14 maggio 2007

"Rivoluzione" Arancione






Bambini venduti come pezzi di ricambio. Feti frullati per infondere
vitalità a vecchi e malati. Sono voci che girano da anni. Traffico d'organi,
neonati scomparsi, chirurghi clandestini e il nuovo business delle cellule
staminali. Ma si è sempre potuto considerarle leggende metropolitane. Ne sono
fiorite in Brasile, in India, in Africa. Mai nulla che, fino ad oggi, sia stato
confermato. L'Interpol, che si attiva ad ogni denuncia, non ha trovato alcunché.
Questa volta però è diverso. La prova che il traffico esiste potrebbe arrivare
in pochi mesi. Sarebbe sufficiente che si concludessero indagini affossate da
cinque anni e l'Ucraina potrebbe scoprire di essere un supermercato segreto di
organi, tessuti e cellule umane. Il Consiglio d'Europa s'interroga, in un
rapporto ancora riservato, sulla scomparsa di duecento bambini dalle sale parto
dell'ex Repubblica sovietica. Spaventoso, ma non è tutto. In Ucraina, attivisti
per i diritti umani chiedono di sapere che cosa succede non a duecento, ma a
tremila neonati ogni anno: le mamme li sentono piangere alla nascita, gli
obitori ne certificano la morte, eppure secondo i registri delle sale parto e
dei cimiteri non esistono. I loro cadaveri scompaiono. Due medici sono scappati
da Kiev (e stanno chiedendo asilo politico in Irlanda) perché hanno paura di
essere uccisi proprio per aver dato voce all'orribile sospetto. In Ucraina il
Corriere è venuto in possesso di un documento della Procura generale di Kiev in
cui si chiede l'aiuto dei servizi segreti per il proseguimento delle indagini
sulla scomparsa di alcuni neonati. Motivo? I misteriosi infarti che hanno chiuso
la bocca a due testimoni chiave. Da quando è stato redatto il documento, invece
di ricevere l'aiuto degli 007, il magistrato si è visto togliere il caso. E le
morti sospette sono diventate sei.
Che cosa sta succedendo? Poche settimane
fa il primo ministro Viktor Yanukovich era a Bruxelles, per una seduta del
Comitato per gli affari esteri dell'Unione Europea. La deputata irlandese Kathy
Sinnott gliel'ha chiesto. La risposta è sconvolgente perché conferma l'esistenza
di un traffico di parti umane («embrioni» secondo Yanukovich): «Grazie per aver
sollevato il doloroso problema del commercio di embrioni — ha detto il premier
ucraino in presenza di diversi testimoni —. Spero siate d'accordo con me che non
si tratta solo di fermare chi vende, ma anche chi compra. Purtroppo leggi
insufficienti permettono che, oggi, questo traffico esista. Con la vostra
assistenza confido che riusciremo a mettere fine a tutto ciò. Ho dato pieni
poteri ai servizi segreti e al ministero dell'Interno, ma bisogna considerare
anche il retroterra di povertà prevalente in Ucraina». Svetlana Pusikova non sa
delle ammissioni del suo primo ministro. A 26 anni è incinta per la seconda
volta. «Ma non andrò più a partorire in ospedale. Ho troppa paura che possa
succedere di nuovo, che mi possano rubare anche questo bimbo». Erano le quattro
di una notte d'autunno del 2002 quando nacque quello che avrebbe dovuto essere
il primo figlio di Svetlana. «Ho partorito in fretta, senza problemi. Non mi
hanno dato il bimbo da tenere in braccio, però l'ho visto mentre lo lavavano e
lo pesavano. "Complimenti", ha detto un'infermiera. Ero felice e confusa, certo,
ma ho osservato bene una donna in camice bianco che lo prendeva, lo avvolgeva in
un panno e lo portava via. Da allora non ho più visto mio figlio». Sulla
cartella clinica è registrata tutt'altra storia: non un parto a termine, ma un
aborto spontaneo al sesto mese. Non un bimbo vivo di oltre 3 chili, ma un feto
nato morto di 800 grammi.
Sperimentazione e futuro: la fabbrica dell'eterna giovinezza
