[Revisionismi] Deng Xiaoping fu riformista anche in Piazza Tien An Men
In occasione della morte di Zhao Ziyang una riflessione sulla storia cinese degli ultimi 30 anni e sulla figura di Deng Xiaoping, il piccolo uomo che ha cambiato il destino della Cina.
Il suo pragmatico riformismo non venne meno neppure quando decise l'intervento dei carriarmati e la rimozione di Zhao Zyiang.
La morte di Zhao Ziyang, il Segretario generale del PCC che appoggiò la protesta di Tien An Men, pagandone direttamente le conseguenze, impone una riflessione più accorta sulle cause e la storia di quegli avvenimenti, inserendoli nel contesto più ampio della storia cinese degli ultimi 30 anni, ricordando anche "un'altra Tien An Men", quella del 1976.
La storia politica di Zhao Ziyang è legata indissolubilmente a quella del suo padrino Deng Xiaoping. Fu grazie a lui che nel 1980 Zhao divenne primo ministro, sostituendo il protetto di Mao, Hua Guofeng. Una successione che, insieme a quella di Hu Yaobang come Presidente del Comitato centrale del PCC (1981), sempre al posto Hua Guofeng, segnò la definitiva affermazione del nuovo gruppo dirigente della Cina comunista, che avrebbe guidato il paese verso un lungo cammino di modernizzazione economica. La guida di quella seconda "generazione" era proprio il "piccolo uomo" Deng Xiaoping.
Tuttavia l'ascesa al potere di Deng fu il risultato di una lunga e difficile guerra ai vertici del partito, che si giocò a partire dal 1976, anno della morte di Mao Zedong e del suo grande rivale, il moderato Zhou Enlai, protettore di Deng, ma che in realtà era già cominciata nel 1966 con la rivoluzione culturale.
Deng era divenuto segretario generale del PCC nel 1956, ma nel 1959 pagò il suo scarso entusiasmo nei confronti del "Grande Balzo in avanti" (un balzo che causò la morte per fame di 30 milioni di cinesi) con l'inimicizia di Mao, che proprio durante la Rivoluzione Culturale lo isolò, lo fece arrestare ed infine lo costrinse all'esilio nella provincia dello Jiangxi. Il prezzo che egli pagò alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria potrà sembrare meno caro di quello che invece toccò ad esempio a Liu Shaoqi (Presidente della Repubblica nel 1959, che morì in carcere nel 1969) o Peng Duhai (leggendario comandante della Prima Armata del Fronte dell'Armata Rossa e ministro della Difesa dal 1954, anch'egli morto imprigionato nel 1974), ma non si dimentichi che la furia radicale nella fase più estremista del maoismo si scatenò contro suo figlio Pufang, che rimarrà paralizzato dopo essere stato scaraventato da una finestra dell'Università di Pechino dalle guardie rosse.
Solo nel 1973 Deng Xiaoping potè tornare a Pechino e da quel momento iniziò il suo rilancio. Grazie alla protezione di Zhou Enlai e dei settori più moderati del partito potè di nuovo esser membro dell'Ufficio politico (fine 1973), divenne poi membro della Commissione militare del Comitato centrale e capo di stato maggiore (1974), membro del Comitato permanente dell'Ufficio politico, vicepresidente del Comitato centrale e infine vice primo ministro nel gennaio del 1975.
A quella data le precarie condizioni di salute di Mao facevano suppore che presto si sarebbe giunti ad una resa dei conti tra i protagonisti attivi della Rivoluzione Culturale (il cui spirito era incarnato dalla celebre Banda dei Quattro) che intendevano proseguire su alcune delle strade tracciate in quel periodo (ideologia e lotta al capitalismo) e coloro che invece era riusciti a sopravvivere ad essa e che erano portatori di un progetto di sviluppo del socialismo che coniugasse l'egemonia del partito con la crescita e la modernizzazione economica.
Tuttavia prima di Mao morì Zhou Enlai, nel gennaio del 1976, e nell'aprile di quell'anno, la festa del Qing Ming, durante la quale si commemorano gli antenati, divenne l'occasione per celebrarlo. Proprio in piazza Tien An Men, presso il monumento degli eroi, molte delle ghirlande di fiori portate dalla gente di Pechino in ricordo degli eroi della Rivoluzione, erano accompagnate dai ritratti di Zhou Enlai e da bigliettini che ne ricordavano il valore. Ben presto però quella che doveva essere una semplice commemorazione si trasformò in una protesta contro il sindaco della città, Wu De, ed altri esponenti radicali del partito. Quei bigliettini divennero il mezzo per manifestare un dissenso che non trovava altre vie d'espressione.
