NON E’ FINI CHE DEVE CHIARIRE, E’ BERLUSCONI CHE DEVE AFFRONTARE I PROCESSI
NEL FUORIONDA FINI HA SOLO DETTO LE COSE CHE PENSANO IL 72% DEGLI ITALIANI: LE DICHIARAZIONI DEI PENTITI VANNO VERIFICATE E LA LEADERSHIP NON E’ UNA MONARCHIA ASSOLUTA…. SE QUALCUNO INVECE CHE “FUORIONDA” E’ “FUORI DI TESTA” SI CURI…E I SERVI SI ACCOMODINO IN CUCINA
“Berlusconi confonde il consenso popolare che lo legittima a governare con una sorta di immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità di garanzia e di controllo. Confonde la leadership con la monarchia assoluta. Il riscontro delle dichiarazioni del pentito Spatuzza speriamo siano fatte con scrupolo”.
Parole e musica del presidente della Camera, Gianfranco Fini, carpite in un fuorionda, un mese fa, e ribadite ieri sera nel corso di una telefonata a Ballarò, in cui Fini afferma di “essere convinto che il premier non c’entri nulla con la mafia e di avere fiducia nella magistratura” che non va delegittimata. Dopo aver annichilito l’ex comunista Bondi, si è congedato dagli ospiti di Ballarò con un “non ho nulla da chiarire”, tra gli applausi scroscianti del pubblico in sala.
Nel pomeriggio un comunicato del Pdl invitava Fini a “chiarire cosa intendesse dire”: evidentemente a qualche ex radicale, passato a Forza Italia per sbarcare il lunario, dopo essere stato cacciato da Pannella, il senso delle parole è oscuro.
Non solo si tratta di concetti che Fini esprime da tempo, ma un recente sondaggio Ipsos ha confermato che si tratta di tesi condivise dal 72% degli italiani.
Ovvero che nessun privilegio deve essere concesso ai politici di fronte alla giustizia, alias che Berlusconi deve affrontare i processi, dove potrà difendersi dalle accuse come fanno tutti i cittadini, comuni mortali.
La maggioranza dello stesso elettorato di centrodestra la pensa così, inutile fare tanti discorsi e cercare scappatoie giuridiche.
Berlusconi si sta facendo ridere dietro da due italiani su tre, nel suo aggraparsi ieri al lodo Alfano, oggi al processo breve, legittimo impedimento o prescrizione che sia.
La magistratura lo perseguita? Ragione di più per affrontare i processi che, durando fino al terzo grado, assicurano sia la possibilità di finire la legislatura in corso, che di dimostrare la propria innocenza.
Fuggono i vili, non gli uomini con le palle.
Invece che accade?
Che sotto accusa finisce Fini con affermazioni del genere: “Chi si crede di essere?”, avrebbe detto il premier, secondo “Libero” di oggi: il che detto da lui rasenta quasi l’umorismo involontario.
O ancora: “Ora deve dimettersi, lo voglio politicamente morto, io accuso la magistratura e lui parla con i giudici, ormai per me è fuori dal partito”, secondo le varie ricostruzioni giornalistiche, le frasi di Berlusconi all’indirizzo del presidente della Camera.
Ribadiamo un concetto che abbiamo già espresso in passato: governare un Paese non è come presiedere un consiglio di amministrazione di Fininvest, dove uno decide perchè ha la proprietà dell’azienda e i vari manager si inchinano ossequiosi.
Per governare l’Italia non basta vincere le elezioni perchè si è un grande comunicatore, occorre poi saper governare, avere idee e non solo “l’ansia del fare” senza un progetto globale, essere immacolati e non attaccabili, avere un comportamento privato serio ed adeguato, non essere in perenne conflitto di interessi e avere rispetto dei vari organi istituzionali.
Se uno ha saldi principi morali e ideali da realizzare prova anche a coinvolgere l’opposizione, non la attacca in continuazione, mette in conto che possa essere criticato, semmai reagisce alle critiche con la forza del ragionamento e della convizione.
E se messo sotto inchiesta si presenta in tribunale.
Qualcuno ricorda il processo per mafia ad Andreotti?
Il leader dc non perdeva un’udienza del processo, scriveva appunti, arrivava in aula per primo e usciva per ultimo, dopo aver salutato il presidente e il pubblico ministero.
In primo grado fu condannato, alla fine fu assolto, in parte con formula piena. Per quello che ha politicamente rappresentato, Giulio Andreotti è quanto di più distante dalle nostre idee possa esserci, ma tanto di cappello a chi ha mostrato coraggio, dignità e coerenza in quella sua personale e drammatica esperienza.
Se ai tempi della Prima repubblica un tipico slogan di destra era “non vogliamo morire democristiani”, oggi non vorremmo neanche essere rappresentati da “un facsimile di destra” che fugge e da una corte di servi che farebbe bene a nascondersi in cucina, quando vengono ricevute persone per bene.
Si accontentino della paga, evitino di tediarci amplificando la “voce del padrone”.
A destra, quella vera, non abbiamo bisogno di lezioni da ex radicali e comunisti riciclati e neanche di chi ha fatto carriera grazie alle frequentazioni della moglie.
Siamo gente che può camminare a testa alta e dire quello che pensa. Sempre.
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