Chi mente? Svetlana ha denunciato la «rapitrice», ne ha fatto un identikit.
Inutile. Nessuno all'Ospedale numero sei di Kharkov dice di averla mai vista.
Passano pochi mesi e nello stesso nosocomio dell'impoverito Est dell'Ucraina va
a partorire Olena Stulniev. Ecco che cosa racconta. «Non ho sognato, all'inizio
del 2003 mi è nata una bimba che avremmo voluto chiamare Regina». «C'ero anch'io
— le dà manforte il marito Dimitri —. Le infermiere sono uscite dalla sala parto
sorridenti e hanno scritto sul tabellone delle nascite: "Regina, 54
centimetri"». Ma anche la loro bambina è stata dichiarata un «aborto» di pochi
mesi e il suo corpo mai restituito alla famiglia. In questa città ai tempi
dell'Urss si costruivano carri armati, aerei e turbine, mentre oggi metà degli
abitanti è senza lavoro. Eppure le élite del sistema comunista sono rimaste le
stesse. Larissa Lazarenko è, tra le tante altre cose, anche il primario
dell'Ospedale numero 6. La dottoressa rifiuta un incontro con il Corriere e, al
telefono, urla il suo fastidio: «Lasciatemi in pace, è già stato tutto chiarito,
non è successo nulla». Un punto di vista discutibile dal momento che l'inchiesta
è semplicemente ferma. «Il caso è stato spostato in sette differenti uffici da
quando la mia "Associazione per le famiglie numerose" si è messa ad aiutare
queste madri — racconta Tatiana Zakharova, religiosissima attivista per i
diritti umani di Kharkov —. Non appena il magistrato inquirente cominciava a
capirci qualcosa la pratica gli veniva tolta. La richiesta dagli alti vertici
era sempre la stessa: archiviazione».
Tatiana è convinta che quelli di
Svetlana e Olena non siano casi isolati. «Hanno offerto alle famiglie dei soldi
per mettere tutto a tacere, ma per fortuna, almeno queste due madri sono decise
ad arrivare alla verità. Grazie alla denuncia di Svetlana siamo riusciti a far
dissotterrare la cassa dove avrebbe dovuto essere il suo bimbo, a sequestrare i
registri del reparto di ostetricia, dell'obitorio e della società di pompe
funebri. Ne è uscito un quadro pazzesco: niente era come avrebbe dovuto essere.
Nella piccola bara erano ufficialmente sepolti 28 aborti, ma c'erano 30
cadaveri. L'unico ad avere il braccialettino di riconoscimento era un feto di
800 grammi e guarda caso era proprio il braccialettino di Svetlana. Ma non solo.
Erano tutti sezionati e privati degli organi mentre dalle carte dell'obitorio
non risulta alcuna asportazione. In quella cassa c'erano anche i resti di un
bimbo nato a termine che non avrebbe dovuto essere lì. Dico resti perché erano
stati risparmiati gli arti e poco altro. Qualcuno l'aveva fatto a pezzi con un
bisturi». Quindi il bimbo di Svetlana è stato trovato? «No. Ho detto che abbiamo
trovato il braccialettino. Ma era su un cadavere diverso. L'ha con fermato il
test del dna fatto fare da un laboratorio indipendente tedesco. Qualcuno aveva
aperto la tomba prima di noi e aveva infilato quel braccialettino. L'hanno fatto
di notte e, per sua sfortuna, un barbone che dormiva al cimitero li ha visti.
Poco dopo aver testimoniato è morto nel rogo della sua baracca». Che cosa sta
succedendo in Ucraina? Se l'è domandato anche la dottoressa Irina Bogomolova
della Procura generale di Kiev quando le è stato affidato il caso. «Credo di
essere arrivata molto vicina alla verità — dice Bogomolova al Corriere dalla sua
casa di Odessa, sul Mar Nero —. Poi nell'aprile del 2006 sono stata
improvvisamente prepensionata e quindi costretta a interrompere le indagini. Ho
fatto ricorso e da pochissimo sono stata reintegrata nel mio ufficio, com'era
mio diritto. Aspetto di tornare anche in possesso della pratica per finire
