro o ville in Sardegna e Santa Lucia. L'ONU pone la Libia al primo posto nel Continente per Indice di Sviluppo Umano, reddito, longevità, istruzione, sanità (tutti gratuiti), distribuzione della ricchezza, la più bassa mortalità infantile, la maggiore partecipazione popolare al potere. Il Libro Verde garantisce la proprietà della terra a chi la lavora e della casa a chi ci abita. Coinvolge i lavoratori nella gestione delle aziende. Ogni decisione politica è presa dai Comitati Popolari e dal Congresso del popolo. Ma la burocrazia era corrotta e faceva affari con i capitalisti. Come a Cuba. Allora diamo addosso a Gheddafi, più tardi a Cuba, noi del popolo sovrano e benestante grazie alla "porcata" di Calderoli, la modernità di Marchionne, la gentilezza di Maroni, il patriottismo di La Russa, la sobrietà di Berlusconi, il socialismo di Bersani. Sono nostri i diritti umani!


Gheddafi ha sottratto la sua gente al vampirismo neoliberista e alle basi Usa, ha sempre avversato i monarchi arabi venduti, ha sostenuto la liberazione di Nicaragua, Cuba, Angola, Mozambico, Sudafrica, Palestina, baschi, irlandesi, ha preso uno spezzatino tribale e ne ha fatto una nazione moderna laica, si batte per l'unità africana. Ma i suoi burocrati erano corrotti e lui pazzo. Diamogli addosso.

Quando Gheddafi, dal solito "bunker" alla Hitler, articolato in ristoranti sul mare, palazzi di congressi e piazze pubbliche, accusa Al Qaida, sa bene cosa dice. Al Qaida in Afghanistan, in Kossovo e Bosnia, Cecenia, Yemen, Somalia, Maghreb, Latinoamerica, Europa. Sempre un bonus per l'imperialismo e un'inculata per arabi e musulmani. Possibile che l'illuminante "cui prodest" non interessi nessuno?

Hanno sequestrato decine di miliardi del "tesoro di Gheddafi". Fondi del commercio estero del governo libico depositati in banche occidentali. In vista del furto del petrolio finora negato agli Usa, la criminalità organizzata "comunità internazionale" esegue una rapina con scasso (di sicari armati locali) dei beni di un popolo cui i futuri fantocci garantiranno sopravvivenza con Marchionne e narcotraffico. 700 miliardi, invece, Obama li ha cavati dai cittadini per darli alle banche che li avevano rovinati. In 40 miliardi di euro si calcola il “tesoro” del guitto mannaro, questo sì personale.

Il presidente Chavez che, per demonizzare due disobbedienti, era stato inventato ospitante di Gheddafi, ha espresso solidarietà a Gheddafi contro le belve imperialiste. Ha detto: "Sarei un codardo se, sulla base di falsità, condannassi chi è stato mio amico". Uomo vero. Berlusconi e Frattini, nella tomba dei morti viventi, hanno avuto un sussulto.

La balla risolutrice per i genocidi imperiali: "Il dittatore ha massacrato il proprio popolo". Chi non interverrebbe umanitariamente, vero D'Alema, Prodi, Berlusconi? Così con le false stragi di Milosevic a Sarajevo e in Kosovo, con i massacri di curdi e sciti da parte di Saddam, con lo sterminio di donne per mano taleban. Ma mai con le Torri Gemelle, il metrò di Londra, il treno di Madrid. Ma quelli li ha fatti Al Qaida, mica i loro governi.

Tre commandos dei marines olandesi, cioè Nato, sono sbarcati dalla nave "Tromp" a Sirte, tuttora in mano libica, per innescare la rivolta anche lì. Le truppe regolari li hanno catturati. E' spontanea un'insurrezione "Allah u Akbar", guidata a Bengasi da istruttori e armatori Usa-Nato, coperta da false stragi mediatiche di Gheddafi, incitata dalla moglie di colui che sbranò la Jugoslavia, zeppa di commandos imperiali?

