di Michele Brambilla per La Stampa di mercoledì 24 febbraio 2010.
Ma davvero Michele Santoro ha «scaricato» Marco Travaglio, come ha titolato ieri Libero in prima pagina e come hanno interpretato un po’ tutti, leggendo lo scambio epistolare fra i due? Santoro premette che se ne infischia di certe interpretazioni, soprattutto di quelle dei siti di gossip (scatenato, ieri, Dagospia, il più cliccato da noi giornalisti) e ci dice: «Non c’è nessuna possibilità di interpretare la mia lettera come uno “scarico” di Travaglio. La mia posizione è chiara: se qualcuno vuole evitare che Marco possa parlare alla mia trasmissione, sono pronto a sdraiarmi all’ingresso dello studio e farmi passare sopra, perfino a farmi ammazzare per difendere il suo diritto a esprimere ciò che vuole. Se invece fosse lui a voler andarsene, non glielo potrei impedire e me ne farei una ragione, visto che faccio televisione da un bel po’ di tempo prima che arrivasse lui. Questo è il mio pensiero, e ripeto che non c’è neanche una possibilità di leggerlo come una rottura fra noi».
Aggiungiamo noi: siccome Travaglio non ha alcuna intenzione di lasciare Santoro, lo strombazzato divorzio non ci sarà. Anzi. Dietro al presunto scontro fra i due c’è un comune tentativo di modificare la conduzione di Annozero. Ora vedremo come. Ma prima va ricordato l’antefatto, che è il seguente.
All’ultima puntata il direttore di Libero Maurizio Belpietro e il vicedirettore del Giornale Nicola Porro hanno rinfacciato a Travaglio l’intransigenza con cui passa al setaccio le frequentazioni altrui: anche tu - gli hanno detto - sei stato in vacanza con un mafioso. Travaglio ha perso il suo tradizionale aplomb e dall’una all’altra barricata sono volati gli stracci: sei un cretino, tu invece sei un poveraccio, liberale del cavolo, e così via.
Il giorno dopo Travaglio ha scritto su Il Fatto una lettera aperta a Santoro. In sintesi ha detto questo: non ne posso più di dover duellare con giornalisti e politici che non sono giornalisti e politici ma lacché che recitano copioni prestampati; caro Michele se puoi intervieni; se invece il problema sono io, mi faccio da parte.
Ieri, sempre su Il Fatto, la risposta di Santoro. Che è stata appunto letta da tutti come una gelida presa di distanze. Ma che non lo è. Sì, Santoro dice a Travaglio che un addio «non sarebbe una tragedia o una catastrofe irreparabile» e lo bacchetta pure sulla sua pretesa di «segnare una differenza dal resto del mondo» e di conoscere «la verità». Ma la frase chiave della risposta di Santoro è racchiusa in altre righe, passate inosservate: «Cercherò di inventare qualcosa per evitare l’uso di argomenti provocatori, le interruzioni ad arte, le offese personali».
Santoro sta già lavorando a questo «qualcosa»: evitare che gli ospiti possano deviare dall’argomento della trasmissione; che, a una domanda su Bertolaso, possano rispondere parlando delle vacanze di Travaglio; che possano interrompere, sforare i tempi, insultare. L’idea è che le regole imposte dalla par condicio ai conduttori debbano essere estese anche agli ospiti. Santoro è un po’ che invoca un regolamento di questo tipo: ha già chiesto due appuntamenti a Sergio Zavoli, ma non è ancora stato ricevuto; ha lanciato un appello pubblico al presidente della Camera Fini, ma non ha ancora avuto risposta. Anche sugli inviti misurati col bilancino Santoro chiede lumi: se faccio una trasmissione su Bertolaso e questi (legittimamente) non viene, posso o no parlare di lui? E se invito venti persone di uno schieramento e tutti mi dicono di no, quanti rifiuti devo ancora incassare prima che io possa lasciar perdere senza essere accusato di censura? Insomma Annozero vuole da una parte più libertà, dall’altra più paletti.
Santoro e Travaglio sono due che dividono: con loro non ci sono vie di mezzo, c’è chi li ama e chi li odia. Chi li ama dirà che hanno perfettamente ragione. Chi li odia sosterrà che vogliono la normalizzazione del dissenso e griderà al tentato golpe. In mezzo c’è comunque un Paese che sempre più spesso mette mano al telecomando quando in tv scoppia la rissa, perché delle intemperanze verbali non è stufo solo il mondo del calcio, e sono ormai troppi i politici e i giornalisti che meriterebbero di trovarsi di fronte, più che un Santoro o un Vespa, un Tagliavento.
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