Un dissenso che paradossalmente però, rischiò di favorire la Banda dei Quattro e travolgere proprio gli esponenti moderati del PCC e in primis Deng Xiaoping. Egli fu infatti accusato di essere il "mandante" di tale protesta e a capo di un complotto "controrivoluzionario". In una riunione straordinaria dell'Ufficio politico fu rimosso da tutti i suoi incarichi. Questo episodio, che rischiò di cambiare radicalmente il destino della Cina, credo meriti di essere ricordato quando si riflette sugli accadimenti che a distanza di 13 anni si svolsero in quello stesso luogo, così come è giusto ricordare il clima della Rivoluzione Culturale ed i segni indelebili che essa aveva lasciato in una classe dirigente che per gran parte era rappresentata da "superstiti" di quel periodo.
Deng per un attimo vide i suoi progetti sfumare dinnanzi alla propaganda complottistica dei suoi avversari che avevano potuto sfruttare a proprio favore uno spontaneo moto di protesta popolare nei loro confronti. Tuttavia la fedeltà degli alti comandi militari permise a Deng di tornare prepotentemente alla ribalta e raggiungere definitivamente i vertici del potere dopo la morte di Mao, avvenuta nel settembre del 1976 e dopo che il suo successore designato, Hua Guofeng - personaggio che pur avendo tratto vantaggio politico dalla Rivoluzione Culturale non vi aveva partecipato attivamente - una volta divenuto primo ministro, aveva provveduto all'eliminazione della Banda dei Quattro e della milizia popolare di Shanghai ad essa fedele. La rottura tra Hua Guofeng e i Quattro era avvenuta proprio a seguito della nomina di Hua - che non era piaciuta a madama Jang Qing (la signora Mao) e compagnia - e della momentanea uscita di scena di Deng contro il quale entrambe le parti nutrivano una comune ostilità.
Nel luglio del 1977 la terza sessione plenaria del X Comitato centrale consentì a Deng Xiaoping di riprendere il proprio ruolo politico. Nel 1978 venne confermato il ruolo di Deng e venne sancita la centralità della modernizzazione economica nell'ambito della strategia nazionale. In breve Hua Guofeng fu estromesso - come abbiamo visto all'inizio - dalle cariche più importanti che ricopriva e sostituito da riformisti voluti da Deng, il quale infine assunse la direzione della Commissione militare.
Nel frattempo Zhao Ziyang, che si era distinto lavorando nell'ambito della politica agraria, fu trasferito nel 1975 in Sichuan, dove avviò riforme di successo che gli valsero l'arrivo a Pechino e - come detto - la carica di Primo Ministro nel 1980. Egli, insieme all'allora segretario generale del PCC Hu Yaobang, cercò di accompagnare alle riforme economiche anche alcune proposte di liberalizzazione politica. Così facendo i due attirarono ben presto dure critiche da parte di alcuni settori della dirigenza.
Hu Yaobang, che per via del proprio ruolo si era esposto maggiormente e la cui testa era stata chiesta con insistenza dagli ambienti più radicali del PCC, fu rimosso dal proprio incarico nel 1987, ma Deng riuscì a spingere perchè il suo posto fosse preso proprio da Zhao Ziyang.
Un ulteriore momento di difficoltà aspettava però Zhao. Nel 1988 infatti, una forte crisi inflazionistica portò ad un rallentamento dello sviluppo cinese e i progetti di riforma di Zhao vennero ritenuti la causa di tale crisi. E' quindi in un clima di divisione interna al partito che ebbe inizio la famosa "primavera di Pechino".
In quegli anni le riforme economiche guidate da Deng, si svilupparono secondo il progetto delle "quattro modernizzazioni": agricoltura, industria, scienza e tecnologia, difesa.
Aggirando i divieti sulla proprietà privata, furono permessi una serie di contratti "d'affitto" delle terre da parte dei contadini a condizioni tali da incentivarne il lavoro. Nel 1980 l'agricoltura privata ha solo il 14% della terra coltivata, in tre anni, con lo smantellamento delle comuni balza al 98%. Poteva inoltre essere venduto privatamente il surplus della produzione, ovvero quella che superava la quota annuale stabilita e comprata dallo Stato. Fu così che tra il 1978 e il 1984 la produzione cerealicola crebbe del 30% e i redditi rurali del 18% circa.
