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07 luglio 2012

Occidente, i segreti del successo, tra verità , forzature e bufale


Nel recente Civilization Niall Ferguson scrive che l'Occidente è in crisi, perché non crede più al proprio modello, che si rivela vincente in altre aree del mondo. Un'ottica neoimperialista, ribatte il saggista angloindiano Pankaj Mishra. È una vera e propria querelle - o per dirla all'inglese un feud - la polemica scoppiata sulle due rive dell'Atlantico in seguito all'uscita nel Regno Unito e negli Usa diCivilization: The West and the Rest dello storico britannico Niall Ferguson (in Italia sarà pubblicato nel 2012 da Mondadori). Consapevole di quanto può fare per la diffusione di un libro una pubblica controversia, Ferguson ha reagito alla pioggia di critiche che hanno sommerso il suo libro con un articolo sul «Wall Street Journal» (2021 The New Europe) nel quale immagina l'Europa fra dieci anni, prefigurando che la parte sud del continente, Italia compresa, sarà composta di cuochi e giardinieri per tedeschi e inglesi in vacanza. Una ulteriore provocazione che difficilmente farà cambiare idea a coloro i quali, come il romanziere e saggista indiano Pankaj Mishra, hanno definito senza mezzi termini «razzista» lo studioso scozzese (che ha minacciato per questo azioni legali).

Un set di istituzioni
Ormai da diversi anni Ferguson, docente a Harvard e alla London School of Economics (e marito dell'attivista olandese di origini somale Ayaan Hirsi Ali), ha allargato il campo dei suoi interessi fino a cimentarsi con concetti vastissimi come quello, appunto, di civiltà. Secondo lo storico, con la crisi attuale siamo arrivati alla fine di un predominio occidentale durato cinquecento anni - un modello i cui elementi principali sono il potere e la ricchezza e di conseguenza le strutture politiche, sociali ed economiche che li sostengono. Ma se l'occidente è in crisi - questo in sostanza l'assunto di Ferguson - il modello è vincente: «Quello che una volta caratterizzava l'Occidente non è più un nostro monopolio. I cinesi hanno il capitalismo. Gli iraniani hanno la scienza. I russi hanno la democrazia. Gli africani stanno (lentamente) acquisendo la medicina moderna. E i turchi hanno la società dei consumi... La civiltà occidentale è più di una cosa sola, è un pacchetto. È il pluralismo politico e il capitalismo; è libertà di pensiero e metodo scientifico; è l'amministrazione della legge e la democrazia».
Proprio questo pacchetto sarebbe per Ferguson il miglior «set» disponibile di istituzioni economiche, sociali e politiche. Il punto è se gli occidentali sono capaci di riconoscerne la superiorità: «La vera minaccia - scrive - non è nella crescita della Cina, dell'Islam o delle emissioni di Co2, ma nella nostra stessa mancanza di fede nella civiltà che abbiamo ereditato dai nostri antenati». E per dimostrare la ragionevolezza del suo assioma, lo storico porta a sostegno l'esplosione della civiltà occidentale negli ultimi cinquecento anni: «Nel 1500 le future potenze imperiali d'Europa occupavano circa il 10 per cento della superficie della terra e contavano al massimo il 16 per cento della sua popolazione totale. Nel 1913 undici potenze occidentali controllavano quasi i tre quinti dell'intero territorio e della popolazione mondiale e circa il 79 per cento dell' economia globale... Ogni anno che passa sempre più esseri umani fanno shopping come noi, studiano come noi, sono in buona (o cattiva) salute come noi e pregano (o non pregano) come noi».
Una lettura della storia estremamente semplificata (forse non è un caso che il libro sia nato in parallelo a una serie televisiva realizzata da Ferguson su questi temi) e che si scontra per esempio con quanto ha scritto Christopher Bayly, cattedra a Cambridge, uno dei maggiori esperti inglesi di storia coloniale, nel suo La nascita del mondo moderno 1780-1914 (Einaudi 2009). Secondo Bayly il dominio dell'Occidente comincia ad avere effetti solo a partire dal XIX secolo e naturalmente non è il risultato di una particolare «cultura» superiore rispetto a quella degli altri continenti, visto che - giusto per citare un solo esempio - alla fine del Settecento l'India e la Cina fabbricavano più manufatti e pubblicavano più giornali che Francia, Inghilterra, Italia e Germania.

Parabole discendenti
Autore di saggi letterari e politici come quelli raccolti nel volume La tentazione dell'occidente. India, Pakistan e dintorni, Guanda 2007), nei quali cerca di interpretare l'idea dell'Asia in tempi post-coloniali, Pankaj Mishra rivolge a Ferguson («homo atlanticus redux») critiche ampie e articolate in un articolo uscito sulla «London Review of Books». Quella di Ferguson - sostiene Mishra - è in sostanza una nozione di «civiltà» misurata solo sulla capacità di miglioramento della qualità materiale della vita. Una nozione del resto di cui si possono già trovare diverse tracce nelle opere precedenti dello storico scozzese.
In The pity of war del 1998 (tradotto in italiano per il Corbaccio nel 2002 con il titolo La verità taciuta. La prima guerra mondiale: il più grande errore della storia moderna), Ferguson attribuiva alla Gran Bretagna la responsabilità di avere dato avvio alla prima guerra mondiale, e individuava in quell'avvenimento l'inizio della parabola discendente per l'Impero britannico, sottovalutando, se non ignorando, il ruolo dei movimenti anticolonialisti in Asia. Nel successivo The Cash Nexus (Soldi e potere nel mondo moderno, 1700-2000, Ponte alle Grazie 2001) pubblicato pochi mesi dopo l'attacco terroristico dell'11 settembre, Ferguson sosteneva che gli Stati Uniti avrebbero dovuto destinare una parte maggiore delle proprie risorse a rendere il mondo più sicuro per il capitalismo e la democrazia.

Il ruolo dell'impero
In Empire uscito in originale nel 2003, poco dopo l'invasione dell'Iraq (Impero: come la Gran Bretagna ha fatto il mondo moderno, Mondadori 2007), lo studioso affermava che gli Usa erano un impero incapace di riconoscersi come tale e che, volendo, avrebbero potuto esercitare lo stesso ruolo imperiale della Gran Bretagna nel XIX secolo.Infine, in Colossus: The Rise and Fall of the American Empire (2004, in italiano Colossus.Ascesa e declino dell'impero americano, Mondadori 2006) Ferguson sembra preoccuparsi più della capacità che della legittimità dell'impero americano, ritornando - nota Mishra nel suo articolo - alla storia dei bianchi così come veniva declinata ai tempi dell'imperialismo.

