12 luglio 2010

Sicilia, 10 luglio 1943: e se la strage l’hanno fatta i Liberatori?

Sicilia, 1943. I civili vengono fatti allineare a bordo strada, un sergente imbraccia un mitra e li falcia. Cadono in 37. Ma il fucilatore non è il solito tedesco con il tipico elmetto grigio calcato sugli occhi. E’ un G.I. americano, di quelli che al ritmo dello swing liberavano l’Europa regalando cioccolata, gomme da masticare e Lucky Strike alle popolazioni affamate e sinistrate dai bombardamenti. Quella strage non fu un caso isolato. Anzi. Ma per l’Italia fu un caso dimenticato. Finché il nipote di uno di quei 37 sfortunati «italian sons of bitches» non si è improvvisato storico…
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di Luciano Garibaldi, da “Storia in Rete” n. 27 
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E’ uscito un libro di cui pochi hanno parlato ma che svela una importante pagina della nostra storia recente, ingiustamente dimenticata. Stiamo parlando di «Le stragi dimenticate», dedicato ai massacri compiuti dagli americani subito dopo lo sbarco in Sicilia. Una sorta di «armadio della vergogna» di cui non si sospettava neppure l’esistenza. Lo ha scritto Gianfranco Ciriacono, (che lo ha dovuto pubblicare privatamente e a sue spese). Ciriacono è un appassionato studioso di storia, ma le motivazioni che lo hanno spinto ad intraprendere questa ricerca sembrano principalmente influenzate dall’esperienza personale. Infatti suo nonno paterno era nel gruppo di contadini trucidati dagli americani nel luglio del ’43 nei pressi di Piano Stella. Suo padre, allora appena un ragazzino, si salvò solo perché uno dei soldati, un attimo prima di sparare, lo tolse dal gruppo e gli intimò di andar via.
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Ciriacono, ricorda la prima volta che sentì parlare nella sua famiglia di questo episodio?
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«Sin da bambino, mi chiedevo perché non avessi un nonno con cui giocare come tutti gli altri miei amichetti. Poi, crescendo, ho iniziato le ricerche che mi hanno portato a scoprire gli eccidi americani in Sicilia. Oltre alle motivazioni sentimentali, occorreva recuperare una pagina di memoria ignorata dalla storiografia ufficiale. Era opportuno dare voce a coloro che normalmente non lasciano tracce nella “storia”. Chi vince una guerra acquista – di fatto – anche il diritto a non essere giudicato per come si è comportato durante il conflitto: è la legge del più forte. Ma chi ha perduto, ingiustamente, i propri familiari, ha diritto alla giustizia? Ha diritto alla verità? Nei confronti dei tedeschi, il governo italiano ha rivendicato – e ottenuto – di processare ufficiali della Wehrmacht responsabili di massacri atroci. Io, con il mio libro “Le stragi dimenticate”, ho cercato di dare voce a vittime innocenti di cui non si conosceva neppure l’esistenza».
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A un certo punto del libro, lei riporta notizie di violenze e stupri sulla popolazione civile che sarebbero stati perpetrati soprattutto da soldati americani di origine italiana. Quale documento ha letto? Su quali fonti si basa questa informazione?
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«A raccontare degli stupri, così come delle violenze perpetrate nei confronti della popolazione civile inerme, sono gli atti della Corte Marziale americana. La struttura giudiziaria militare americana (JAG Branch) con giurisdizione sui reati commessi dai soldati in quell’ambito, ha processato diverse centinaia di soldati. Nella fattispecie, le mie informazioni provengono dagli interrogatori di alcuni membri della 45a Divisione che parteciparono allo sbarco e che raccontano come le peggiori atrocità furono commesse da soldati italo-americani. Altri scritti memorialistici, sempre in mio possesso, raccontano peraltro di molti altri italo-americani che si prodigarono per aiutare i propri conterranei sconfitti».
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Il libro si sofferma sulla distribuzione delle terre che il regime fascista aveva attuato in quella parte della Sicilia sud orientale. Suo nonno, contadino bracciante, aveva ottenuto un piccolo podere con altre famiglie che appunto costituivano la nuova comunità “coloniale” di Piano Stella, in provincia di Agrigento. Poveri contadini che effettivamente avevano ricevuto un aiuto concreto da Mussolini. Potrebbe questo spiegare l’accanimento dei soldati americani contro di loro?