Provasto a normalizzare con militari e fantocci le potenziali rivoluzioni anti-globalizzazione in Egitto e Tunisia, scatenati i secessionisti salafiti in Libia e berberi in Algeria, la Libia, che contrattava alla pari con il mondo e respingeva gli Usa, è bella e incastrata. Si torna, come in Jugoslavia, a mafia-narco-statarelli, come ai bei tempi del colonialismo. Qui Cirenaica, Tripolitania e Fezzan a sbranarsi per gli sghignazzi e il petrolio Usa

Cirenaica come Kosovo. "Consiglieri" Usa a Bengasi stanno già ponendo le fondamenta per una nuova base Bondsteel da cui intervenire sull'Africa tutta, in culo a UE, Cina e Russia. Prima la creazione di una quinta colonna di invasati e banditi islamici, poi le false stragi di Slobo e Gheddafi sovrapposte a quelle vere degli ascari, quindi criminalizzazione del "dittatore", bombe e squartamento del paese. La globalizzazione funziona. Oddio, se la dovrà vedere con Attac e I Social Forum. Paura!!!

Frattini, amico di Mubaraq, Ben Ali e gaglioffi sanguinari vari, manichino Standa, baciatore di deretani arcoriani, a nome del baciatore di anelli sollecita Piombo Fuso su Gheddafi. Meglio del moralista Chavez.Astuto! Le sanzioni Usa-UE hanno messo sotto scacco Eni, Finmeccanica, banche, cordate varie. Con un colpo gli Usa fanno fuori Libia e Italia, nel giubilo dei nostri media, sinistri e destri. E il guitto mannaro offre le basi d'attacco, come D'Alema con il Kosovo. Taffazzi al posto di Mattei. Che scaltri! Appunto masochimbecilli. 

30 dicembre 2009

Green Revolution for Dummies

dal blog di Gianluca Freda

Un lettore che si firma Umberto mi scrive nei commenti:

Sei ancora convinto Gianluca che tutto ciò che sta accadendo nell'antica Persia sia opera della Cia e dei disinformatori reazionari oppure siamo in presenza di un regime che opprime,vieta e nega le libertà individuali e fondamentali delle persone? Non e' forse ora di ammettere che in Iran siamo di fronte ad un regime oscurantista, obsoleto e tirannico che vieta le più elementari libertà individuali? Non e' forse ora che anche i più convinti assertori della politica sciita si arrendano di fronte all'evidenza dei fatti?Davvero siete convinti che tutta questa sia disinformazione occidentale e non lo specchio di una civiltà oppressiva, reazionaria, assolutista e fondamentalista? Cosa deve succedere per convincervi che in Iran siamo di fronte ad una e vera dittatura fondamentalista, che reprime i più elementari diritti umani? Rispondimi sinceramente ti prego.

Gentile lettore, poiché mi chiedi una risposta sincera, dirò senza peli sulla lingua che darti una risposta è davvero difficile. Non perché la questione sia difficile in sé, ché anzi è fin troppo facile da capire. Ma perché è un immensa fatica parlare di politica internazionale, sia pure nei suoi più basilari rudimenti, con chi esprime una percezione dei meccanismi di potere che non oserei definire né romanzesca, né fumettistica (esistono romanzi e fumetti di straordinaria complessità, con infinite stratificazioni di significato), ma hollywoodiana, degna di certi blateranti blockbuster americani di propaganda, gonfi di retorica e con Bruce Willis come protagonista. Dai concetti che trapelano nel tuo post direi che fai parte di quella stragrande maggioranza di cittadini del mondo che sono stati appropriatamente condizionati a non distinguere più la realtà delle cose dalle proprie categorie mentali. Non posso fare nulla per te e non mi permetto di spiegarti nulla: i percorsi di decondizionamento, quand’anche io ne conoscessi le tecniche, non sono pane per i miei denti, e comunque richiedono una forte dose di determinazione individuale. Considera dunque la risposta che segue rivolta non a te, ma a quella minoranza di persone per le quali il percorso di decondizionamento è già stato completato; o perlomeno è giunto ad uno di quegli stadi intermedi in cui l’impostazione per dicotomie (“buono-cattivo”, “tirannia-democrazia”, “libertà-schiavitù”, “destra-sinistra”, eccetera) riesce ad essere tenuta a bada quel tanto che basta da non trasformare l’universo in una trattoria di quart’ordine che offre ai suoi avventori la scelta fra due sole pietanze, per di più entrambe immaginarie (“il signore preferisce le scaloppine di araba fenice o il brasato di sarchiapone?”).

Orbene, dalla missiva in esame emerge un’analisi della situazione iraniana che mi permetto di riassumere in questo modo: in Iran c’è un governo di malvagi tiranni, che nega le libertà individuali. Dunque il popolo dell’Iran si è ribellato e grazie alla propria eroica lotta riuscirà ad avere ragione dei propri aguzzini. Fine dell’analisi. Ora, di fronte ad affermazioni di questo tipo, il primo problema è capire da quale pagina iniziare a strappare la sceneggiatura disneyana che nelle menti di molti individui ha preso il posto dell’esame razionale di fatti e circostanze. Cominciamo dai malvagi tiranni, tanto, a questo punto, una pagina vale l’altra.