Uniformità di vestiario
Determinanti per il successo dell'Occidente sul «resto» del mondo (The West and the Rest è l'inequivocabile sottotitolo di Civilization) sarebbero quelle che lo storico scozzese chiama, adoperando un brutto gergo da computer, «killer apps», applications: la competizione, la scienza, la proprietà, la medicina, il lavoro, i consumi. In altre parole una rete di idee e comportamenti, basate su una struttura morale e un modo di agire, che avrebbero fornito il collante per una società potenzialmente dinamica. Sulla società dei consumi in particolare Niall Ferguson si sofferma a lungo: «Oggi - afferma - è così diffusa da farci pensare che sia più o meno sempre esistita. In realtà è una delle più recenti innovazioni del capitalismo, e anche quella che ha spinto l'Occidente più avanti rispetto al resto del mondo». Per lo storico l'abbigliamento è al cuore del processo di occidentalizzazione: con la manifattura tessile - scrive in sostanza lo storico - ha avuto origine la rivoluzione industriale, e già allora il lavoratore non era soltanto uno schiavo del salario, ma anche un consumatore.
Di questo processo iniziato più di due secoli fa saremmo adesso per Ferguson al punto di arrivo, culmine trionfante della «civiltà occidentale» - nel mondo intero la stragrande maggioranza della gente veste in modo molto simile: gli stessi jeans, le stesse scarpe da ginnastica, le stesse t-shirt... E se qualcuno non fosse convinto, Ferguson è pronto a portare a sostegno dei suoi ragionamenti una controprova. Tra le pochissime sacche di resistenza contro questa gigantesca macchina sartoriale di uniformità, c'è il Perù rurale: nelle montagne delle Ande le donne quechua vestono coloratissimi abiti tradizionali, con scialli e piccoli cappelli di feltro. Peccato, si affretta a puntualizzare lo storico, che questi non siano affatto abiti tradizionali, ma abbiano origine - guarda caso - in occidente: i vestiti, gli scialli e i cappelli sono di origine andalusa e vennero imposti dal vicerè spagnolo Francisco de Toledo nel 1572.

Esperimenti naturali
Un altro cavallo di battaglia di Ferguson è la nascita della scienza moderna. Lo sviluppo delle scienze e della medicina furono senza dubbio un importante fattore di potere: le nuove conoscenze fornirono migliori modi di navigare, di estrarre minerali, di costruire cannoni e di curare le malattie... E dalla metà del XVIII secolo in poi la gran parte delle innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche avvengono in Occidente. Rimane da chiedersi come sia stato possibile, quando si pensa che a metà del '500 la tecnologia cinese, la matematica indiana e l'astronomia araba - tanto per fare qualche esempio - erano molto più avanzate che in Occidente. Un quesito a cui gli storici della scienza non riescono a dare risposte definitive. Ma lo studioso scozzese ha la risposta pronta: il mondo cristiano, sostiene, usa la scienza per cambiare il mondo, l'Islam trova blasfemo svelare i segreti divini. Peccato che per secoli la scienza si sia basata soprattutto sulla tradizione araba.
Tra i fattori di predominio dell'Occidente va individuata sicuramente la conquista e la colonizzazione delle Americhe, quello che secondo Ferguson è stato uno dei più grandi esperimenti naturali della Storia: «Prendete due culture occidentali, - scrive - esportatele e imponetele a una larga varietà di popolazioni e territori - Britannici al Nord, Spagnoli e Portoghesi al Sud. Poi vedete chi fa meglio. Non c'era partita. Guardando al mondo oggi, dopo quattro secoli, nessuno può dubitare che la forza dominante nella civiltà occidentale sono gli Stati Uniti d'America». Come e perché è accaduto? Non perché la terra al nord era più fertile o perché fosse più ricca di oro e petrolio, o perché il clima fosse migliore o semplicemente perché l'Europa era più vicina. No, la differenza - secondo lo storico britannico - sta in un'idea: «Un'idea ha segnato la differenza cruciale fra l'America degli inglesi e quella iberica: un'idea circa il modo con cui la gente si dovesse governare. Non fate l'errore di chiamarla democrazia e immaginare che qualsiasi paese può adottarla semplicemente indicendo delle elezioni. In realtà la democrazia è solo la pietra finale di un edificio che ha le sue fondamenta nel governo della legge, per essere precisi, la santità della libertà individuale e la sicurezza dei diritti della proprietà privata, garantiti da un governo costituzionale rappresentativo».
Evidentemente Ferguson non ha letto un libro appena pubblicato in Gran Bretagna, 1493: How Europe's Discovery of the Americas Revolutionized Trade Ecology and Life on Earth, in cui lo storico Charles C. Mann afferma che il processo di globalizzazione ebbe inizio già con Cristoforo Colombo e le basi del predominio occidentale furono tanto biologiche quanto economiche - una tesi in parte già sostenuta prima di lui dallo storico americano Alfred W. Crosby, che aveva parlato di un vero e proprio imperialismo ecologico, e da Jared Diamond nel suo Armi, acciaio e malattie.

La via di Edgar Morin
Come antidoto alla prospettiva neoliberista di Ferguson viene voglia di suggerire la lettura del recentissimo La voie - Pour l'avenir de l'humanitédi Edgar Morin, un pensatore trans-disciplinare e indisciplinato (come ama definirsi) appena uscito in Francia. Qui la «civiltà che abbiamo ereditato» e la «crisi dell'Occidente» sono lette in un'ottica completamente diversa. Si parla di una crisi ecologica segnata dal degrado progressivo della biosfera, di una crisi delle società tradizionali, di crisi demografica, urbana, delle campagne. La civiltà occidentale che produce le crisi della globalizzazione è essa stessa in crisi, con effetti devastanti: un malessere psichico e morale che si installa al cuore del benessere materiale - quella «intossicazione» da consumismo di cui si sono avute drammatiche testimonianze nei giorni scorsi, a Roma come negli Stati Uniti, con code, risse e spari per accaparrarsi l'ultimo prodotto scontato.
In Civilization non ci si chiede mai se un altro modello sarebbe ipotizzabile. Eppure esiste un altro aspetto, tutt'altro che secondario, del modello occidentale: i pericoli di una cultura egemone che crea contrasti, razzismi, fa crescere identità verticali di credi religiosi, di costumi e abitudini. Manca la capacità di pensare che un'altra società, un altro modello, sia possibile.
C'è insomma un'altra storia. E in questo consistono gran parte delle critiche rivolte a Ferguson. Una storia vista dalla parte dell'Oriente o dell'Africa ad esempio, o dalla parte dei diseredati, dei dannati della terra. Una storia che si basi sull'etica, sulla dignità dell'uomo, di tutti gli uomini; che abbia il coraggio della fantasia e la volontà di percorrere strade nuove.

Di Riccardo De Sanctis “Il Manifesto” 12 gennaio 2011

PRESTO, SU QUESTO BLOG, FAREMO UN'ANALISI DELLE STRAMPALATE TEORIE DI FERGUSON.


28 ottobre 2011

Il non democratico Qatar, proprietà privata di uno sceicco immensamente ricco, dichiara ufficialmente che la “rivoluzione” libica è stata una rivolta preparata, alimentata e guidata sul terreno soprattutto dalle sue forze armate, supportate dai falsi di Al Jazeer e Al Arabija. E don Piero Gheddo chiede: “Siamo sicuri che Gheddafi sia il diavolo?”