In campo industriale venne adottata una legge sulla bancarotta nel 1986 e nel 1988 una legge sulle imprese che introduceva il sistema di "responsabilità manageriale" che segnava il confine tra compiti gestionali e di indirizzo politico, affidati al comitato di partito d'impresa.
Grande importanza fu data anche alla ricerca e al settore dell'innovazione militare, dato che il famoso Esercito del popolo rappresentava la risorsa ultima e indispensabile per il mantenimento di quella che, nonostante lo sviluppo, rimaneva la prima delle esigenze del regime cinese: la "stabilità".
Mao diceva che "il potere poggia sulla canna del fucile". Non per nulla in quella primavera dell'89 quando Deng, ormai 85enne, era ufficialmente uscito di scena fu lui a decidere le sorti della protesta degli studenti e degli operai di Tien An Men, spingendo per l'intervento di quell'esercito che gli era rimasto ancora fedele.
Eppure quanto avvenne in quella circostanza, il ruolo e le reali intenzioni di Deng Xiaoping sono state spesso considerate in maniera affrettata, secondo il mio punto di vista.
Per un'interpretazione di quei fatti riporto qui le parole del fondo del Giornale del 3 maggio 1989, firmato da Beppe Severgnini, appena tornato da Pechino: "l'unica vera sconfitta degli studenti è stata la solita sconfitta degli studenti e degli intellettuali cinesi. Scendono in piazza per dar manforte alla corrente riformista nel partito, e finiscono con l'affondarlo. È accaduto ad intervalli regolari per tutta la storia della Repubblica Popolare: nella "campagna dei cento fiori" nel 1956-57, quando i liberali vennero incoraggiati ad esprimersi e poi puniti per averlo fatto; dopo gli incidenti seguiti agli omaggi per il defunto Chu En-lai nel 1976; prima del licenziamento di Hu Yaobang nel 1987. Oggi, di nuovo, gli studenti sembrano aver condannato l'unico alleato, il segretario di partito Zhao Ziyang. Questi [...] potrebbe invece risorgere il giorno in cui l'ottantaquattrenne Deng partirà per il suo "appuntamento con Marx", oppure, a sorpresa, tra qualche settimana".
Un commento di una lucidità sorprendente, ma col quale personalmente dissento nel giudizio su Deng. Sarebbe curioso poter conoscere oggi l'opinione di Severgnini e magari scoprire se anche lui adesso ha maturato o meno un giudizio diverso di Deng Xiaoping, a partire dal suo "appuntamento con Marx". Deng è morto nel 1997, ma se esiste in un aldilà in un cui si ha la possibilità di incontrare chi ci ha preceduti, certamente il "piccolo uomo" di Paifang vi avrà passato diverse ore a discutere col filosofo di Treviri; credo tuttavia che i due si saranno trovati d'accordo su poche cose e certamente non riguardanti l'economia.
Severgnini in quelle puntuali parole ricorda giustamente l'esempio della "campagna dei cento fiori", al termine della quale Mao, non tollerando le critiche nei confronti del partito, da lui stesso sollecitate, che venivano da intellettuali e dalla destra del PCC, scatenò un'ondata di dura repressione. In quel periodo Deng stilava un rapporto sulla revisione dello statuto del partito, ispirato alle conclusioni del celebre XX Congresso nazionale del Partito comunista sovietico (febbraio 1956 - quello che Concetto Marchesi volle chiamare "un fragoroso confessionale di domestici peccati"), in cui sottolineava l'esigenza di combattere ogni forma di culto della personalità.
Degli incidenti di piazza Tien An men del 1976 abbiamo detto, sottolineando il ruolo di Deng in quella circostanza. Egli era il primo di quei riformisti - di cui dice lo stesso Severgnini - che rischiavano di venire affondati dalla protesta. Nel 1987 al "licenziamento" di Hu Yaobang, si adoperò per far sì che il suo posto venisse preso da un altro liberale, proprio quel Zhao Ziyang che ieri, a 85 anni è deceduto nel silenzio dei media cinesi.