Per quanto mi sforzi, mi vengono in mente ben poche nazioni al mondo i cui cittadini non parteciperebbero con gioia ad una pubblica impiccagione dei propri governanti. Forse farebbero eccezione giusto la Svizzera, il Lussemburgo e il Principato di Monaco, ma nemmeno su questo metterei la mano sul fuoco. Anzi, mi vengono in mente pochissimi paesi nel cui organismo sociale non siano presenti, in potenza, le condizioni di furore represso che potrebbero portare da un giorno all’altro alle stesse scene di guerriglia urbana che vediamo oggi nelle città dell’Iran. O nel quale, se tali condizioni non sono presenti, non possano comunque essere create con poco sforzo. E questo non certo da oggi e non certo a causa dell’impazzare della crisi, ma in ogni tempo e in ogni condizione storica. L’Italia è pronta da tempo per una guerra civile, che è stata accuratamente gestita e fomentata; lo stesso vale per la stragrande maggioranza dei paesi europei; negli Stati Uniti basterebbe una scintilla qualsiasi per dare fuoco alle polveri dell’insicurezza, dell’invidia, del razzismo, dell’antagonismo congenito, della disuguaglianza sociale, della disoccupazione dilagante; eccetera eccetera, trovatemi un paese (un paese di rilievo nello scacchiere geopolitico) che non sia pronto, almeno in teoria, ad assaltare in letizia la propria sede del Parlamento o il proprio palazzo dell’Esecutivo. Eppure questo accade solo in alcuni paesi e solo in particolari congiunture politiche. Come mai? La risposta del lettore è: perché in questi paesi i crudeli tiranni rendono la vita così impossibile che la gente s’incazza più che altrove. Questa risposta è terribilmente puerile per almeno due ragioni. La prima è la banale considerazione che le grandi rivoluzioni, nella storia, sono sempre state fatte dalle minoranze con la pancia piena, non dalle maggioranze con la pancia vuota. I panciavuota rappresentano al massimo la manovalanza, non certo la direzione operativa delle rivoluzioni. Detto in altro modo: solo se un governo garantisce un tenore di vita decoroso e una ragionevole sicurezza per il futuro, una piccola parte dei suoi cittadini, quella sazia e tranquilla, può dedicarsi alla difesa della libertà di pensiero, della libertà di stampa, della libertà di associazione e di altre prerogative che sono deliziose dopo un lauto pasto, ma risultano poco commestibili per chi ha l’impellente necessità di mettere insieme pranzo e cena. Ne derivano due importanti corollari: il primo è che si abbattono con la forza solo i governi che gesticono la propria nazione con un minimo di decenza, non quelli veramente insostenibili. Nessuno si ribellò alle dragonnades di Luigi XIV o alle deportazioni staliniane, mentre furono i meno spietati Luigi XVI e Nicola II a finire sulla ghigliottina o di fronte a un plotone d’esecuzione improvvisato. Il secondo corollario è che ogni rivoluzione è sempre gestita da una minoranza più facoltosa contro una maggioranza meno facoltosa che la subisce. Succede anche oggi in Iran, dove è la classe media a scendere in strada con gli stracci verdi per abbattere quello stesso governo che la maggioranza dei contadini e del popolo minuto aveva eletto plebiscitariamente pochi mesi fa.