Come volevasi dimostrare. Ovvero: ora si spiegano alla perfezione, tra l’altro, i falsi scoop libici propalati in tutto il pianeta dalle televisioni Al Arabija e Al Jazeera. Il Qatar  ha messo le mani avanti sul futuro della Libia rivendicando un ruolo più importante, e magari qualche ottima concessione petrolifera. Il perché di tali rivendicazioni lo ha reso pubblico il suo capo di stato maggiore delle forze armate, Hamad bin Ai al Atiya. Il capo militare ha rivelato con molto orgoglio non solo che il Qatar è stato il Paese che più di tutti ha appoggiato militarmente i ribelli libici, ma anche che  ha inviato “centinaia di uomini in ogni regione” libica. Non uomini qualsiasi, ma, ci ha tenuto a chiarire al Atiya, militari che dovevano pianificare le azioni dei ribelli contro Gheddafi.
Si dà il caso che il Qatar sia proprietà privata dell’emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, che nel ’95 ha deposto suo padre con un colpo di Stato e che è immensamente ricco grazie al petrolio sul quale il suo possedimento galleggia. E si dà il caso che a volere Al Jazeera, la cui sede centrale è a Doha, è stato proprio Al Thani, che alla sua televisione ci tiene talmente da avere dichiarato tempo fa “ci tengo più che alla mia famiglia”.
Pian piano viene quindi a galla che la “rivoluzione” contro Gheddafi più che una versione libica della “primavera araba” è stata una rivolta preparata con cura da istruttori militari stranieri. Della presenza di istruttori francesi e inglesi già si sapeva. Ora si viene a sapere anche che sul terreno i rivoltosi erano guidati, in ogni regione della Libia, da personale militare arrivato da un Paese come il Qatar, tanto ricco quanto assolutamente distante dal concetto di democrazia.
La televisione Al Arabija ha invece sede a Dubai e appartiene a una società con capitali dell’Arabia Saudita, del Kuwait e del Bahrein. In quest’ultimo Stato, anch’esso straricco per il petrolio e anch’esso proprietà privata di uno sceicco, la locale “primavera araba” è stata soffocata nel sangue anche grazie all’arrivo di truppe saudite.  Se la sete di democrazia dovesse attecchire anche nei vari Stati del Golfo, che pompano di petrolio l’Occidente in cambio di tanti soldi e tanta distrazione sui locali regimi niente affatto democratici, gran parte delle nostre industrie, automobili e impianti di riscaldamento si troverebbero a zero.
Ecco perché Al Arabija e Al Jazeera, di solito concorrenti, hanno lavorato di fatto in tandem per lanciare fin dai primi giorni della rivolta balle colossali utili a spingere l’Occidente a giustificare l’intervento militare in Libia. Si è iniziato fin dai primi giorni con il grossolano falso dei “10.000 morti civili per i bombardamenti di Gheddafi” lanciato da Al Arabija e si è finito, per ora, con il falso altrettanto grossolano delle “fosse comuni” con i resti di 1.700 “martiri della rivoluzione vittime delle torture di Gheddafi” lanciato da Al Jazeera.
Questo tipo di operazioni i militari le chiamano “guerra psicologica”. Guerra che consiste in soldoni nel demonizzare il nemico, diffamandolo e calunniandolo il più possibile anche inventando panzane colossali come le “bombe atomiche irachene di Saddam”. Di questo tipo di guerra il comando Nato di Verona ne ha una bella e importante sede. Se per i greci e i romani la guerra psicologica si riduceva a considerare e chiamare “barbari” i nemici e gli esterni in genere, ed era basata sull’ignoranza reciproca, oggi si tratta invece di alterare e nascondere la realtà creandone una ad hoc. Insomma, la faccenda è molto più complicata. Ma il succo e i fini non cambiano.
MA SIAMO SICURI CHE GHEDDAFI SIA PROPRIO IL DIAVOLO?
Reputo interessante un articolo pubblicato suwww.asianews.it da don Piero Gheddo, un missionario profondo conoscitore della realtà di molti Paesi e autore di considerazioni su Gheddafi e la Libia che cozzano contro la vulgata corrente. Riporto qui di seguito l’articolo per intero. E tralascio, per ora, il fatto che Gheddafi è stato portato e mantenuto al potere dai servizi segreti italiani, come del resto anche Ben Alì in Tunisia, perciò le loro colpe per quanto scellerate sono in parte anche nostre.
“L’Occidente si è schierato con gli avversari di Muhammar al Gheddafi, che dovrà scegliere se morire nella Tripoli ridotta a macerie o accettare l’esilio in un Paese amico. E’ un dato di fatto ed è superfluo richiamare quanto ha detto più volte il Papa. Ancora ieri, 27 marzo, dopo l’Angelus, Benedetto XVI ha detto: “Di fronte alle notizie, sempre più drammatiche, che provengono dalla Libia, cresce la mia trepidazione per l’incolumità e la sicurezza della popolazione civile e la mia apprensione per gli sviluppi della situazione, attualmente segnata dall’uso delle armi. Nei momenti di maggiore tensione si fa più urgente l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione fra tutte le Parti coinvolte, nella ricerca di soluzioni pacifiche e durature.
In questa prospettiva, mentre elevo al Signore la mia preghiera per un ritorno alla concordia in Libia e nell’intera Regione nordafricana, rivolgo un accorato appello agli organismi internazionali e a quanti hanno responsabilità politiche e militari, per l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi”.  Il vescovo di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli (AsiaNews.it, 25 marzo) aggiunge: “La guerra poteva essere evitata. Qualche giorno prima che Sarkozy decidesse di bombardare, si erano aperti spiragli veri di mediazione. Ma le bombe hanno compromesso tutto”. Dittatore dal 1969, all’inizio Gheddafi ha seguito una linea anti-occidentale e anti-italiana, fino a finanziare il terrorismo di matrice islamica, le moschee e madrasse islamiche d’ispirazione estremista in tutto il mondo. Ha espulso dalla Libia i 25 mila italiani e altri stranieri che tenevano in piedi l’economia e i servizi pubblici, riducendo il suo popolo alla miseria. Nel 1986, Reagan bombardò le sei tende, all’interno di caserme, in una delle quali viveva il premier libico, che scampò per miracolo. Isolato fra Egitto e Tunisia filo-occidentali, capì che la linea rivoluzionaria era fallimentare, a poco a poco ha cambiato politica: ha continuato a fare discorsi rivoluzionari e anti-occidentali, ma in pratica, specie dopo che nel 1998 venne tolto l’embargo economico e nel 2004 l’embargo sulla vendita di armi alla Libia, ha  iniziato un cammino di avvicinamento all’Occidente e, quel che più importa, di faticosa educazione del suo popolo con la scuola e al rispetto dei diritti dell’uomo e della donna.
Sono stato in Libia nel 2007 e sono rimasto in contatto con amici. I proventi del petrolio Gheddafi li ha usati per sviluppare il Paese: strade, scuole, ospedali, università, case popolari a bassissimo prezzo, inizio di industrializzazione, sviluppo agricolo con l’acqua tirata su nel deserto ad una profondità di 600-800-1.000 metri! Due acquedotti (costruiti dai sudcoreani) portano l’acqua dal deserto alla costa, 900 km. a nord. Il regime di Gheddafi è sostenuto dalle tribù della Tripolitania, combattuto da quelle della Cirenaica, la regione che si è ribellata e facilmente ha conquistato il potere a Bengasi e in altre città. Una rivalità tradizionale che già aveva creato problemi al tempo della colonizzazione italiana. La recente rivolta non è stata causata dalla miseria, come quelle di Egitto e Tunisia, infatti fino ad oggi, molti i profughi dai paesi del Maghreb, nessun libico è fuggito dalla Libia: segno che la gente non stava proprio male. La rivolta è guidata da rivalità tribali (le tribù si chiamano “kabile”) e poi dall’oppressione di una dittatura che non lascia spazi di crescita politica e di coinvolgimento popolare nella guida del paese.
Ma non possiamo dimenticare quel che il dittatore ha fatto: ha mandato le bambine a scuola e le ragazze all’università, ha abolito la poligamia e varato leggi in favore della donna anche nel matrimonio: ad esempio ha proibito di tener chiuse le ragazze e le donne in casa e nel cortile cintato di casa. Soprattutto, ha controllato e tenuto a freno l’estremismo islamico. Un comitato di saggi islamici a Tripoli preparava in anticipo il testo dell’insegnamento religioso del venerdì, lo mandava a tutte le moschee del Paese; l’imam doveva leggere quel testo senza aggiungere né togliere nulla, pena la perdita del posto. In Libia, finora, c’è libertà religiosa. I 100 mila cristiani (nessun libico, tutti stranieri in maggioranza lavoratori copti egiziani), pur con molti limiti, godono di libertà di culto e di riunione. La Caritas libica è un organismo stimato e richiesto di interventi. Due fatti eccezionali. Nel 1986 Gheddafi ha scritto a Giovanni Paolo II chiedendo suore italiane per i suoi ospedali. Costruiva ospedali e dispensari, ma non aveva ancora infermiere libiche. La richiesta veniva dal buon esempio delle due francescane infermiere italiane che hanno assistito il padre di Gheddafi fino alla morte. Oggi in Libia ci sono circa 80 suore cattoliche (soprattutto indiane e filippine, ma anche italiane) e 10.000 infermiere cattoliche filippine e indiane, oltre a molti medici filippini, indiani, libanesi, italiani. Il vescovo Martinelli mi diceva: “La presenza di queste giovani donne cristiane, professionalmente preparate, gentili, attente alle necessità del malato che curano con amore, stanno cambiando l’immagine del cristianesimo fra i musulmani”. In nessun Paese islamico tutto questo è permesso. Secondo fatto. Sono stato nel deserto a 900-1000 km. da Tripoli, dove sta fiorendo una regione ex-desertica per l’acqua tirata su dalle profondità della terra. Un lago di 35 km. di lunghezza e campagne coltivate e cittadine, dove 20 anni fa non c’era nulla.
La città di Sebha capitale della regione ha 80 mila abitanti, dove vive un sacerdote medico italiano, don Giovanni Bressan (di Padova) che è stato uno dei fondatori dell’ospedale centrale. Don Bressan ha riunito i molti africani profughi dai paesi a sud del deserto (Nigeria, Camerun, Ciad, ecc.) fondando per essi una parrocchia, una scuola, un centro di riunioni e di gioco. Gli africani lavorano e sono pagati, per tre o più anni rimangono nel sud, poi hanno soldi a sufficienza per tentare il passaggio in Italia! Fanno tutti i lavori e sono ammirati perché lavoratori onesti e forti. Don Vanni (Giovanni) riesce a fermare alcune famiglie, le altre vogliono venire in Italia, in Europa. Il cammino della Libia verso la piena integrazione nel mondo moderno e nella Carta dei diritti dell’uomo e della donna, era cominciato. Non difendo Gheddafi e la sua dittatura, ma mi pare giusto testimoniare anche aspetti del suo operato, del tutto ignorati in questi giorni. Il 26 marzo scorso Magdi Cristiano Allam ha scritto su “Il Giornale”: “Nella guerra esplosa in Libia e che vede l’Italia in prima linea, l’unica vera certezza, al di là delle reali intenzioni di chi l’ha scatenata, è che a vincere saranno gli integralisti islamici e che, di riflesso, le popolazioni delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo saranno sempre più sottomesse alla sharia, la legge coranica che nega i diritti fondamentali della persona e legittima la dittatura teocratica. Un esito che è esattamente l’opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama straripanti delle parole d’ordine ‘libertà’ e ‘democrazia’””.