l'inchiesta. Solo allora potrò raccontare quello che so sui neonati scomparsi».
Anche Tatiana Zakharova, la presidente dell'Associazione per le famiglie
numerose, è preoccupata di non violare il segreto istruttorio. Ma qualcosa può
ancora dire.
«Sono ormai sei le morti sospette. Il barbone del cimitero è
bruciato vivo. L'infermiera dell'Ospedale numero 6 che confessò di aver
falsificato la cartella clinica di Svetlana ha avuto un attacco di cuore. Lo
stesso è capitato al dipendente della ditta di pompe funebri che trasportava i
"rifiuti biologici", gli aborti, al cimitero. In un incidente d'auto è morta
un'amica di Svetlana che era con lei alla visita pre parto. Sono invece
scomparsi nel nulla la donna dell'identikit che uscì dalla sala parto con la
figlia di Svetlana in braccio e mio figlio, il mio braccio destro in questa
battaglia, sparito sei mesi fa». Anche Tatiana si sente minacciata. «Non vivo
più in casa mia. So di essere sorvegliata. Ormai quasi ogni notte cambio
alloggio». Seguendo il ragionamento del premier Yanukovich («c'è chi vende
"materiale umano" quindi c'è anche chi acquista») si può anche dire che se c'è
chi miete parti umane nelle sale parto, ci deve anche essere chi le vende.
Tatiana non ha dubbi e punta il dito sull'Istituto di Criobiologia di Kharkov.
Sul sito Internet dell'Istituto si legge ciò che toglie il sonno a Tatiana.
«Trapianti cellulari, preparati biologici in grado di stimolare naturalmente la
guarigione grazie soprattutto al tasso di crescita notevolmente più alto
garantito da cellule e tessuti fetali».
C'è anche una sorta di catalogo dei
prodotti disponibili nell'Istituto di criobiologia: «cellule nervose embrionali,
tessuti fetali di timo, tiroide, ossa, midollo spinale e milza». Il professore
Valentyn Gryshchenko dirige l'Istituto con mano ferma a dispetto dei suoi 78
anni. Ha maniere cortesi, un eloquio raffinato, capisce l'inglese, ma preferisce
parlare al Corriere in russo attraverso un interprete. L'esordio è in difesa:
«Queste storie non hanno senso. Noi lavoriamo su staminali adulte che in tutta
la letteratura scientifica si sono dimostrate più efficaci di quelle fetali o
embrionali ». Ciò detto, il professor Gryshchenko non pensa di contraddirsi
quando dice: «Questo Istituto esporta tessuti e cellule embrionali, ma non a
pagamento, solo nell'ambito di cooperazioni scientifiche». E neppure si nasconde
quando gli si fa notare che tra i suoi clienti c'è l'Istituto di Medicina
Rigenerativa delle Isole Barbados. Un roboante nome per indicare una clinica
privata di cui si ignorano i meriti scientifici mentre sono ben noti i prezzi
per discutibilissimi trattamenti di ringiovanimento basati proprio
sull'iniezione di cellule staminali embrionali. «Sì, abbiamo rifornito anche
quella clinica» ammette Gryshchenko. Due anni fa, il ministro della Sanità
ucraino Nikolay Palichuk aveva detto: «Non permetterò che i nostri bambini siano
venduti a pezzi all'estero». Poche settimane dopo un rimpasto di governo lo
allontanò dalla sua poltrona.
Andrea Nicastro


Ma non erano i comunisti a mangiare i bambini? Benvenuti nel magico mondo del capitalismo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho letto con orrore crescente questo post. Posso sapere le fonti sulle quali ti sei documentato? Grazie:-)

Anonimo ha detto...

Ah...corriere it...scusa non avevo letto!

Anonimo ha detto...

D'accordissimo. Sono i capitalisti a mangiare i bambini, ma ci hanno sempre fatto credere il contrario.
E noto infatti che nella dieta abituale di Berlusconi, Moratti, DelVecchio, Sam Walton, Bill Gates e Larry Ellison rientrano embrioni,feti e persino neonati, di ottima qualità ovviamente, proveniente dritti dritti dall'Ucraina, il miglior fornitore mondiale.