C’è poi la seconda ragione che rende puerile l’idea della ribellione del popolo ai tiranni: un popolo, da solo, non possiede né i mezzi, né le risorse economiche, né le strategie militari, né i contatti politici, né le prerogative culturali per ribellarsi a un bel niente, né in maggioranza né in minoranza. Al massimo riesce ad organizzare manzonianamente qualche disordinato assalto ai forni delle Grucce, per poi ritrovarsi senza più farina per l’inverno a venire. Una rivoluzione, per avere una qualche probabilità di successo, ha bisogno di coordinamento. Servono pianificatori delle operazioni che individuino i bersagli da colpire; servono esperti di propaganda che definiscano un’ideologia e provvedano alla sua diffusione presso il pubblico, stabiliscano le parole d’ordine, individuino i momenti e i luoghi più propizi per dare il via alla rivolta, organizzino eventi-simbolo con cui accendere gli animi delle folle (l’assassinio fasullo di Neda o quello, probabilmente autentico, ma non per questo meno pianificato, del nipote di Mousawi); servono finanziatori che provvedano a fornire le armi e i mezzi di propaganda, a pagare le ricognizioni logistiche preliminari, a “ungere” coloro che devono guardare dall’altra parte e a offrire generose elargizioni a chi deve invece svolgere un ruolo attivo durante le operazioni; servono esperti di psicologia delle folle, assistiti da discrete formazioni militari o paramilitari, che si assicurino di indirizzare gli eventi nella direzione voluta, evitando che la situazione sfugga di mano; infine servono persone con contatti politici e diplomatici di alto livello che mettano a punto la fisionomia della classe politica postrivoluzionaria e ne scelgano i membri, onde scongiurare spiacevoli salti nel buio che non sarebbero graditi a nessuno. A progettare tutti questi interventi provvede un gruppo di persone estremamente ristretto che è più corretto definire “élite” che “minoranza”. Di fronte a qualunque evento rivoluzionario o simil-rivoluzionario, le prime domande che una persona con i piedi per terra dovrebbe porsi sono: da quale élite è stato progettato e gestito? A quale scopo? Sulla base di quali interessi nazionali e/o internazionali? Senza chiedersi questo si finisce per concepire la politica e la storia come narrazioni favolistiche, che hanno più a che fare con l’immaginario cinematografico di massa che non con le effettive meccaniche geostrategiche degli interessi in campo. Chiediamoci dunque: quale ristretto gruppo ha progettato e sta attualmente coordinando l’ennesima rivoluzione colorata di questi anni, quella “verde” iraniana? Il lettore di cui sopra non vuol sentire nominare né la CIA (coacervo di interessi sparsi in cui le mire americane giocano un ruolo di rilievo) né i “disinformatori reazionari” del Mossad (dove prevalgono le prospettive di controllo israeliano sul Medio Oriente). Okay, lo faccio contento e non li nomino. Però ci dica allora lui, se ne è in grado, quali soggetti sono più interessati (e dunque più sospettabili) di questi a dirigere quello che appare a tutti gli effetti come un colpo di stato volto a sovvertire le istituzioni (democraticamente elette o no, poco importa) della Repubblica Islamica. I servizi segreti pakistani? Stephanie di Monaco? Il Dalai Lama? Sono aperto ad ogni ipotesi. Basta che non si tirino fuori le “persone” che si ribellano al “regime oscurantista, obsoleto e tirannico”. Per questo Natale ho già accompagnato le bambine al cinema a vedere il film della Disney e la mia razione di principesse e ranocchi me la sono già sorbita, grazie.

Del resto non è per semplice idiosincrasia o paranoia che i nomi di queste due agenzie vengono evocati a proposito della crisi iraniana. Esiste, prima di tutto, una cosa che si chiama “modus operandi”, a cui ogni buon investigatore fa riferimento quando si tratta di ipotizzare le responsabilità di un crimine. La rivoluzione iraniana somiglia a molte altre “rivoluzioni” già viste in passato per i simboli che utilizza (il colore), per le modalità con cui ha preso avvio (la contestazione di brogli inesistenti, la proclamazione preventiva della vittoria dello sfidante fatta prima degli exit poll allo scopo di invalidare il risultato dello spoglio), per l’escalation di tensione generato attraverso omicidi “mirati” e opportunamente propagandati (quello finto di Neda, con un noto contatto dell’intelligence occidentale, Arash Hejazi, che nel video rovescia in faccia alla ragazza la fialetta di liquido rosso; quello più recente del nipote di Mousawi), per l’utilizzo di social network come Twitter e Facebook a scopo di mobilitazione della massa, per le tattiche di guerriglia utilizzate nelle strade, sempre uguali in ogni paese in cui vi sia da rovesciare un “tiranno”, dall’Europa al Medio Oriente. Di fronte a modalità operative così simili, ipotizzare l’esistenza di una stessa regia dietro i disordini non è semplicemente il vezzo di chi ama accusare dei mali del mondo sempre lo stesso babau: è invece una possibile conclusione logica a cui puntano mille differenti indizi e che solo uno sciocco accecato dall’ideologia rifiuterebbe di prendere in considerazione.