10 marzo 2011

GHEDDAFI E GLI ALTRI



Di Fulvio Grimaldi.

La terra è tua madre, lei ti diede la nascita dal suo ventre. E’ colei che ti allattò e ti alimentò. Non disubbidire a tua madre e non tosare i suoi capelli, tagliare le sue membra, lacerare la sua carne, o ferire il suo corpo. Devi solamente aggiustare le sue unghie, fare che il suo corpo sia pulito da ogni lordura. Darle la medicina per curare ogni sua malattia. Non mettere pesi gravosi sopra la sua mammella, fango o cemento sopra le sue costole. Rispettala e ricorda che se sei troppo aspro con lei, non ne troverai un’altra. Non distruggere la tua dimora, il tuo rifugio, o ti perderai.
(Muammar Gheddafi).


 Forse è per questo che gira con una tenda. Mentre il nostro viaggia di Arcore in Grazioli in Certosa in castelli in Santa Lucia e costruisce Milano 2 e C.A.S.E.


Se è vero che il firmaiolo di tutte le sconcezze berlusconidi, salvo qualche chiavica sesquipedale, è "il più amato dagli italiani" (così dal "manifesto" a "il giornale", escluso il solitario "Il Fatto quotidiano"), vuol dire che siamo più fessi addirittura degli sciamannati libici che, sotto i vessilli di un re-scodinzolo degli inglesi, vogliono precipitarsi nel paradiso della globalizzazione, del cannibalismo multinazionale, della miseria e del degrado garantito a tutti, tranne ai futuri Karzai o Abu Mazen che guidano la rivolta, dagli strumenti della civiltà superiore: Nato, FMI, Banca Mondiale, WTO, servizi di sicurezza in mano al Mossad. Ieri, per l'ennesima volta, il venerato custode della Costituzione, ha violato la sacra carta approvando che si metta fine a un "dittatore che compie raid aerei sul proprio popolo". Traducendo: Vai Folgore! Non so se l'uomo, già capo della banda rubacchiona e collaborazionista dei Miglioristi, abbia tanti e tali scheletri nell'armadio del suo ravanare tra PCI e suo contrario, da essere preso alla gola da ricatti. O se sia nella sua natura di rinnegato della sinistra vasellinare le infamie autoctone e alloctone dell' imperialismo genocida. Ma so che le mani del custode della nostra Costituzione di pace grondano sangue afghano e iracheno. Presto anche libico.

C’è qualcuno in giro che s’è chiesto perché mai quasi tutti i governanti, i progressisti, rivoluzionari, antimperialisti del Sud del mondo, America Latina in testa, pur non negando critiche al Gheddafi degli ultimi 10 anni sotto ricatto occidentale, si schierano a difesa del legittimo governo libico e del suo leader e denunciano le mire imperialiste di una “comunità internazionale” che da vent’anni, con la scusa dei dittatori e con l’uso di provocatori e provocazioni, assalta e massacra popoli, stende sul mondo una cappa di miseria sul quale danzano alcune migliaia di ultraricchi, svuota libertà e diritti democratici, sociali, culturali, avvia ovunque Stati di polizia intrecciati alla criminalità organizzata, traffica in droga e armi, distrugge la possibilità di istruirsi e informarsi? C’è qualcuno che pensa che questi siano peggiori di Bush, Cheney, Obama, D’Alema, Fassino, Berlusconi, Netaniahu, Calderon, Karzai, Al Maliki, i golpisti killer dell’Honduras?

Coerenze. Voto bipartisan, salvo IDV, per la missione afghana nel 2010. Missione dei 36 “professionisti” italiani caduti e dei 34mila raid aerei all’anno (il doppio rispetto al 2007), per 25 miliardi e mezzo di euro tra Afghanistan, lotta ai pirati somali (in difesa di pesca di frodo e scarico di rifiuti tossici europei), Unifil, addestramento di ascari vari...62 milioni alla ricostruzione. "Per il buon nome del paese" (Pinotti, PD). Da promuovere ora in Libia.