Lo stesso Zhao a cui Deng sostituì Jiang Zemin (che nell'89 a Shanghai era riuscito a pacificare gli studenti senza ricorrere ai carrarmati) con l'obiettivo di garantire continuità con la linea politica della sua generazione ed affidargli il compito di aprire la Cina ai mercati internazionali (portato a termine con l'ingresso della Cina nel WTO), ma anche - ed è questa la mia interpretazione - per evitare che una reazione sistematica nei confronti dei "riformisti" del PCC rischiasse di compromettere proprio il progetto che egli aveva avviato a partire dalla fine degli anni '70e che oggi è nelle mani del segretario del partito Hu Jintao.
In altre parole Deng nel suo agire politico ha sempre avuto ben chiaro in mente quale fosse il progetto da seguire, quello di proiettare il proprio paese nel futuro; e senza dubbio la "nuova" Cina è esattamente figlia di quella "visione" la cui lucidità impressionante si fa sentire tuttora.
Ma ciò che a noi oggi pare un meccanismo che avanza inesorabile ed apparentemente inarrestabile - e che per questo non manca di incuriosirci e spaventarci - è in realtà il risultato di un continuo sforzo di quello che potremmo definire "riformismo con caratteristiche cinesi" fatto di un necessario quanto strenuo pragmatismo cha ha avuto nel piccolo Deng il suo interprete più grande.
Credo che ad alcuni "pragmatismo", potrà sembrare la versione edulcorata di "cinismo". E sia, ma se in politica, più dei giudizi morali, contanto i risultati, si tenga presenta che quel cinismo ha dato vita a riforme che hanno sollevato circa 300 milioni di cinesi dalla soglia di povertà e hanno posto le basi insostituibili di un progresso i cui effetti sulla società e sulla politica cinese sono ancora tutti da scoprire. Inoltre muoversi negli intricati labirinti della vera città proibita di Pechino, rappresentata dai vertici del potere politico e militare, e soprattutto riuscire a farlo senza mai rinunciare al proprio progetto di riforma, credo richieda doti che difficilmente possano essere definite dalla sola parola "cinismo".
Se però una semplice frase, almeno in apparenza tale, può riassumere il senso dell'agire di Deng - che è lo stesso che ha animato sia l'opposizione alla Rivoluzione Culturale e alla Banda dei Quattro, che quello che ha voluto la rimozione di Zhao - è senz'altro un detto popolare cinese che egli citò nel luglio del 1962 in un incontro con una delegazione di giovani comunisti: "non importa se il gatto è bianco o nero, ciò che conta è che acchiappi i topi".
Impossibile dire se nei sogni di Deng, alla fine dei binari su cui aveva messo in moto il proprio paese, vi fosse o meno il raggiungimento delle libertà civili per il popolo cinese, se la modernizzazione avrebbe dovuto investire anche il potere del Partito e in che modo. Probabilmente la risposta più ovvia e ragionevole è no.
Tuttavia è inevitabile chiedersi oggi se il "socialismo con caratteristiche cinesi" riuscirà a mantenere la tanto necessaria "stabilità" e a coniugarla con una via autonoma verso la democrazia, se e fino a che punto subirà il fascino e il contagio delle democrazie occidentali, o se sarà definitivamente stravolto da una nuova "rivoluzione". Sono le domande a cui oggi la quarta generazione, quella di Hu Jintao, potrebbe dare una risposta e svelare infine se vi sarà in futuro anche una "democrazia con caratteristiche cinesi". In attesa di quel giorno, se mai vi sarà, vale forse la pena di ricordare che il nome di Hu Jintao come successore di Jiang Zemin fu fatto proprio da Deng Xiaoping.
Il suo pragmatico riformismo non venne meno neppure quando decise l'intervento dei carriarmati e la rimozione di Zhao Zyiang.
La morte di Zhao Ziyang, il Segretario generale del PCC che appoggiò la protesta di Tien An Men, pagandone direttamente le conseguenze, impone una riflessione più accorta sulle cause e la storia di quegli avvenimenti, inserendoli nel contesto più ampio della storia cinese degli ultimi 30 anni, ricordando anche "un'altra Tien An Men", quella del 1976.