Inoltre, cerchiamo di stare ai fatti e di non farci distrarre dai nostri aneliti ad un mondo perfetto di pace e giustizia: abbiamo un paese che sta sfidando l’intera comunità dei dominanti di questa fase storica per dotarsi di tecnologia nucleare da sfruttare in campo energetico e militare; un paese ricco di petrolio, che ha già attivato una borsa internazionale in cui l’oro nero può essere scambiato in valute diverse dal dollaro; un paese con un’influenza militare e territoriale sulla regione che è cresciuta a dismisura dopo l’invasione americana dell’Iraq, dove gli sciiti filo-iraniani tengono in pugno molte zone cruciali del sud; un paese che aspira ad entrare nello SCO, che ha iniziato a intrattenere rapporti sempre più stretti con grandi potenze emergenti come Cina e Russia, che da esse acquista tecnologia militare all’avanguardia e con esse stringe accordi commerciali ed energetici privilegiati. In sostanza, l’Iran è un paese che sta dirigendosi a tutta velocità verso lo status di grande potenza indipendente sul piano economico, militare, commerciale, politico, diplomatico, minacciando i visibilissimi piani di predominio israelo-americani sulla regione. Usiamo il rasoio di Occam: è più probabile che ad aver progettato la caduta del governo di Ahmadinejad siano i grandi interessi geostrategici dei paesi dominanti – che non sono certo nuovi a questo tipo di operazioni e possiedono le risorse e il know how per portarle a termine – minacciati dalla crescita senza freni dell’Iran, oppure un pugno di scalmanati vestiti di verde, che non sembrano in grado di approntare strategie politiche diverse dall’intonazione di slogan e dall’incendio di autoveicoli in sosta? E’ legittimo porsi questa domanda e cercare di darsi una risposta? O siamo condannati a ragionare in eterno in termini grezzamente e videocraticamente moralistici, dove “libertà” e “oppressione” sono le due uniche categorie di riflessione che ci è consentito utilizzare?

Del resto non c’è bisogno di andare tanto lontano per avere una risposta, se lo stesso Tariq Ali, storico e scrittore che non simpatizza certo per l’establishment iraniano, afferma in un’intervista su Repubblica di ieri: La Cina e la Russia, che hanno contratti importanti con l'Iran, non si taglieranno da sé la gola sotto il profilo economico. La speranza in Occidente è che il regime venga scalzato dall'interno, che si possa trattare con un nuovo governo”. Mi limiterei ad aggiungere che l’Occidente non si è mai limitato a osservare le questioni politiche interne di altri paesi e a sperare che si evolvessero nella direzione desiderata; ha invece sempre contribuito attivamente, attraverso i propri corpi militari e d’intelligence, a rendere concreti i propri desideri con ben note tecniche d’ingerenza negli affari interni e con procedure di regime change progettate all’uopo.

C’è un’altra allusione che trapela dal post: quella che chiunque non simpatizzi per i rivoltosi iraniani sia, per definizione, un simpatizzante e sostenitore del regime di Ahmadinejad, anzi di Ahmadinejad stesso, visto che scindere il ragionamento politico da sentimenti personali come simpatia, antipatia, odio, amore, è qualcosa che la banalizzazione giornalistica che ha ridotto in melassa il cervello di nove decimi dell’umanità non contempla e non riesce neppure a concepire. Tutto viene ridotto alla schematizzazione puerile “amore-odio”, “bello-brutto”, “democrazia-tirannia”, e via riducendo a binomio la complessità dell’universo, proprio come Orwell aveva profetizzato quando descriveva gli effetti devastanti del Newspeak. Più spesso l’accusa è quella di essere disposti ad appoggiare regimi autoritari e brutali sulla base di un antiamericanismo ideologico che preclude ogni contatto con la realtà.

Io non ho certo problemi ad ammettere ed anzi a proclamare il mio antiamericanismo, come del resto faccio spesso. Dico solo che non è ideologico, ma parte proprio dall’analisi di quella stessa realtà che chi muove queste critiche rifiuta di prendere in considerazione. L’Iran è un esempio perfetto e può servire da modello per illustrare quella che è stata la parabola discendente di ogni nazione che si sia svenduta, per grulleria o per forza maggiore, al potere coloniale della potenza unica che ha preso le redini del mondo negli ultimi vent’anni.