I vernacolari del "Campo Antimperialista", collaudato il loro pluralismo nell'unione antimericana con i neonazisti di Franco Freda, manifestata la loro chiaroveggenza politica con orgasmatici applausi al trapanatore iracheno-iraniano di resistenti e sunniti, Moqtada, perfezionano la missione schierandosi "con l'insurrezione popolare" in Libia. Loro vestale, Emma Bonino, ancora zuppa di sangue serbo, iracheno, afghano.

Potenza dell’ignoranza. Andrea Camilleri, Luigi Ciotti, Cristina Comencini, Magherita Hack, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Igiaba Scego, firmano un appello "Fermiamo il massacro in Libia". Come si compromette una vita onorata. In arrivo anche gli amici del giaguaro, Saviano, Fazio, Santoro, tutto il PD, il papa, Sgrena, l'intera celebrata "società civile" in marcia per "promuovere i diritti culturali delle popolazioni contro dirigenti corrotti e venduti". Sono bravi, chiedono di sfasciare ma senza sparare troppo.

Dall'inizio del 2011 Israele ha rapito e incarcerato 80 bambini palestinesi nella Gerusalemme Est occupata e stuprata dai coloni carburati da Obama. Ne invade le case di notte e se li porta via. Innumerevoli sono le denunce di tortura e abusi sessuali. Ieri ad altre 22 famiglie della città è arrivato l'ordine di demolizione delle loro case. Parlarne? Ma se sono riusciti anche a occultare i 500 bambini terroristi sterminati da Piombo Fuso...


Al Jazira pompa le balle dei "ribelli democratici". Gli editoriali di Al Jazira sono gestiti da agenti dei servizi segreti con targa BBC. Al Jazira trasmette ogni singola patacca del defunto Bin Laden, senza controlli di autenticità, favorendo la "guerra al terrorismo". E' dal Qatar che gli Usa lanciarono l'invasione dell'Iraq, visto che Turchia e Arabia Saudita rifiutarono. E' un pollaio che si fa difendere dal capo volpe.


 Al Jazira inventa bombardamenti aerei di Gheddafi (smentiti da tutti, compresi i satelliti russi), il delegato libico al Tribunale dell'Aja offre in pasto ai media e ai Obama 10mila morti, subito confermati da Al Jazira (e poi il Tribunale smentisce di avere tale delegato). Ma come, l'emittente del Qatar non era anti-israeliana? Sì, ma filo-americana e, da tv pagata dall'emiro, anche filo-monarchica, ovunque qualche stronzo risusciti un re.

In Sudan, distretto di Abyei, 70 ammazzati e villaggi rasi al suolo perchè il Sud secessionista grazie a USraele, UE, comboniani e Vaticano vuole anche quella regione assegnata al Nord. C'è quel po' di petrolio che è rimasto al Sudan libero. Se possono somalizzare la Libia, vuoi che non ci provino con il Sudan che, oltre agli idrocarburi, ha il Nilo? Già tengono Etiopia, Ruanda, Uganda, Kenya. Per l’Eritrea, a forza di trattamento alla Saddam, si avvicina l’ora. Usraele ueber alles anche in Africa.




Centinaia di migliaia di iracheni manifestano nel "Grande Giorno della Collera" in tutto il paese "restituito alla democrazia", ma non a luce, acqua, pane, scuola, vita. Vengono abbattuti come mosche in città militarizzate, sotto coprifuoco e proibite ai giornalisti. Il popolo di Mosul ha cacciato il generale fantoccio con i suoi 450 sgherri. Ovunque vengono costretti alla fuga governatori fantoccio installati dagli occupanti e loro sicari. La rivolta è in prima linea contro l’occupazione, causa di tutto. Ne avete sentito niente?

La Libia si difende da reazionari salafiti e monarchici ansiosi di Occidente e neoliberismo, chiamati “patrioti”. I governatori di Wisconsin, Ohio, Idaho e altri Stati Usa si difendono da centinaia di migliaia di manifestanti che assediano da settimane i palazzi del potere contro leggi neoliberiste che eliminano sindacati, contratti, diritti, chiamati “estremisti”. Un’insurrezione di lavoratori nel cuore dell’impero. Visto come ci si avventano i media?

L'ONU sanziona la Libia e fa scattare orde distruttrici su ordine Usa. L'ONU classifica il Messico primo al mondo per violazioni dei diritti umani. Mortalità materna 5 volte superiore a quella degli altri paesi. Con 35mila ammazzati in quattro anni si muore di più che in qualsiasi paese non in guerra. 2.500 donne uccise all’anno per reprimere l’opposizione e disintegrare il tessuto sociale con la psicosi della paura. 170 incarcerate per aborto con pene fino a 25 anni. 20mila migranti scomparsi o uccisi ogni anno. Zitti, da lì arrivano la droga per il mercato Usa e i dollari per le sue banche, dollari con i quali si finanziano le campagne elettorali dei presidenti. I cinque Stati Usa che risultano i massimi riciclatori di denaro da droga sono i cinque Stati che contribuiscono maggiormente alle campagne presidenziali.





Obama, vindice del diritto internazionale, decide che urge abbattere il leader di un paese sovrano. Non è interferenza. E' democrazia ai tempi dei Berlusconi e di tutti i masochimbecilli della "sinistra". Curioso: quelle del governo sono "milizie" e "mercenari" “che “sparano sulla folla”, quelle dei ribelli con istruttori Blackwater sono "truppe" e "volontari", quando non “civili inermi” (con tanto di RPG e cannoni moderni). Mentre Karzai in Afghanistan e al Maliki in Iraq hanno truppe e gli altri sono "terroristi". E dal sole piove e di notte ci si abbronza.

‎2010: 10mila afghani, all'80% civili, uccisi da USA e Isaf (160mila mercenari nella più lunga e costosa guerra dell'era democratica), 712 militari occupanti, migliaia di contractors, di cui 36 italiani, morti per le lacrime tossiche del mandante La Russa. 1000 civili pakistani, fatti passare per "taliban", massacrati dai droni Cia nell'alleato Pakistan. Bombe Cia-Mossad a tutto spiano nelle moschee e città pakistane per destabilizzare un paese dal popolo ostile. Exit strategy di Obama svaporata e quattro enormi basi permanenti annunciate. Ma che mascalzone quel Gheddafi!

Nello Stato di Chihuahua hanno appena ucciso tre famigliari di una donna, Maria Magdalena Reyes Salazar, che si batteva per la giustizia per l'assassinio di suo figlio. Poi le hanno incendiato la casa. I narcos minacciano di sgozzare i bambini di un asilo a Ciudad Juarez. Qui sono state uccise in gennaio-febbraio 79 donne, il 32% in più rispetto ai due mesi del 2010. Quando qualche biasimo al presidente complice o un bell’ "intervento umanitario"?



Israele, che detesta gli anti Ben Ali, anti-Mubaraq, anti-Saleh, anti-Abdallah, adora (infiltra) i "rivoluzionari", anche un po' linciatori, di Bengasi. Portatrice, come questi, di diritti umani e democrazia, ha ammazzato altri tre palestinesi a Gaza e ha raso al suolo per la 20esima volta un villaggio beduino nel Sinai, 19 volte ricostruito, per far spazio ai coloni. Chiede ai beduini il costo degli smantellamenti

Antropologia imperiale, ovvero quando le facce spiegano. A Tehran le belle gnocche "verdi" ingioiellate e fresche di stilista. A Brega, Cirenaica, dove lealisti e ribelli si contendono il terminale petrolifero, i "rivoluzionari libici" di Anno Zero. Una turba barbuta armatissima, parossistica, schiumante, urlante in una specie di ballo di S.Vito alla salafita "Allah u Akbar". Del tutto simile a studenti, operai, donne, poveri del Cairo e Tunisi...

