Di Vendola mi piacciono l’intelligenza e le parole. Pure i suoi capelli brizzolati. Mi piace perché ha capito, con Deleuze e Guattari che non ci manca la comunicazione, ne abbiamo anche troppa, ci manca la creatività. Ci manca la resistenza al presente. Mi piace, di Vendola e dei suoi, la fiducia nella lingua italiana, nella sua possibilità di dire le cose con un gergo che non sia né calcistico, né da talk show, né d’appendice e che, al contempo, tenga insieme il gioco, la fossa alle grida, i bisogni, gli affetti. Appartengo a una generazione che ha dovuto ingoiare l’intuizione dalemiana per la quale la politica è una questione da tecnici e che ha quindi visto le sezioni ex Pci scolorire per essere rimpiazzate dalle sezioni di partiti di centrosinistra, di “ma anche”, o da quelle della destra, più o meno sociale, più o meno nera.
Ho visto perciò le aspirazioni e le intenzioni e quindi le parole della politica diventare evanescenti in un mondo di cemento. Siccome sono nata alla fine degli anni Settanta e mi piace la fantascienza ho visto anche cose che voi umani non potete neppure immaginare, le porte di Tannhäuser, le lacrime nella pioggia… Mi fido di Vendola e dei suoi perché parlano e pensano con le subordinate restituendo così al linguaggio politico la possibilità dell’analisi del periodo. Perciò quando ho visto l’annuncio dei Comizi dell’Amore ho messo da parte il mio intransigente scetticismo e ho letto la declinazione dell’amore di Sinistra e Libertà. Questa Italia invece continua a vivere e credere che ci sia la possibilità di una nuova narrazione. Un comizio d’amore è la somma delle parole su cui si vuole costruire il nuovo vocabolario. E ci sto. Perché ha diritto a raccontare solo chi, se racconta, racconta meglio di chi ascolta. E perciò penso che una parte della nostra sinistra debba lasciare spazio a Vendola e ai suoi.
di Chiara Valerio
Fonte: NAZIONE INDIANA
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