21 marzo 2007

Tanto rumore per nulla




"Mi dispiace. È stata la stupida deviazione di percorso di una sera d'estate. Ma perché dovrei dimettermi per questo?". Silvio Sircana sta seduto in poltrona, e riflette a voce alta. Da casa sua è appena uscito un medico. La moglie Livia prepara la cena ai figli. Una vita sconvolta da una foto. Una foto che lo ritrae mentre si affianca a un transessuale, e scambia qualche parola dal finestrino. Quella maledetta foto che, spuntata dalle fogne di Vallettopoli, lo inchioda alle sue responsabilità. Di marito, di padre, di politico, di portavoce del governo. "Pubblicatela pure, quella foto, tanto so cosa ritrae. Ritrae quello che è successo. Cioè nulla".
Onorevole Sircana, come fa a dire che quella foto non ritrae nulla? "È la verità. Una macchina si accosta un istante a un presunto transessuale. Poi se ne va. Con a bordo soltanto chi la guida. Questo è il fatto".
Nella sua posizione di uomo pubblico, con un incarico di governo, anche questo può bastare. O no? "No, non può bastare. Non si crocifigge una persona, per una sciocchezza del genere. Non si espone alla gogna mediatica un uomo, per una piccola e stupida deviazione di percorso, in una sera di mezza estate. Se quello che è successo dovesse essere oggetto di qualsiasi analisi di tipo processuale, anche presso il più spietato dei tribunali religiosi, verrebbe derubricato così: il fatto non sussiste. E invece, su un fatto che non esiste, si è montata purtroppo una panna ignobile".
Forse, se lei si fosse dimesso subito e fosse passato al contrattacco, difendendosi con le unghie e con i denti, magari la panna non montava. "E perché avrei dovuto dimettermi? Per una non-notizia? No, non ci sto. Le vere notizie sono altre...".
E quali sono le vere notizie? Qualcuno ha complottato contro di lei? Qualcuno ha montato la panna per colpire Prodi? "Io non mi do risposte. Ma continuo a farmi domande. Di questa vicenda delle foto si parlava già da qualche mese, nel pettegolaio generale, e nessuno mi ha mai avvertito. Dell'esistenza di atti giudiziari, con un faldone intestato al mio nome e cognome presso una Procura della Repubblica, ho saputo solo dalla lettura dei giornali. Intorno a queste voci si è poi innescato un processo pubblico, una speculazione "filosofica" che prescinde totalmente dalla realtà dei fatti. Si è persino ipotizzato che dietro quelle foto si nascondesse un tentativo di ricatto".
E invece non è così? Lei non è stato ricattato? "Nessuno mi ha mai ricattato. Nessuno mi ha mai telefonato. Non ho ricevuto nessuna informazione, nessuna segnalazione. Neanche una lettera anonima. E allora torno a chiedermi: perché è successo tutto questo?".
E io torno ad insistere: perché non ce lo spiega lei? Ce l'ha con i magistrati che hanno lasciato trapelare il fatto? Con i giornali che hanno sparato la notizia in prima pagina? "Io non faccio nomi. Penso che la maggior parte dei mezzi di informazione gestisca questioni delicate e anche scabrose con quel tanto di gentilezza e di riguardo che consentono di trattare qualunque notizia, sempre che di notizia si tratti. Ma io pongo una questione generale. Se da questa disavventura che è capitata a me si coglie l'occasione per far scattare provvedimenti restrittivi della libertà dell'informazione, allora mi preoccupo".
Lei sta dicendo che non condivide il provvedimento varato la settimana scorsa dal Garante della Privacy? "No, non mi piace che certe norme, che dovrebbero essere prima di tutto di carattere etico-morale, vengano imposte dal legislatore. Penso che bisognerebbe fare una riflessione collettiva, non su come una norma esterna debba misurare la libertà dell'informazione, ma quali codici deontologici debba condividere dall'interno chi lavora nei media. E penso anche che occorrerebbe una riflessione più ampia, che però lascio a intellettuali più raffinati di me, su come ormai tutta questa informazione moderna, compresa quella politica, si radichi sul "filone culturale" del reality show, delle trasmissioni spazzatura in cui le coppie separate si sbranano davanti alle telecamere. Insomma, su quella "cattiva maestra televisione", di cui spesso anche i giornali, purtroppo, finiscono per fare da detonatore, invece che da silenziatore".
Ma non sarà invece che quella del Garante è una "norma ad personam" che Pizzetti, ex consulente giuridico di Prodi, ha varato proprio per difendere lei? "Ho letto anche questo. Ma mi dispiace deludervi ancora. Io non ho mai chiesto niente a nessuno. Non ho mai parlato con Pizzetti. Ed escludo categoricamente che ci abbia parlato Prodi".