Le lotte nelle piazze arabe sono una lotta transnazionale di proporzioni epiche. Si combatte per dignità, diritti, giustizia e sovranità. Sono lotte che non possono prescindere della consapevolezza del nemico: l'imperialismo globalizzante che sta attaccando la Libia che quelle lotte le aveva vinte. L'ordine globale vive o muore con la rivoluzione pan-araba. Ne fa parte il popolo libico, non chi lo frantuma.

Fidel Castro: "La campagna colossale di bugie sparse dai mezzi di comunicazione di massa, ha creato una grande confusione nell'opinione pubblica mondiale. Passerà del tempo prima di poter ricostruire ciò che è successo realmentre in Libia e di separare i fatti reali dai falsi che sono stati diffusi". Già, nel frattempo le armate barbare passeranno sulla nostra coscienza nel viaggio verso Tripoli.



Il ”satrapo” Gheddafi, che non ha manco un palazzo d'oro o ville in Sardegna e Santa Lucia. L'ONU pone la Libia al primo posto nel Continente per Indice di Sviluppo Umano, reddito, longevità, istruzione, sanità (tutti gratuiti), distribuzione della ricchezza, la più bassa mortalità infantile, la maggiore partecipazione popolare al potere. Il Libro Verde garantisce la proprietà della terra a chi la lavora e della casa a chi ci abita. Coinvolge i lavoratori nella gestione delle aziende. Ogni decisione politica è presa dai Comitati Popolari e dal Congresso del popolo. Ma la burocrazia era corrotta e faceva affari con i capitalisti. Come a Cuba. Allora diamo addosso a Gheddafi, più tardi a Cuba, noi del popolo sovrano e benestante grazie alla "porcata" di Calderoli, la modernità di Marchionne, la gentilezza di Maroni, il patriottismo di La Russa, la sobrietà di Berlusconi, il socialismo di Bersani. Sono nostri i diritti umani!


Gheddafi ha sottratto la sua gente al vampirismo neoliberista e alle basi Usa, ha sempre avversato i monarchi arabi venduti, ha sostenuto la liberazione di Nicaragua, Cuba, Angola, Mozambico, Sudafrica, Palestina, baschi, irlandesi, ha preso uno spezzatino tribale e ne ha fatto una nazione moderna laica, si batte per l'unità africana. Ma i suoi burocrati erano corrotti e lui pazzo. Diamogli addosso.

Quando Gheddafi, dal solito "bunker" alla Hitler, articolato in ristoranti sul mare, palazzi di congressi e piazze pubbliche, accusa Al Qaida, sa bene cosa dice. Al Qaida in Afghanistan, in Kossovo e Bosnia, Cecenia, Yemen, Somalia, Maghreb, Latinoamerica, Europa. Sempre un bonus per l'imperialismo e un'inculata per arabi e musulmani. Possibile che l'illuminante "cui prodest" non interessi nessuno?

Hanno sequestrato decine di miliardi del "tesoro di Gheddafi". Fondi del commercio estero del governo libico depositati in banche occidentali. In vista del furto del petrolio finora negato agli Usa, la criminalità organizzata "comunità internazionale" esegue una rapina con scasso (di sicari armati locali) dei beni di un popolo cui i futuri fantocci garantiranno sopravvivenza con Marchionne e narcotraffico. 700 miliardi, invece, Obama li ha cavati dai cittadini per darli alle banche che li avevano rovinati. In 40 miliardi di euro si calcola il “tesoro” del guitto mannaro, questo sì personale.

Il presidente Chavez che, per demonizzare due disobbedienti, era stato inventato ospitante di Gheddafi, ha espresso solidarietà a Gheddafi contro le belve imperialiste. Ha detto: "Sarei un codardo se, sulla base di falsità, condannassi chi è stato mio amico". Uomo vero. Berlusconi e Frattini, nella tomba dei morti viventi, hanno avuto un sussulto.

La balla risolutrice per i genocidi imperiali: "Il dittatore ha massacrato il proprio popolo". Chi non interverrebbe umanitariamente, vero D'Alema, Prodi, Berlusconi? Così con le false stragi di Milosevic a Sarajevo e in Kosovo, con i massacri di curdi e sciti da parte di Saddam, con lo sterminio di donne per mano taleban. Ma mai con le Torri Gemelle, il metrò di Londra, il treno di Madrid. Ma quelli li ha fatti Al Qaida, mica i loro governi.

Tre commandos dei marines olandesi, cioè Nato, sono sbarcati dalla nave "Tromp" a Sirte, tuttora in mano libica, per innescare la rivolta anche lì. Le truppe regolari li hanno catturati. E' spontanea un'insurrezione "Allah u Akbar", guidata a Bengasi da istruttori e armatori Usa-Nato, coperta da false stragi mediatiche di Gheddafi, incitata dalla moglie di colui che sbranò la Jugoslavia, zeppa di commandos imperiali?

Provasto a normalizzare con militari e fantocci le potenziali rivoluzioni anti-globalizzazione in Egitto e Tunisia, scatenati i secessionisti salafiti in Libia e berberi in Algeria, la Libia, che contrattava alla pari con il mondo e respingeva gli Usa, è bella e incastrata. Si torna, come in Jugoslavia, a mafia-narco-statarelli, come ai bei tempi del colonialismo. Qui Cirenaica, Tripolitania e Fezzan a sbranarsi per gli sghignazzi e il petrolio Usa

Cirenaica come Kosovo. "Consiglieri" Usa a Bengasi stanno già ponendo le fondamenta per una nuova base Bondsteel da cui intervenire sull'Africa tutta, in culo a UE, Cina e Russia. Prima la creazione di una quinta colonna di invasati e banditi islamici, poi le false stragi di Slobo e Gheddafi sovrapposte a quelle vere degli ascari, quindi criminalizzazione del "dittatore", bombe e squartamento del paese. La globalizzazione funziona. Oddio, se la dovrà vedere con Attac e I Social Forum. Paura!!!

Frattini, amico di Mubaraq, Ben Ali e gaglioffi sanguinari vari, manichino Standa, baciatore di deretani arcoriani, a nome del baciatore di anelli sollecita Piombo Fuso su Gheddafi. Meglio del moralista Chavez.Astuto! Le sanzioni Usa-UE hanno messo sotto scacco Eni, Finmeccanica, banche, cordate varie. Con un colpo gli Usa fanno fuori Libia e Italia, nel giubilo dei nostri media, sinistri e destri. E il guitto mannaro offre le basi d'attacco, come D'Alema con il Kosovo. Taffazzi al posto di Mattei. Che scaltri! Appunto masochimbecilli. 

19 gennaio 2011

PSICOLOGIA DI MASSA DEL BERLUSCONISMO

Ma quanti sono davvero gli italiani disposti a seguire Berlusconi fino alla fossa?

di Moreno Pasquinelli


Mi corre l'obbligo di ri
spondere all'intervento di ieri di Piemme dal titolo 
puttanaio italiano




Prendo spunto proprio da un commento, desolante, al suo intervento: «Forse non è ancora la fine per B. I suoi elettori desiderano essere lui, lo seguiranno come le falene la luce fino alla fine, ricordiamocelo tutti: non è lui il guaio, ma tutti i milioni di lobotomizzati che lo seguono, qualsiasi cosa faccia. E' buona parte di questo popolo il male, non il pagliaccio Berlusconi».
Lo seguiranno davvero fino alla tomba? Non ne sarei così certo.


