16 marzo 2007

No alla paura dell' Islam


di Miguel Martínez

Due anni e mezzo fa, si avvicinava l'attacco all'Iraq. I miei amici - in senso ampio - erano quella minoranza di persone che sentiva che la guerra che stava per arrivare era qualcosa che ci riguardava tutti, e proprio per questo avrebbe tracciato un solco profondo tra gli uomini.

Esisteva un dichiarato progetto di impero universale americano, un'uranocrazia che avrebbe tenuto sotto il dominio implacabile dei suoi satelliti e dei suoi bombardieri, ogni essere vivente su questa terra.

Un disegno espresso con parole di feroce superbia e chiarezza dalla néoconnarderie (termine di cui ringrazio Dacia Valent). Ma dietro queste parole, c'era una lunga storia: dalle tonnellate di filo spinato con cui fu delimitato il West, dalla catena di montaggio generalizzato, in cui quasi tutti sono - direttamente o indirettamente - parte della più grande macchina militare di tutti i tempi, non poteva nascere altro.

Una forza affascinante e terribile, cui forse solo le parole dell'Apocalisse possono rendere il dovuto onore, perché le immagini religiose esprimono le intuizioni più profonde:

Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini.

Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta.

Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia.

Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte;

e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome.

Molti marciavano contro la guerra in quei giorni. Dimostrando che non tutti portano sulla fronte il marchio della bestia.

Ma la guerra non è un'astrazione: c'è qualcuno che la fa. E quel qualcuno oggi è l'impero americano. Chi non lo coglie, può solo sfilare, sperare, generalizzare. E alla fine perdersi nella vacuità e nell'impotenza.

L'Impero non ha prestato la minima attenzione al movimento contro la guerra. Perché quelle persone non hanno ritardato di un giorno i suoi progetti. Le bandiere della pace sono rimaste per un anno appese sui davanzali, a diventare sempre di più dello stesso colore dei muri. Un giorno, ho tirato dentro anche la mia, l'ultima rimasta sulla piazza.

Chi ha cercato di fermare l'Impero, invece, sono stati i ragazzi dell'Iraq. Ragazzi molto lontani dai nostri, e che per questo ci fanno un po' paura. Come si cresce dopo tredici anni di embargo, con la tessera del pane e senza sapere cosa sia un ospedale?

Forse, se nella sua infinita malvagità, l'Impero non li avesse fatti crescere così, quei ragazzi non avrebbero potuto fermare l'Impero, come non potrebbero mai farlo i nostri.


Quei ragazzi, nei quartieri senza lampioni, tra l'odore di fogna e quello di tabacco mu'assal che odora di miele e di rosa, a giocare con i loro domino consunti, ridendo, litigando, sognando, si sono presi sulle spalle il mondo intero.

Senza saperne nulla dei campi di golf, dei lucidi tavoli dei consigli di amministrazione in cui si decidono i massacri, né del feroce, ribollente astio di ciò che oggi si sente Occidente.

Nel Signore degli anelli, J.R.R. Tolkien ebbe la splendida intuizione di affidare l'anello a una persona che è insieme profondamente normale, e rappresentativa di un angolo particolare del mondo. Tolkien è stato sfruttato politicamente a destra, ma Frodo Baggins è l'esatto contrario di ogni superomismo estetizzante, l'opposto di D'Annunzio, o del personaggio del mercenario, o del nichilista della creative destruction sognato dai neocon.

Certo, i Frodo dei nostri tempi non sono piccoli gentiluomini della campagna inglese.

In Neve, Orhan Pamuk - uno dei più grandi autori dei nostri tempi - ci racconta di Necip, giovane islamista della profonda e fredda Anatolia, che confida i propri desideri al triste poeta Ka, esule politico di sinistra, vissuto per anni nell'ancora più fredda Germania.

Necip è segretamente innamorato di Kadife, figlia di un tollerante ex-militante di sinistra. Kadife, religiosamente scettica, ha sfidato il terrore imperante, scegliendo di indossare pubblicamente il hijab.

"Voglio sposarmi con Kadife - dice Necip - vivere a Istanbul e diventare il primo scritto di fantascienza islamico nel mondo. So che tutto ciò è impossibile, ma lo voglio lo stesso."
I Necip sognano ancora, e possono ancora combattere, perché possiedono qualcosa che noi non abbiamo. Il nemico dell'umanità si ricorda bene di quando riuscirono a strappare l'anima ai Sioux, e gli ultimi guerrieri andarono a vivere in carcasse di automobili, con una bottiglia di pessimo whisky per compagnia.

A forza di strappare il hijab a Kadife, potremo insegnare ai Necip di questo mondo a camminare a testa china, a riconoscere il proprio posto di sudditi. Perché l'Islam - mi perdonino i lettori musulmani - è un immenso calderone di cose, come un sogno pieno di immagini e storie, di cui ci ricordiamo appena al risveglio, ma che ci fa sentire partecipi di qualcos'altro.

Qualcuno, certo in perfetta buona fede, dice che sosterrebbe gli iracheni, se solo fossero come noi. Certo che sono come noi, lo sono profondamente. In questo senso tutto il castello dello scontro di civiltà è una menzogna.

Eppure, c'è anche del vero nella menzogna.

Perché senza anima, non c'è resistenza. Ecco perché assistiamo adesso allo straordinario tentativo di uccidere una religione, dell'islamicidio.

Prima di morire assassinato da ex-militanti di sinistra diventati sanguinari sostenitori del regime militare, Necip dirà a Ka:

"Ho guardato su un'enciclopedia, la parola ateo deriva dal greco átheos. E quella parola indica non la persona che non crede in Dio, ma la persona sola, abbandonata dagli dèi. E questo significa che l'uomo, qui, non può mai essere ateo. Perché Allah, anche se lo vogliamo, non ci abbandonerebbe mai qui. Per diventare ateo, la persona deve prima diventare occidentale".




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