La storia politica di Zhao Ziyang è legata indissolubilmente a quella del suo padrino Deng Xiaoping. Fu grazie a lui che nel 1980 Zhao divenne primo ministro, sostituendo il protetto di Mao, Hua Guofeng. Una successione che, insieme a quella di Hu Yaobang come Presidente del Comitato centrale del PCC (1981), sempre al posto Hua Guofeng, segnò la definitiva affermazione del nuovo gruppo dirigente della Cina comunista, che avrebbe guidato il paese verso un lungo cammino di modernizzazione economica. La guida di quella seconda "generazione" era proprio il "piccolo uomo" Deng Xiaoping.
Tuttavia l'ascesa al potere di Deng fu il risultato di una lunga e difficile guerra ai vertici del partito, che si giocò a partire dal 1976, anno della morte di Mao Zedong e del suo grande rivale, il moderato Zhou Enlai, protettore di Deng, ma che in realtà era già cominciata nel 1966 con la rivoluzione culturale.
Deng era divenuto segretario generale del PCC nel 1956, ma nel 1959 pagò il suo scarso entusiasmo nei confronti del "Grande Balzo in avanti" (un balzo che causò la morte per fame di 30 milioni di cinesi) con l'inimicizia di Mao, che proprio durante la Rivoluzione Culturale lo isolò, lo fece arrestare ed infine lo costrinse all'esilio nella provincia dello Jiangxi. Il prezzo che egli pagò alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria potrà sembrare meno caro di quello che invece toccò ad esempio a Liu Shaoqi (Presidente della Repubblica nel 1959, che morì in carcere nel 1969) o Peng Duhai (leggendario comandante della Prima Armata del Fronte dell'Armata Rossa e ministro della Difesa dal 1954, anch'egli morto imprigionato nel 1974), ma non si dimentichi che la furia radicale nella fase più estremista del maoismo si scatenò contro suo figlio Pufang, che rimarrà paralizzato dopo essere stato scaraventato da una finestra dell'Università di Pechino dalle guardie rosse.
Solo nel 1973 Deng Xiaoping potè tornare a Pechino e da quel momento iniziò il suo rilancio. Grazie alla protezione di Zhou Enlai e dei settori più moderati del partito potè di nuovo esser membro dell'Ufficio politico (fine 1973), divenne poi membro della Commissione militare del Comitato centrale e capo di stato maggiore (1974), membro del Comitato permanente dell'Ufficio politico, vicepresidente del Comitato centrale e infine vice primo ministro nel gennaio del 1975.
A quella data le precarie condizioni di salute di Mao facevano suppore che presto si sarebbe giunti ad una resa dei conti tra i protagonisti attivi della Rivoluzione Culturale (il cui spirito era incarnato dalla celebre Banda dei Quattro) che intendevano proseguire su alcune delle strade tracciate in quel periodo (ideologia e lotta al capitalismo) e coloro che invece era riusciti a sopravvivere ad essa e che erano portatori di un progetto di sviluppo del socialismo che coniugasse l'egemonia del partito con la crescita e la modernizzazione economica.
Tuttavia prima di Mao morì Zhou Enlai, nel gennaio del 1976, e nell'aprile di quell'anno, la festa del Qing Ming, durante la quale si commemorano gli antenati, divenne l'occasione per celebrarlo. Proprio in piazza Tien An Men, presso il monumento degli eroi, molte delle ghirlande di fiori portate dalla gente di Pechino in ricordo degli eroi della Rivoluzione, erano accompagnate dai ritratti di Zhou Enlai e da bigliettini che ne ricordavano il valore. Ben presto però quella che doveva essere una semplice commemorazione si trasformò in una protesta contro il sindaco della città, Wu De, ed altri esponenti radicali del partito. Quei bigliettini divennero il mezzo per manifestare un dissenso che non trovava altre vie d'espressione.
Un dissenso che paradossalmente però, rischiò di favorire la Banda dei Quattro e travolgere proprio gli esponenti moderati del PCC e in primis Deng Xiaoping. Egli fu infatti accusato di essere il "mandante" di tale protesta e a capo di un complotto "controrivoluzionario". In una riunione straordinaria dell'Ufficio politico fu rimosso da tutti i suoi incarichi. Questo episodio, che rischiò di cambiare radicalmente il destino della Cina, credo meriti di essere ricordato quando si riflette sugli accadimenti che a distanza di 13 anni si svolsero in quello stesso luogo, così come è giusto ricordare il clima della Rivoluzione Culturale ed i segni indelebili che essa aveva lasciato in una classe dirigente che per gran parte era rappresentata da "superstiti" di quel periodo.