Comunque, scusi la franchezza, ma già sento l'obiezione di qualche lettore, mentre legge questa intervista: dopo quelle foto, proprio lui viene a farci la morale? "Non mi sono mai messo a caccia per cercare quelle foto, non ho mai inseguito il direttore di "Oggi" per chiedergli di darmele. Quelle foto mi hanno distrutto. Ma dimostrano il nulla, come conferma nell'intercettazione telefonica lo stesso fotografo che le ha fatte: "peccato, si è fermato un attimo, e poi se n'è andato"".
Ma perché si è fermato? "Gliel'ho detto. Uno stupido cambiamento di percorso".
A questo punto la disturba che quelle foto siano pubblicate o no? "Io ho già chiesto che siano pubblicate. E lo ripeto: pubblicatele pure. Anche se questa mia richiesta non rappresenta una liberatoria per nessuno, rispetto ai nuovi divieti fissati dal Garante".
Ha un bel coraggio, dopo quel ricovero urgente in ospedale. Colica addominale, si è detto... "Infatti. Non lo nego. Ho subito uno shock terribile".
Lo sa che secondo alcune fonti quella notte prima del ricovero lei avrebbe addirittura tentato di farsi del male? "Ma sì, va bene anche questo. Ognuno pensi quello che vuole. Io so solo che ho vissuto i momenti più brutti della mia vita".
Lo ha detto lei stesso, quando si è diffusa la notizia: "Sono distrutto, come posso parlare a mia moglie, cosa devo spiegare ai miei figli"? È riuscito a farlo, a distanza di sette giorni? "La mia famiglia è l'unica cui devo spiegare qualcosa. Abbiamo vissuto tutti uno shock. Mia moglie ha capito benissimo il poco che c'era da capire. Ma con i miei figli è diverso. Loro hanno sofferto. Hanno subito e sentito l'enorme pressione, anche psicologica, che arrivava dall'esterno. Non a scuola, devo dire. Ma a casa sì. Nella mia casa circolano da sempre i giornali. E a vedere il proprio cognome sparato in un certo modo sui giornali c'è ancora qualcuno che si impressiona. Soprattutto se quel qualcuno ha solo tredici anni".
Mi rendo conto. Ma proprio per questo, dimettersi subito non sarebbe servito anche per tenere più al riparo anche la sua famiglia? "Senta, io in tutti questi giorni non ho fatto altro che pensare a e occuparmi della liberazione di Mastrogiacomo. Mi sono detto: lo devo a Daniele, perché lui è mio amico e perché questo è il mio lavoro. Risolto quel problema, penserò anche al mio. Bene, ci ho pensato. E non glielo nego: ho anche pensato di dimettermi subito. Ho pensato tante di quelle cose, all'inizio. Cose anche molto brutte. Ma poi, superato lo shock, mi sono detto: adesso devo fare una valutazione seria, e prospettica, com'è doveroso che sia".
E l'ha fatta, questa valutazione? "La prima riflessione che ho fatto è la seguente: faccio un lavoro in cui mi propongo come mediatore tra l'istituzione e l'informazione. In un lavoro del genere, la parola chiave è una sola: credibilità. E allora mi sono posto la domanda: agli occhi dei miei interlocutori sono ancora una persona credibile o no? Restano dubbi e retropensieri, sulla mia credibilità?".
Bella domanda. Ha trovato la risposta? "Sì, l'ho trovata. Prima di tutto nei miei datori di lavoro...".
Vuol dire che Prodi non le ha chiesto di fare un passo indietro? "Prodi non ha mai deviato un secondo. Ha sempre avuto una grande fiducia in me. Ma poi la risposta l'ho avuta anche da tutto il governo, e dal mondo politico. Ho ricevuto messaggi di solidarietà non solo dal centrosinistra, ma anche dal centrodestra. Mi ha chiamato Casini, mi ha telefonato Ronchi per riferirmi la solidarietà di Fini, mi hanno scritto lettere cortesissime Bonaiuti e Schifani. Questi attestati di stima mi hanno fatto capire che la valenza politica delle mie eventuali dimissioni non c'è, non esiste".
Ma ora che le foto sono pubbliche su tutti i giornali, non teme che qualcosa si possa rompere, dentro di lei? "Certo, dentro di me resta una cicatrice profondissima, sul piano umano, psicologico, affettivo. Ma io mi sento ancora la persona di prima. Io resto quello che sono sempre stato. Per questo resto al mio posto. Ogni persona seria deve pensare a dimettersi almeno tre volte all'anno. Perché commette leggerezze ed errori. Ma un conto è pensare alle dimissioni, un conto è darle. Tra l'altro, le voglio ricordare che io le dimissioni da questo incarico le ho già date una volta, nella vita. Quindi oggi non ho proprio nessuna paura".
Insomma, onorevole Sircana, la sua linea è resistere, resistere, resistere. Ma come si sente, davvero? "Come mi sento davvero? Mi sento uno schifo. Le confesso che quest'ultimo week-end, passato a seguire le ore più drammatiche del rapimento di Mastrogiacomo, avrebbero potuto uccidere un elefante. Dopo il malore della settimana scorsa mi sono curato poco, quasi per niente. Adesso è ora che mi rimetta in sesto, sul serio".
(21 marzo 2007) Massimo Giannini, Corriere.it

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