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«Lo escludo. Nelle giornate immediatamente precedenti lo sbarco, gli abitanti dei borghi colonici avevano cercato di nascondere tutti gli orpelli che potevano ricondurre alle strutture al fascismo. Era gente umile e aveva mostrato sin dall’inizio la propria umanità nei confronti dei soldati americani. Basti pensare che, nelle ore precedenti la strage, mio nonno, assieme ad altri, aveva prestato le prime cure ad un paracadutista americano rimasto ferito ad una gamba. Tutto questo nonostante la presenza di truppe tedesche sul territorio. Purtroppo, la sincera umanità mostrata dai coloni di Piano Stella fu contraccambiata dalla cieca ed immotivata ferocia delle truppe americane».
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Oltre alla strage di contadini di cui faceva parte il nonno dell’autore, nel libro si racconta che furono trucidati dagli americani soldati italiani presi prigioneri. Eccone una sintesi. Nei pressi dell’aeroporto di Biscari, il 14 luglio, il capitano John Compton (comandante di una compagnia di fanteria) «ordinò di uccidere i prigionieri», un gruppo di trentasei italiani, «parecchi dei quali indossavano abiti civili». «Lo stesso giorno un’altra compagnia di fanteria catturò quarantacinque italiani e tre tedeschi. Un sottufficiale, il sergente Horac T. West, ricevette l’ordine di scortare trentasette italiani nelle retrovie perché fossero interrogati dal Servizio S-2 del Reggimento. Dopo circa un chilometro e mezzo di strada, il sergente ordinò al gruppo di fermarsi e di spostarsi verso la carreggiata, dove i componenti furono allineati. Spiegando che avrebbe ucciso quei «sons of bitches», il sergente si fece dare un fucile mitragliatore Thompson dal suo caporalmaggiore e, freddamente, eliminò gli sventurati italiani».
Lei, per ricostruire gli episodi, é riuscito a risalire ai documenti della Corte Marziale americana. Alla fine, solo West fu giudicato colpevole, scontando comunque solo pochi mesi di prigione per poi tornare a combattere, sempre in Italia. Per quale motivo, secondo lei, la giustizia militare americana, pur avendo subito individuato e processato i colpevoli di quei crimini, non andò fino in fondo?
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Lo sbarco in Sicilia, Operazione Husky«Dai documenti in mio possesso si evince un interessamento delle alte sfere militari per non far trapelare nulla agli organi di stampa. Esiste un carteggio tra il generale Patton e il suo vice Bradley in cui il primo cerca di dissuadere Bradley di rendere pubblica la vicenda di Biscari. Tra i documenti si trovano anche lettere del futuro presidente Eisenhower e di membri del Congresso con cui si chiedeva una revisione del processo. Nei due processi celebrati si cercò di salvaguardare gli ufficiali. Infatti l’unico ad essere condannato fu il sergente West».
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Nel libro, lei ricostruisce i primi giorni dello sbarco, lo stress dei soldati che prima avevano affrontato una tempesta in mare, il sergente West che non dorme da tre giorni… Secondo una delle testimonianze conservate nei documenti della Corte Marziale, alcuni commilitoni di West lo descrivono come “fuori di testa”. Lui, un soldato della Guardia Nazionale dell’Alabama, con due figli, di colpo si trasforma in un terribile assassino assetato di sangue. Come si spiega?
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«Quell’uomo aveva pagato a duro prezzo la crisi del ’29. Era un cuoco affermato, ma aveva perduto il lavoro e sofferto la fame. Così, aveva preferito imbracciare un fucile mitragliatore, più che per liberare l’Europa dal giogo nazifascista, per cercare una rivincita economico-sociale. Questa la mia interpretazione, rafforzata dalla considerazione che, tra gli americani, c’erano parecchi volontari ormai non più giovanissimi, tutti travolti – chi più chi meno – dalla crisi economica del ’29».
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Cosa è successo a West e Compton dopo la guerra? Hanno avuto una vita normale, o anche la loro vita è stata segnata da quegli episodi, come poi avverrà a molti reduci dal Vietnam?
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«Il Capitano Compton, dai documenti in mio possesso, morì durante lo sbarco di Salerno del settembre 1943. Della vita del sergente West poco si sa. So soltanto che, prima la Procura Militare di Padova, e poi quella di Palermo, competente territorialmente, hanno chiesto all’Interpol di accertare che fine abbiano fatto sette militari che parteciparono alle stragi».
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E’ rimasto il mistero dei resti di quei poveri soldati italiani, molti originari della provincia di Brescia, che non furono mai ritrovati. Lei é riuscito a sapere dove sono sepolti? Il governo italiano ha mai cercato questi soldati o rivolto ufficiale richiesta al governo americano? Se non lo ha fatto, secondo lei, perché?