Deng per un attimo vide i suoi progetti sfumare dinnanzi alla propaganda complottistica dei suoi avversari che avevano potuto sfruttare a proprio favore uno spontaneo moto di protesta popolare nei loro confronti. Tuttavia la fedeltà degli alti comandi militari permise a Deng di tornare prepotentemente alla ribalta e raggiungere definitivamente i vertici del potere dopo la morte di Mao, avvenuta nel settembre del 1976 e dopo che il suo successore designato, Hua Guofeng - personaggio che pur avendo tratto vantaggio politico dalla Rivoluzione Culturale non vi aveva partecipato attivamente - una volta divenuto primo ministro, aveva provveduto all'eliminazione della Banda dei Quattro e della milizia popolare di Shanghai ad essa fedele. La rottura tra Hua Guofeng e i Quattro era avvenuta proprio a seguito della nomina di Hua - che non era piaciuta a madama Jang Qing (la signora Mao) e compagnia - e della momentanea uscita di scena di Deng contro il quale entrambe le parti nutrivano una comune ostilità.
Nel luglio del 1977 la terza sessione plenaria del X Comitato centrale consentì a Deng Xiaoping di riprendere il proprio ruolo politico. Nel 1978 venne confermato il ruolo di Deng e venne sancita la centralità della modernizzazione economica nell'ambito della strategia nazionale. In breve Hua Guofeng fu estromesso - come abbiamo visto all'inizio - dalle cariche più importanti che ricopriva e sostituito da riformisti voluti da Deng, il quale infine assunse la direzione della Commissione militare.
Nel frattempo Zhao Ziyang, che si era distinto lavorando nell'ambito della politica agraria, fu trasferito nel 1975 in Sichuan, dove avviò riforme di successo che gli valsero l'arrivo a Pechino e - come detto - la carica di Primo Ministro nel 1980. Egli, insieme all'allora segretario generale del PCC Hu Yaobang, cercò di accompagnare alle riforme economiche anche alcune proposte di liberalizzazione politica. Così facendo i due attirarono ben presto dure critiche da parte di alcuni settori della dirigenza.
Hu Yaobang, che per via del proprio ruolo si era esposto maggiormente e la cui testa era stata chiesta con insistenza dagli ambienti più radicali del PCC, fu rimosso dal proprio incarico nel 1987, ma Deng riuscì a spingere perchè il suo posto fosse preso proprio da Zhao Ziyang.
Un ulteriore momento di difficoltà aspettava però Zhao. Nel 1988 infatti, una forte crisi inflazionistica portò ad un rallentamento dello sviluppo cinese e i progetti di riforma di Zhao vennero ritenuti la causa di tale crisi. E' quindi in un clima di divisione interna al partito che ebbe inizio la famosa "primavera di Pechino".
In quegli anni le riforme economiche guidate da Deng, si svilupparono secondo il progetto delle "quattro modernizzazioni": agricoltura, industria, scienza e tecnologia, difesa.
Aggirando i divieti sulla proprietà privata, furono permessi una serie di contratti "d'affitto" delle terre da parte dei contadini a condizioni tali da incentivarne il lavoro. Nel 1980 l'agricoltura privata ha solo il 14% della terra coltivata, in tre anni, con lo smantellamento delle comuni balza al 98%. Poteva inoltre essere venduto privatamente il surplus della produzione, ovvero quella che superava la quota annuale stabilita e comprata dallo Stato. Fu così che tra il 1978 e il 1984 la produzione cerealicola crebbe del 30% e i redditi rurali del 18% circa.
In campo industriale venne adottata una legge sulla bancarotta nel 1986 e nel 1988 una legge sulle imprese che introduceva il sistema di "responsabilità manageriale" che segnava il confine tra compiti gestionali e di indirizzo politico, affidati al comitato di partito d'impresa.
Grande importanza fu data anche alla ricerca e al settore dell'innovazione militare, dato che il famoso Esercito del popolo rappresentava la risorsa ultima e indispensabile per il mantenimento di quella che, nonostante lo sviluppo, rimaneva la prima delle esigenze del regime cinese: la "stabilità".
Mao diceva che "il potere poggia sulla canna del fucile". Non per nulla in quella primavera dell'89 quando Deng, ormai 85enne, era ufficialmente uscito di scena fu lui a decidere le sorti della protesta degli studenti e degli operai di Tien An Men, spingendo per l'intervento di quell'esercito che gli era rimasto ancora fedele.
