04 maggio 2010

Una risposta* autorevole alle bufale di Luca Ricolfi

* Che vale anche come risposta a questo infelice articolo (e all'ancora più felice commento di risposta) di Fabio Chiusi dato che l'autore dell'articolo smonta in poche righe proprio quel "metodo"(ma verrebbe da dire mancanza di metodo) di cui Ricolfi si vanta.



In Italia abbondano gli opinionisti, ma scarseggiano gli analisti, coloro cioè studiano dati e fatti con la stessa pignoleria degli scienziati da laboratorio. Luca Ricolfi, sociologo con la vocazione a occuparsi di economia, è uno di questi. Mai banali, sempre documentati, i libri e gli articoli del professore piemontese sembrano, quasi tutti, ispirati dall’imperativo categorico che dovrebbe animare un vero intellettuale: sfatare i luoghi comuni. Infatti. Nell’opera di demolizione del luogocomunismo Ricolfi è un picconatore instancabile, come possono testimoniare molti commessi culturali, organici alla sinistra o alla destra.
Ma siccome nessuno è perfetto, e siccome anche Omero ogni tanto si addormenta, può capitare che a furia di insistere nella battaglia contro i luoghi comuni si perda di vista l’essenziale.
O addirittura si sbagli la mira contro il bersaglio designato. Oggi è un luogo comune dire che il Nord è il Bene mentre il Sud è il Male. Da uno studioso raffinato e indipendente come Ricolfi ci saremmo aspettati la confutazione di questo paradigma dogmatico, sulle cui fondamenta Umberto Bossi ha costruito una fortuna politica inferiore solo a quella del Cavaliere. Invece, manco fosse uno spin doctor del Senatùr, il bravo Ricolfi ha dato alle stampe un saggio-pamphlet il cui titolo «Il sacco del Nord» non ha bisogno di particolari esegesi. Il saccheggio del Settentrione, dice in sostanza l’autore, sta azzoppando il Paese, ogni anno 50 miliardi di euro lasciano ingiustificatamente le regioni del Nord per dirigersi al Sud.
Cinquanta miliardi? Non sappiamo come abbia fatto Ricolfi a calcolare questa cifra, anche perché la questione contabile Nord-Sud è più controversa di una lite postconiugale sul patrimonio da dividere. Se dovessimo calcolare non i soldi che dalle Regioni del Nord scendono al Sud ma i quattrini che lo Stato centrale invia al Nord sotto forma di cassa integrazione e aiuti alle aziende in crisi; se dovessimo calcolare i risparmi che le Banche settentrionali raccolgono al Sud e destinano al Nord; se dovessimo calcolare le tasse che alcuni gruppi industriali pagano al Nord, pur operando e inquinando al Sud. E ci fermiamo qui. Beh, se dovessimo calcolare fino all’ultimo decimale il viavai di denari tra le due Italie, anche il professor Ricolfi si renderebbe conto, con la buonanima di Karl R. Popper (1902-1994), che «nel momento in cui credi di essere venuto a capo di qualcosa, tutto è perduto. Non veniamo mai a capo di qualcosa, i nostri problemi si spostano di continuo, vanno sempre più lontano». Si fa presto a dire che ogni anno il Nord regala 50 miliardi al Sud. Cinquanta miliardi? Bah. Qui l’unica cosa certa, riconosciuta dallo stesso Ricolfi, è la seguente: «Il vittimismo del Mezzogiorno è perfettamente giustificato se guardiamo alla prima parte della storia d’Italia, quando la politica del Regno - attenta ai soli interessi del Nord - ha creato la questione meridionale, generando un divario che nel 1861 probabilmente non c’era, e se c’era era di proporzioni modeste, in ogni caso molto minori di quelle attuali». Ma il medesimo vittimismo - secondo Ricolfi - è largamente immotivato se si studia la storia dell’Italia repubblicana, nella quale «il Mezzogiorno non solo ha in parte risalito la china (specie tra il 1951 e il 1975), ma è diventato il principale beneficiario dell’immenso apparato burocratico-clientelare che ha spento le energie produttive del Paese».
Ok. Ma già il fatto che, come scrive il professore, il Regno abbia sposato una politica filo-settentrionale dal 1861 al 1945 (poco meno di un secolo) non è ammissione da nulla: neppure venti Bill Gates meridionali avrebbero potuto recuperare un ritardo così cospicuo rispetto al Nord qualora lo Stato arbitro si fosse comportato, come si è verificato per decenni, in maniera parziale a favore dell’Italia padana. Quanto poi all’Intervento straordinario per il Mezzogiorno, solo uno studioso superficiale (e non è il caso di Ricolfi) potrebbe sostenere che ha giovato esclusivamente all’assistenzialismo nel Sud. E i soldi finiti ai finti imprenditori del Nord che hanno saccheggiato risorse al Sud, grazie alla legislazione speciale, per poi sparire in qualche valle alpina o in qualche paradiso fiscale e naturale del Centro-America? Sembrano banalità, in realtà sono verità accertate, che spesso si tende a dimenticare.
Ciò detto, non saremo noi a contestare a prescindere la frase crociana sul paradiso abitato da diavoli. Il Mezzogiorno è affollato di peccatori e furbetti. Ma non è che il Nord sia la nuova frontiera degli angeli. Non è che il Sud sia il festival della spesa pubblica mentre il Nord resta l’ultimo avamposto del buongoverno e della sana amministrazione: gli scandali aministrativi e finanziari di Nord e Sud si somigliano come le gemelle Kessler. Idem certi sprechi di fondi pubblici.
La differenza è che il Nord, grazie allo statalismo nordista già biasimato da Luigi Sturzo (1871-1959), è partito con un grande vantaggio. E anche adesso, contrariamente a certi luoghi comuni che lo danno sedotto e abbandonato, il Nord fa la voce grossa, spesso ascoltata, su infrastrutture, grandi investimenti, sussidi vari. Il che, ripetiamo, non assolve il Mezzogiorno dalle sue debolezze vecchie e nuove, ma non deve neppure costituire un paradossale esclusivo capo di imputazione ai suoi danni.
Su una cosa Ricolfi ha perfettamente ragione: il pericolo che il federalismo fiscale sfoci in un nuovo show della spesa pubblica, da parte di Regioni e Comuni. Ma la questione merita un articolo ad hoc.  

1 commento:

utz ha detto...

Il titolo del libro è volutamente provocatorio e lo stesso Ricolfi ammette che non è giusto parlare di divisione nord-sud. Come esistono regioni virtuose al sud, esistono regioni viziose al nord. Per dovere di sintesi calcola (e spiega bene come) i 50 miliardi che citi anche tu, ma poi è il primo a riconoscere le "iniquità" derivanti dal passato. Dopodiché se guardiamo all'efficienza dei servizi pubblici e il tasso di evasione fiscale, allora qualche rimbrotto al meridione (principalmente, ma non solo) scappa. Infine ammette anche il pericolo che il federalismo si risolva in un aumento dell'interposizione pubblica con conseguente peggioramento. Questa è l'unica considerazione per cui spero che il Professore sbagli.