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«È mia convinzione, confermata anche da qualche accenno negli atti della Corte Marziale, che i corpi degli sventurati soldati italiani si trovino presso cimiteri militari americani. Di certo, negli archivi storici italiani questi uomini, di cui sono riuscito a ricostruire le generalità, risultano dispersi. Ancora oggi, le famiglie di quei soldati che ebbero la sventura di incrociare le divise delle truppe americane, rimangono in attesa di notizie certe e di un giaciglio dove poter ricordare con un fiore ed una lacrima il parente morto in guerra».
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Secondo lei, chi fu il vero colpevole morale di quegli episodi?
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«Il mandante morale delle stragi fu certamente il generale Patton. Già prima di partire per l’Algeria, e poi durante le fasi dello sbarco, aveva diramato ordini perentori del tipo: «Voi siete una divisione di killers, non bisogna fraternizzare con le popolazioni locali, non occorre fare prigionieri». E per finire: «Kill, kill, and kill some more» («Uccidere, uccidere e uccidere ancora»). Ordini inequivocabili di un generale, che le truppe eseguirono senza rendersi conto di venirsi a trovare palesemente fuori legge».
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Perché ha deciso di scrivere «Le stragi dimenticate»? Per dimostrare che nessuno è immune dai crimini di guerra?
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«Che la storia la scrivano i vincitori è fatto arcinoto e ciò può trovare una spiegazione, seppure perversa ed inaccettabile, laddove si tratti di storici appartenenti alla nazione vincitrice, ma nel nostro caso ciò che ripugna è il silenzio degli storici di casa nostra, di quelli che per più di 60 anni non hanno ritenuto importante studiare, indagare, informarsi ed informare sugli accadimenti di quei giorni. C’è voluto il mio lavoro per aprire il caso. Ritengo che dopo 64 anni occorra ristabilire la verità storica sugli eccidi di Biscari e Piano Stella: sarebbe, seppur tardivo, un atto di giustizia e il giusto riconoscimento per il tributo di sangue pagato dalla nostra gente».
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L’operazione Husky per la principale storiografia rappresenta un grande successo strategico militare, decisivo per la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Per lei, al di là del tragico episodio che ha coinvolto la sua famiglia, il primo sbarco alleato in Europa rappresenta soltanto l’inizio della fine dell’Asse o anche un crimine di guerra?
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«La liberazione dal nazi-fascismo rappresentò certamente per un nuovo periodo storico che ha riconsegnato al nostro Paese libertà, democrazia, pace e prosperità. Ma le stragi americane, ahimè, non si fermarono solo a Biscari e Piano Stella, continuarono nelle giornate seguenti con la stessa virulenza a Comiso, dove furono uccisi, violando la convenzione di Ginevra, 60 soldati tedeschi e 50 soldati italiani. A Canicattì, poi, furono uccisi 8 civili per mano di un ufficiale americano. Così come a Butera, e via dicendo, fino ad arrivare nelle vicinanze di Palermo. Per lo più si trattò di stragi rimaste nella memoria delle comunità e confermate da diverse testimonianze oculari di soldati italoamericani, per le quali tuttavia manca il supporto documentaristico. Ma non c’è dubbio che quelle stragi vi furono».
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L’impressione che resta dopo avere letto la sua ricostruzione, è che la popolazione locale abbia subito voluto dimenticare. E’ cosí? E secondo lei perché?
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«L’icona del soldato americano rappresentava la libertà: dolciumi, sigarette e razioni di cibo. L’America aveva mandato la crema della sua gioventù in tutto il mondo, non a conquistare ma a liberare, non a terrorizzare ma ad aiutare. Grazie alla martellante e danarosa propaganda che ha bombardato il mondo per sessant’anni, l’opinione pubblica ha, in linea di massima, recepito e fatto propria, come verità di fede, questa oleografia storico-militare, tanto che nessuno ha mai pensato di sottoporre a verifica il vero comportamento degli arcangeli della libertà e della democrazia. Questo è certamente uno dei motivi per cui la popolazione locale ha faticato a creare una memoria comune. L’altro dato è che i 73 soldati, per lo più bresciani, non avevano alcun rapporto di parentela con gli abitanti del territorio. Pertanto la loro scomparsa non è fu notata da nessuno».
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Il suo libro è ricavato dalla sua tesi di laurea presentata all’Universitá di Catania, pubblicata poi da un editore locale. Aveva provato a proporre la sua ricerca ad un editore nazionale?
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«Proprio in questi giorni ho concluso un contratto con un buon editore nazionale. Le posso dire in tutta sincerità che non è stato facile. Ancora oggi, in Italia, è arduo parlare di verità scomode. Basti pensare che le istituzioni repubblicane non hanno ancora riconosciuto tali eccidi, nonostante gli atti della Corte Marziale americana che ha dichiarato colpevoli i soldati a stelle e strisce».
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Luciano Garibaldi
garibaldi@storiainrete.com
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