Eppure quanto avvenne in quella circostanza, il ruolo e le reali intenzioni di Deng Xiaoping sono state spesso considerate in maniera affrettata, secondo il mio punto di vista.
Per un'interpretazione di quei fatti riporto qui le parole del fondo del Giornale del 3 maggio 1989, firmato da Beppe Severgnini, appena tornato da Pechino: "l'unica vera sconfitta degli studenti è stata la solita sconfitta degli studenti e degli intellettuali cinesi. Scendono in piazza per dar manforte alla corrente riformista nel partito, e finiscono con l'affondarlo. È accaduto ad intervalli regolari per tutta la storia della Repubblica Popolare: nella "campagna dei cento fiori" nel 1956-57, quando i liberali vennero incoraggiati ad esprimersi e poi puniti per averlo fatto; dopo gli incidenti seguiti agli omaggi per il defunto Chu En-lai nel 1976; prima del licenziamento di Hu Yaobang nel 1987. Oggi, di nuovo, gli studenti sembrano aver condannato l'unico alleato, il segretario di partito Zhao Ziyang. Questi [...] potrebbe invece risorgere il giorno in cui l'ottantaquattrenne Deng partirà per il suo "appuntamento con Marx", oppure, a sorpresa, tra qualche settimana".
Un commento di una lucidità sorprendente, ma col quale personalmente dissento nel giudizio su Deng. Sarebbe curioso poter conoscere oggi l'opinione di Severgnini e magari scoprire se anche lui adesso ha maturato o meno un giudizio diverso di Deng Xiaoping, a partire dal suo "appuntamento con Marx". Deng è morto nel 1997, ma se esiste in un aldilà in un cui si ha la possibilità di incontrare chi ci ha preceduti, certamente il "piccolo uomo" di Paifang vi avrà passato diverse ore a discutere col filosofo di Treviri; credo tuttavia che i due si saranno trovati d'accordo su poche cose e certamente non riguardanti l'economia.
Severgnini in quelle puntuali parole ricorda giustamente l'esempio della "campagna dei cento fiori", al termine della quale Mao, non tollerando le critiche nei confronti del partito, da lui stesso sollecitate, che venivano da intellettuali e dalla destra del PCC, scatenò un'ondata di dura repressione. In quel periodo Deng stilava un rapporto sulla revisione dello statuto del partito, ispirato alle conclusioni del celebre XX Congresso nazionale del Partito comunista sovietico (febbraio 1956 - quello che Concetto Marchesi volle chiamare "un fragoroso confessionale di domestici peccati"), in cui sottolineava l'esigenza di combattere ogni forma di culto della personalità.
Degli incidenti di piazza Tien An men del 1976 abbiamo detto, sottolineando il ruolo di Deng in quella circostanza. Egli era il primo di quei riformisti - di cui dice lo stesso Severgnini - che rischiavano di venire affondati dalla protesta. Nel 1987 al "licenziamento" di Hu Yaobang, si adoperò per far sì che il suo posto venisse preso da un altro liberale, proprio quel Zhao Ziyang che ieri, a 85 anni è deceduto nel silenzio dei media cinesi.
Lo stesso Zhao a cui Deng sostituì Jiang Zemin (che nell'89 a Shanghai era riuscito a pacificare gli studenti senza ricorrere ai carrarmati) con l'obiettivo di garantire continuità con la linea politica della sua generazione ed affidargli il compito di aprire la Cina ai mercati internazionali (portato a termine con l'ingresso della Cina nel WTO), ma anche - ed è questa la mia interpretazione - per evitare che una reazione sistematica nei confronti dei "riformisti" del PCC rischiasse di compromettere proprio il progetto che egli aveva avviato a partire dalla fine degli anni '70e che oggi è nelle mani del segretario del partito Hu Jintao.
In altre parole Deng nel suo agire politico ha sempre avuto ben chiaro in mente quale fosse il progetto da seguire, quello di proiettare il proprio paese nel futuro; e senza dubbio la "nuova" Cina è esattamente figlia di quella "visione" la cui lucidità impressionante si fa sentire tuttora.
Ma ciò che a noi oggi pare un meccanismo che avanza inesorabile ed apparentemente inarrestabile - e che per questo non manca di incuriosirci e spaventarci - è in realtà il risultato di un continuo sforzo di quello che potremmo definire "riformismo con caratteristiche cinesi" fatto di un necessario quanto strenuo pragmatismo cha ha avuto nel piccolo Deng il suo interprete più grande.