L’Iran è oggi un paese in ascesa. Ha un’economia in forte sviluppo, un apparato militare in grado di garantirgli la dovuta protezione, buoni rapporti diplomatici e commerciali con le potenze orientali, un sistema d’istruzione di alto livello, una posizione territoriale invidiabile che promette di consolidarsi nel futuro, possiede risorse energetiche che possono garantirgli la ricchezza. Ha una classe politica che sarà anche corrotta e “oscurantista” (qui bisognerebbe capire quale classe politica non lo è), ma che eventualmente lo è in proprio, non per imposizione di manovratori esterni che dettano direttive e politiche nazionali in nome di interessi contrastanti con quelli della nazione. I manifestanti che vediamo in questi giorni scatenare la violenza nelle strade iraniane rappresentano una miserabile minoranza della popolazione che – consapevolmente o no, poco importa - vorrebbe svendere a una potenza straniera e nemica questa invidiabile posizione geostrategica del paese per averne in cambio le fumose chimere consumistiche martellate nelle loro teste dagli stessi strumenti di propaganda che hanno ridotto un paese un tempo ricco come l’Italia a dibattersi nella melma schiavile in cui oggi la vediamo affondare. Non c’è un solo paese che, caduto dopo il 1989 nelle grinfie coloniali dell’unica superpotenza rimasta, non sia diventato l’ombra di se stesso. Ne sanno qualcosa i paesi dell’est, molti dei quali rimpiangono ormai apertamente il defunto sistema sovietico. Lo sanno ancor meglio paesi come la Georgia o l’Ucraina, che hanno incautamente e giovanilmente appoggiato le loro rivoluzioni colorate per trovarsi oggi a combattere – e ad essere repressi con straordinaria efficacia – contro gli stessi governanti a favore dei quali avevano a suo tempo sventolato le bandierine arcobaleno.

Pertanto, l’essere contrario o favorevole al governo iraniano, contrario o favorevole al popolo vociante, è un problema che non mi pongo nemmeno. Quello che voglio è agevolare, in ogni modo possibile, il declino ormai avanzato del sistema monocentrico che ha caratterizzato nell’ultimo ventennio le dinamiche geopolitiche. E’ più che evidente che ciò che si prospetta all’orizzonte è una fase policentrica, in cui i vecchi equilibri del potere globale saranno scossi dall’ingresso nell’agone politico-economico di nuovi soggetti di rilievo. La Cina, la Russia, l’India, forse lo stesso Iran, potrebbero dare il colpo di grazia a questa tirannia monocratica della quale anche il nostro paese – forse più ancora di altri – è rimasto vittima. E non si esce di certo da questo pantano strillando slogan in piazza, incendiando automobili o invocando gli spiriti delle “libertà democratiche” sulle quali intere generazioni di giovani si sono fottuti il cervello a vantaggio dei produttori di queste “libertà”, i quali sono stati ben lieti di fornirgliele nella loro versione fornita di copyright, in confezione regalo, tutto compreso, prendere o lasciare. Se ne può forse uscire agendo d’astuzia: evitando di farsi infinocchiare ancora dalle vecchie parole d’ordine, appoggiando tutto ciò che può contribuire a demolire – sebbene a volte con modalità dolorose – le sbarre arrugginite del vecchio carcere coloniale e, soprattutto, preparandosi a sferrare il colpo di grazia quando i tempi saranno maturi e i carcerieri disarmati e allo sbando. Pessoa diceva che la tirannia consiste nel costringere le persone a scegliere tra due mali, ad esempio tacere o essere arrestati. In questo senso, possiamo vedere la tirannia in tutto ciò che caratterizza lo scenario politico contemporaneo. Lo vediamo anche nel dibattito sulla situazione iraniana, che ci costringe a decidere se preferiamo una repressione sanguinosa da parte di un governo teocratico o il loop senza fine di una modalità di annientamento delle nazioni che abbiamo già visto ripetersi in innumerevoli occasioni nel corso dell’ultimo secolo. Ognuno scelga il suo male minore. Per me il male minore è quello che può portare, col tempo, all’affermazione di un bene; e il bene è per me sinonimo di cambiamento, e non si perviene ad esso sclerotizzandosi sulle decrepite categorie morali di un panorama storico in via di rapida dissoluzione. In questo senso non ho problemi a dire che auspico una sopravvivenza, e anzi un rafforzamento, dell’attuale establishment politico iraniano, il quale possiede – e lo ha dimostrato – alcune delle doti di determinazione necessarie a condurci fuori da questo deserto. Che poi tale fuoriuscita avvenga o no all’insegna dell’assolutismo e del fondamentalismo, chiedo scusa, ma mi pare assolutamente e fondamentalisticamente privo di rilievo.