10 giugno 2010

Cuba e viva e vegeta. E nel gulag si può mangiare vegetariano.

Un miscuglio tra un video (del prof. Domenico Losurdo) e un articolo di Giovanni Spataro.




Cuba è viva e (soprattutto) vegeta




Da cinquant’anni ormai, Cuba sta sperimentando l’embargo voluto dagli Stati Uniti in risposta alla deposizione di Fulgencio Batista da parte di Fidel Castro avvenuta con la rivoluzione del 1959. Come tutti gli embarghi, l’intento era ed è quello di far precipitare le condizioni di vita della popolazione, sperando in una rivolta. Insomma, è un gioco al collasso.
Di bilanci sull’efficacia dell’iniziativa statunitense ne sono stati fatti tanti, uno degli ultimi è stato appena pubblicato su «Science» e ha riguardato l’impatto dell’embargo sulla sanità cubana. I risultati discussi da Paul K. Drain e Michele Barry, entrambi della Stanford University, fanno riflettere parecchio e, come sottolineano gli stessi autori, potrebbero fornire indicazioni sul modo in cui indirizzare la riforma del sistema sanitario statunitense, fortemente privatizzato.
Innanzitutto un po’ di numeri. Oggi, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, l’aspettativa di vita per un bambino che nasce a Cuba è di 78,6 anni, la più alta di tutta la più alta di tutta l’America Latina e in linea con l’aspettativa di vita alla nascita nei paesi più sviluppati (per inciso è la stessa registrata negli Stati Uniti). L’isola caraibica ha anche il primato latino-americano di medici pro capite, 59 ogni 10.000 abitanti, della più tasso più basso di mortalità infantile (5/1000 nati vivi) e di mortalità sotto i cinque anni (7/1000 nati vivi).
Tutto questo a fronte di un blocco delle importazioni che ormai va avanti dal 1960 e che riguarda anche materiale sanitario, farmaci e alimenti. E a fronte di investimenti irrisori nel sistema sanitario, se paragonati con quelli statunitensi. Nel 2006 il governo cubano ha investito il 7,1 per cento del prodotto interno lordo nella sanità, pari a 355 dollari per ogni cubano. Negli Stati Uniti, come riportato su «Science», la sanità costa 6714 dollari all’anno a ciascun cittadino statunitense, una spesa pari al 15,3 del prodotto interno lordo. È fin troppo evidente che il confronto è impietoso.
Come si spiega dunque la felice anomalia di Cuba? Con la struttura del suo sistema sanitario reso pubblico dopo la rivoluzione del 1959, come sottolineato da Drain e Barry. «Cuba – si legge nell’analisi – ha uno dei sistemi sanitari più proattivi del mondo». Vale a dire che la parola d’ordine è prevenzione, perché costa meno e soprattutto riduce i costi diminuendo la probabilità di contrarre malattie da curare.
Il primo intervento di prevenzione e di cura è a carico dei consultorios, piccoli ambulatori sparsi in tutta l’isola, ciascuno dei quali serve circa 600 pazienti o 150 famiglie residenti in aree geografiche ben definite. In questi piccoli ambulatori, che affrontano circa l’80 per cento dei problemi di salute e fanno attività di promozione della salute, i pazienti vengono visitati la mattina. Mentre il pomeriggio i medici si recano nelle varie comunità di loro competenza per visitare chi non può muoversi. Ogni cubano è prenotato per almeno una visita all’anno presso il suo consultorio. La forza lavoro medica proviene dall’università. I laureati in medicina fanno tre anni di pratica come medici in comunità rurali, in seguito possono specializzarsi. Come risultato, a Cuba c’è un medico di famiglia ogni 600 pazienti, negli Stati Uniti il rapporto è 1 a 3200.
Il livello successivo del sistema sanitario cubano sono i policlinicos, strutture in cui si trovano i medici specializzati in diverse aree. Sull’isola ci sono 498 policlinicos, ciascuno serve 30-40 consultori. Sul gradino più alto di questa piramide ci sono gli institutos, cioè ospedali e istituti di medicina. Tutti gli interventi sono praticamente gratuiti (si pagano solo alcuni particolari prestazioni).
Questo sistema di prevenzione basato su interventi a livello di comunità è uno dei principali fattori dei numeri da occidente riguardanti la salute dei cubani. Tra l’altro, c’è un dato che dovrebbe far riflettere paesi ricchi con spesa sanitaria sull’orlo del precipizio o il cui rientro è costato parecchio alle casse dello Stato, per esempio l’Italia. L’aspettativa di vita e i tassi di mortalità infantile tra i più bassi di tutto il mondo sono stati ottenuti a fronte di una drastica riduzione del prontuario farmaceutico. Nel 1996, i medicinali del prontuario sono passati da 1300 a meno di 900. E sono farmaci generici, spesso prodotti sull’isola o con l’aiuto di altri paesi in via di sviluppo, grazie anche alle biotecnologie. Per non parlare dei tassi di vaccinazione, anche questi tra i più alti al mondo.
Questa autarchia virtuosa, figlia di una necessità, ha permesso anche di superare la caduta dell’Unione Sovietica. Subito dopo il 1991, l’aspettativa di vita alla nascita è diminuita per circa cinque anni, complice la fine degli aiuti russi. Ma il sistema reticolare di assistenza primaria ha retto all’urto, come dimostrano i numeri.
L’analisi di Drain e Barry si conclude con un invito ad allentare l’embargo almeno sul fronte medico -sanitario. La salute potrebbe essere un terreno comune su cui si potrebbe iniziare ad allentare la tensione tra i due paesi. Inoltre i due ricercatori invitano a valutare attentamente le prestazioni del sistema sanitario cubano – universale e gratuito – da cui forse la sanità statunitense – privata e che fa della salute non un diritto ma un’opportunità da guadagnarsi, anche dopo la recente riforma voluta da Obama – avrebbe qualcosa da imparare, visto il rapporto tra costi e risultati. E forse anche qui da noi, tra venti di federalismo spinto e desideri di privatizzazione, si dovrebbe pensare un po’ di più.

1 commento:

dnarossonero ha detto...

La gestione sanitaria di cuba è una delle poche cose realmente invidiabili di quel' isola che fonda il suo principale patrimonio sullo studio e sulla cultura. La cultura e la sanità sono considerate risorse primarie molto più che da noi.


Detto questo non mi cambierei con Cuba anche se il dopo Castro è un tantino più dignitoso del prima