V'è certo un livello dell'analisi (insisto, secondo me secondario) morale, riguardante il legame incestuoso e turpe tra il Caudillo Berlusconi e la moltitudine dei suoi sostenitori. Un livello morale che chiama in causa la psicoanalisi. Badate, non lo dico per scherzo. Chi abbia avuto modo di leggere Psicoanalisi di massa del fascismo, il testo imperdibile di Wilhelm Reich, capirà ciò che dico. La tesi di fondo di Reich è nota: la causa delle nevrosi e dell'infelicità che affliggono la società capitalistica moderna dipendono dalla morale sessuale dominante la quale, imponendosi già nella famiglia, plasma una struttura psichica fondata sulla repressione. Il nazismo era per Reich la conseguenza, ovvero l'espressione politicamente organizzata «... della struttura caratteriale media umana... l'atteggiamento fondamentale dell’uomo autoritariamente represso dalla civiltà capitalistica delle macchine».
Tra la repressione sessuale e il bisogno del dittatore, tra l'infelicità e il sostegno di massa ad un regime dispotico, c'era dunque per Reich un rapporto di causa ed effetto.

A voler restare su questo piano psicoanalitico di analisi, il berlusconismo si presenta come una palese anomalia. Non c'è di mezzo, con la Germania degli anni '30, solo la differenza tra la psicologia di un popolo segnato dalla "rivoluzione luterana", che da questo punto di vista si presenta come un fondamentalismo cristiano, e quella di un popolo come quello italiano, che quel fondamentalismo non ha mai abbracciato —e non ha quindi mai fatto suo un puritanesimo morale.

C'è di mezzo il profondo mutamento che hanno subito le società occidentali dopo la seconda guerra mondiale, anzitutto dopo il '68. E' ancora valida l'analisi di Reich per cui la società si fonda sulla repressione sessuale? Al contrario, penso valga la tesi di Nietzsche per cui Dio è morto e tutto è diventato possibile. Oggi predomina in Occidente, non un puritanesimo morale bensì un relativismo amorale. Questorelativismo amorale, sorto in seno alla borghesia ormai decadente, ha afferrato, come una pandemia, anche agli strati più bassi della società. Una svolta epocale, che ha dato i natali ad una società come minimo post-cristiana, se non propriamente anti-cristiana. Un processo questo, in barba alle autoconsolatorie affermazioni di  Ratzinger, che non è una deviazione, un incidente di percorso dell'Occidente, ma un precipitato ineluttabile della modernità —ove la cosiddetta post-modernità non è che una metastasi della prima.

Esiste dunque una psicologia di massa del berlusconismo? Sì che esiste, e consiste appunto nell'aver portato alle estreme conseguenze, ovvero fino alla depravazione, il concetto di libertà affermatosi negli ultimi quaranta anni per cui, fatta salva una slabbrata e ipocrita etica pubblica, ognuno può e deve farsi i cazzi suoi. Con l'addendum, non poco significativo,  che nessuno ha il diritto di mettere il naso nella sua sfera privata, tanto meno lo Stato —tanto meno la magistratura la quale, agli occhi della plebaglia berlusconide, è l'ultimo avamposto restato in piedi dello Stato, ovvero della legge. "Io sono io, e voi non siete un cazzo", esclamava il Marchese del Grillo nel grande film di Mario Monicelli. 

Orbene, il berlusconismo ideologico si può condensare in questa massima: "io sono io e lo Stato, le leggi, non contano un cazzo"! Se lo Stato non deve ficcare le mani nelle tasche dei cittadini, figurarsi se ha il diritto di intrufolarsi in camera da letto. Siamo insomma all'opposto polare del cosiddetto "Stato etico", il mostro che venne brandito nell'Italia craxiana degli anni '80 e contro cui si scagliava, grazie all'armata televisiva Mediaset, il berlusconismo incipiente. 

Infatti è proprio in quel decennio che il berlusconismo mosse i primi passi, passando sul corpo della spinta collettivistica ed egualitaria degli anni '70, colpendo il cosiddetto "catto-comunismo", incarnando insomma, l'atavica e purulenta morale cattolica per cui, fai quel che ti pare e pecca come vuoi, l'importante è che riconosci solo alla Chiesa la facoltà dell'indulto e del perdono al cospetto di Dio. E non è per caso che le alte gerarchie cattolico-apostoliche abbiano sostenuto fino alla fine Silvio Berlusconi. Fino alla fine, cioè fino ad adesso. Poiché più oltre, oramai, non possono spingersi. Ed è qui un punto cruciale che spiega la fine annunciata del Cavaliere: senza l'avallo morale cattolico, nessuno può restare a lungo al governo in questo paese, tanto meno il berlusconismo amorale. Senza l'alibi fornito dal sostegno vaticano Berlusconi è finito, è un primo ministro solo virtuale. E' stato quest'alibi  a consentirgli di conservare un ampio consenso, a metterlo al riparo dai congiurati, compresi i da tempo scontenti alleati europei e americani.

Venendo al "puttanaio" di cui parla Piemme, sono dunque d'accordo con lui e non con chi ha postato il commento, non si tratta che dell'ultimo atto di questo infinito psico-dramma che è stato il Berlusconismo. Sì, siamo al finale di partita. En passant: mi viene in mente quanto affermato ieri sera dal tetragono quanto indisponente direttore del quotidiano Il Tempo Mario Sechi ieri sera a Ballarò. Senza troppe perifrasi ha ammonito che ove Berlusconi fosse disarcionato da trame di Palazzo (lui intendeva anche l'inchiesta in corso) il suo blocco sociale si ribellerebbe e il paese, questo ha lasciato intendere! precipiterebbe in una specie di guerra civile. Una pistola, a me pare, ad acqua, una minaccia da far ridere i polli.

Ma che siamo all'ultimo atto della commedia, possiamo desumerlo anche da altri e ben più importanti fattori, primo fra tutti, insisto, quello da me indicato nell'articolo Il fantasma di Tremonti, ovvero che la tempesta in arrivo sul debito pubblico italiano non potendo essere affrontata da questo governo moribondo e affetto dal populismo, chiede che si mandi a casa, con le buone o le cattive, il pagliaccio. C'è sempre una goccia che fa traboccare il vaso, ma per traboccare esso doveva essere già colmo, colmo a causa di fattori fondamentali che attengono pur sempre alla crisi storico-sistemica del capitalismo e alle devastazioni sociali che produce ed  uno dei cui prodotti è che solo degli imbecilli possono ancora credere alle barzellette sulla crisi che non c'è o che ci siamo già lasciati alle spalle, che tutto va ben Madama la marchesa....

berlusconidi non perdono occasione per ostentare sicurezza e ripetono il mantra che il Cavaliere è all'apice dei consensi, che la "persecuzione giudiziaria" non fa che portare voti, che infatti il Pdl ha vinto anche le ultime elezioni. Bluffano e mentono! Sia alle europee del 2009 che alle regionali del 2010 il blocco Pdl-Lega Nord, ha perso non guadagnato consensi, a dimostrazione che l'onda più o meno lunga del successo, si era oramai arenata. Voglio segnalare le analisi che su questo blog svolgemmo dell'ultima tornata elettorale regionale del marzo scorso (L'analisi del voto).