Credo che ad alcuni "pragmatismo", potrà sembrare la versione edulcorata di "cinismo". E sia, ma se in politica, più dei giudizi morali, contanto i risultati, si tenga presenta che quel cinismo ha dato vita a riforme che hanno sollevato circa 300 milioni di cinesi dalla soglia di povertà e hanno posto le basi insostituibili di un progresso i cui effetti sulla società e sulla politica cinese sono ancora tutti da scoprire. Inoltre muoversi negli intricati labirinti della vera città proibita di Pechino, rappresentata dai vertici del potere politico e militare, e soprattutto riuscire a farlo senza mai rinunciare al proprio progetto di riforma, credo richieda doti che difficilmente possano essere definite dalla sola parola "cinismo".
Se però una semplice frase, almeno in apparenza tale, può riassumere il senso dell'agire di Deng - che è lo stesso che ha animato sia l'opposizione alla Rivoluzione Culturale e alla Banda dei Quattro, che quello che ha voluto la rimozione di Zhao - è senz'altro un detto popolare cinese che egli citò nel luglio del 1962 in un incontro con una delegazione di giovani comunisti: "non importa se il gatto è bianco o nero, ciò che conta è che acchiappi i topi".
Impossibile dire se nei sogni di Deng, alla fine dei binari su cui aveva messo in moto il proprio paese, vi fosse o meno il raggiungimento delle libertà civili per il popolo cinese, se la modernizzazione avrebbe dovuto investire anche il potere del Partito e in che modo. Probabilmente la risposta più ovvia e ragionevole è no.
Tuttavia è inevitabile chiedersi oggi se il "socialismo con caratteristiche cinesi" riuscirà a mantenere la tanto necessaria "stabilità" e a coniugarla con una via autonoma verso la democrazia, se e fino a che punto subirà il fascino e il contagio delle democrazie occidentali, o se sarà definitivamente stravolto da una nuova "rivoluzione". Sono le domande a cui oggi la quarta generazione, quella di Hu Jintao, potrebbe dare una risposta e svelare infine se vi sarà in futuro anche una "democrazia con caratteristiche cinesi". In attesa di quel giorno, se mai vi sarà, vale forse la pena di ricordare che il nome di Hu Jintao come successore di Jiang Zemin fu fatto proprio da Deng Xiaoping.
1 commento:
Ciao,
sono Andrea Ciccarelli di Theblogtv - http://www.theblogtv.it/ (società di produzione user generated in Europa). Scusa l'intrusione nel tuo blog.
Realizziamo programmi, campagne e documentari con il supporto e la creatività della nostra community di blogger e videomaker.
Attualmente stiamo lavorando a un format per Rai Educational dedicato al giornalismo cittadino. La raccolta dei materiali (video, foto, articoli) che saranno inseriti nelle puntate è solamente all’inizio e Rai Educational lancerà prossimamente uno spot per promuovere la partecipazione degli utenti in rete.
Ho potuto vedere il blog che hai costruito e (complimenti a parte) penso che potresti collaborare ai contenuti delle puntate; per questo ti chiedo, se pensi che il progetto possa interessarti, di contattarci per avere ulteriori informazioni.
Chi partecipa può segnalare i contenuti dal nostro sito (www.theblogtv.it) e, a breve, potrà farlo anche dal sito ufficiale della trasmissione. L'iscrizione è naturalmente gratuita. Spero tu sia interessato a partecipare a questo progetto.
Fammi sapere che ne pensi e per qualunque chiarimento in merito al progetto scrivimi alla mia mail o ad: elenaritondale@theblogtv.it
un saluto
Andrea
La prima puntata sarà interamente dedicata al mondo del precariato
La flessibilità non è solo un attributo del lavoro ma una nuova condizione esistenziale. Un dramma per alcuni, un'opportunità per altri: nuovi spazi, nuovi tempi e nuove frontiere si aprono per i più e meno giovani, allergiche al cartellino da timbrare.
Nel corso di questo viaggio nell'Italia del precariato e della crisi vogliamo raccontare storie di individui che la società spinge al margine e le opportunità di chi nella crisi vede la possibilità per una crescita. Invia il tuo contributo, racconta il mondo del lavoro al tempo del precariato
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