Scrivevamo: «Totale astenuti (senza tener conto delle schede bianche e nulle): 14.854.452[36,4%].
Rispetto alle europee di anno fa, 1.628.264 cittadini in più non si sono recati alle urne. [+6,4%].
Pdl + Lega, che cantano vittoria, hanno ottenuto assieme 9.804.129 voti, ben al di sotto dei soli astenuti e molto meno di un terzo dei votanti. Sono dunque una minoranza nel paese.
Ammesso che l'Italia fosse stata stregata da Berlusconi, la tendenza è quella alla de-berlusconizzazione.
Il piagnisteo della gente di sinistra è un alibi per non prendere atto che ci si deve liberare dei politicanti-zombi che ancora vota. Si batterà Berlusconi solo mandandoli tutti a casa». 

E segnalavamo anche che la stessa Lega Nord, al di la delle chiacchiere, aveva perso consensi in termini assoluti, anche in Piemonte, dove conquistò la presidenza.

Questo declino, risultato anzitutto della crisi economica generale, non penso si possa invertire. Le attuali vicende lo rafforzeranno. E non è un caso che il Pdl tema le elezioni anticipate. Vero che le temono anche gli altri, a causa della crescita dell'astensione. Fatti loro. E' proprio la crescita dell'astensione, l'esodo da tutto il baraccone politico ufficiale, una forma, per quanto spuria, della de-berlusconizzazione del paese. Continuo a ritenere che vada sostenuta, e che solo in questo distacco onnilaterale dal Palazzo e dalla Casta ci siano i germi di una rinascita futura.

08 gennaio 2011

LA RUSSA O IL CAPO DELL’ESERCITO: CHI SI DIMETTE?

IL GEN. MINI: “INCONCEPIBILI DUE VERSIONI SU MIOTTO, NON HO MAI VISTO IN TV UN MINISTRO DELLA DIFESA MIMARE, COME UN ATTORE DI UN FILM DI ULTIMA CATEGORIA, LA RICOSTRUZIONE DI UN EPISIODIO FATALE CHE HA COINVOLTO L’ESERCITO DEL SUO PAESE”
Fabio Mini si definisce un generale in cosiddetta ‘ausiliaria’. 
Anche il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, tra due mesi andrà in pensione.
“Noi generali - dice Mini - in realtà non andiamo mai in pensione e continuiamo a interessarci del nostro Paese”.
Per questo gli chiediamo di dirci a quale versione della morte di Matteo Miotto crede: a quella del ministro La Russa, secondo il quale Miotto è stato ucciso durante una battaglia, o a quella del generale capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, che sostiene che Miotto sia stato ucciso da un cecchino.
Generale, lei che ne pensa?   
Camporini ha detto la verità: è stato il ministro La Russa a cambiare versione. Quando ha sostenuto che gli era stata data un’informazione edulcorata. Adesso il ministro la pillola la sta indorando, sostenendo che non voleva dire quello che ha detto, che non prova rabbia per i vertici dell’esercito, bensì stima. Sono boutade che possono avere conseguenze pesantissime   sulla sicurezza dei nostri soldati. Non si può giocare sulla pelle dei militari morti e di conseguenza su quella dei vivi.
Generale, la pace è lontana anche tra le istituzioni. La situazione questa volta è “grave ma anche seria” ?    
Le accuse che il ministro della Difesa ha rivolto al capo di Stato maggiore della Difesa hanno un effetto negativo anche sulla situazione interna: squalificano le istituzioni politiche e militari. Questo significa intaccare il tessuto connettivo del Paese. Dopodiché non resta più nulla.
Possibile che La Russa non si renda conto di fare un danno anche a se stesso? Questi politici sono travolti dal proprio narcisismo. O dalla propria incompetenza?  
Anche. La cosa che mi ha lasciato stupefatto è la versione “romanzata”, divulgata urbi et orbi, dal ministro La Russa, con tanto di interpretazione mimica dell’accaduto. Si capiva molto bene che aveva cambiato la sua versione dei fatti perché influenzato dai colloqui avuti con i soldati dopo essere andato in Afghanistan.
E quindi?    
E quindi, a mio avviso, il ministro non dava una nuova versione perché era emersa un’altra verità. Semplicemente gli è piaciuta di più quella dei soldati. Che è sempre meno “banale”, proprio perché enfatizzata, vuoi per spirito di corpo, vuoi per darsi coraggio, vuoi per esorcizzare la morte.
Un ministro che non sa fare la tara tra l’enfasi con cui i soldati raccontano ciò che vivono e i rapporti ufficiali dei vertici delle Forze Armate, non è inadatto a ricoprire questa carica?      
Un ministro deve saper fare la tara, soprattutto se è il ministro della Difesa. E deve anche saper distinguere tra i toni dei rapporti ufficiali e i toni da usare quando si deve comunicare con l’opinione pubblica. Un ministro della Difesa deve avere, sempre e comunque, come suoi primi interlocutori i vertici militari, che sono addestrati per interpretare ciò che è accaduto davvero ai soldati sul campo.
Lei è stato a lungo impegnato nei Balcani, ma anche in Cina, negli Stati    Uniti, sia in veste di generale sul campo, sia come    portavoce e responsabile   della comunicazione dei vertici militari. Ha mai assistito a uno scambio di accuse così aspro e frontale tra il ministro della Difesa e il suo capo di Stato maggiore?    
No. Non ho mai nemmeno visto in tv un ministro della Difesa mimare come un attore di un film di ultima categoria, la ricostruzione di un episodio fatale che ha coinvolto l’esercito del suo Paese.
Perché, secondo lei?    
Intanto perché uno dei due si è sempre dimesso prima di arrivare a tal punto. Secondo perché non si arriva a questo punto: l’insipienza non è prevista per certi ruoli. La malafede magari sì, ma l’incapacità no.
Senta generale, ma c’è ancora un punto in comune tra il vertice politico e  quello militare?    
Sì, purtroppo: nessuno dei due dice chiaramente che questa non è una missione di supporto e assistenza all’esercito e alla polizia afghana, altrimenti avremmo mandato sempre più ingegneri e infermieri, invece abbiamo aumentato le forze militari, passando da 9 mila a 140 mila soldati. Questa è una guerra e si va “alla guerra come alla   guerra”.
Cioè?    
I nostri soldati partecipano a battaglie vere e proprie, le nostre Forze Speciali (sabotatori e incursori), che ubbidiscono direttamente agli ordini della Nato, ogni notte si lanciano dagli elicotteri o marciano per decine di chilometri al buio per infiltrarsi nei territori non ancora controllati. E lo fanno a costo di eliminare tutti gli avversari che incontrano sul loro cammino. In guerra eliminare significa ammazzare   .
Stiamo trasgredendo l’articolo 11 della Costituzione?    
Far rispettare l’articolo 11 alla lettera (L’Italia ripudia la guerra, ndr) sarebbe ottimo, tuttavia il diritto internazionale, autorizzando l’intervento armato in casi particolari, di fatto permette di   aggirare l’articolo 11. Dobbiamo quindi badare alla sostanza, che è quella di far riconoscere a tutti che siamo in guerra, in un teatro di guerra, contro avversari che ci fanno la guerra.
Roberta Zunini
(da “Il Fatto Quotidiano“)