Altro editoriale del direttore del Tg1, stavolta contro le intercettazioni sbattute in prima pagina. Giusto in tempo per la riproposizione del Ddl per frenarle, e con esse le indagini, al Senato annunciata da Berlusconi.
“Le allusioni prendono il posto dei fatti, e il motivo è semplice: siamo in piena campagna elettorale per le regionali. Così come alla vigilia delle europee scoppiò lo scandalo delle escort. Tutto finirà, ma l’immagine del paese sarà danneggiata. Anche noi italiani non avremo nessun risarcimento“. Augusto Minzolinicolpisce ancora, e dedica un editoriale alla “barbarie” delle intercettazioni, come l’ha definita proprio ieri il premier Silvio Berlusconi. E’ una vergogna, dice Minzolini, che i brogliacci finiscano sui giornali pieni di omissis e dei commenti dell’appuntato di turno. “Basta con questa gogna mediatica prima del voto“, dice ancora il direttore.
LE INTERCETTAZIONI NON SONO PROVE – “Le intercettazioni non sono prove“, eppure sono alla base di una “condanna mediatica” le cui vittime pagano già “la loro pena davanti alla società“, prima del verdetto dei giudici, cosa che “può accadere anche a Bertolaso“, aggiunge Minzolini “le intercettazioni sono strumenti di indagine, non sono prove, e lo sanno bene anche i magistrati. Al telefono si usa un linguaggio diverso rispetto a quello che si userebbe davanti a un pubblico ufficiale, ma non si può condannare una persona per un aggettivo se non c’è una prova“. Questo, tuttavia, “non accade in virtù di una sorta di condanna mediatica – aggiunge il direttore del Tg1 -che deriva dalla pubblicazione delle intercettazioni. E il condannato mediatico, se pure dimostra la sua innocenza davanti a un tribunale, la sua pena la sconta già davanti alla società. Cosa che può accadere anche a Bertolaso“. Tutto ciò, secondo Minzolini, accade perchè “siamo in campagna elettorale e puntualmente le inchieste giudiziarie sostituiscono la campagna elettorale: è successo l’anno scorso con la vicenda delle escort, mentre quest’anno il primo giorno della par condicio siamo stati sommersi dalla pubblicazione di un mare di intercettazioni“.
ALCUNE PRECISAZIONI – Quello che dice Minzolini, come sempre, è formalmente vero: le intercettazioni non sono prove, così come tutto quello che viene raccolto dai pubblici ministeri per sostenere l’accusa non è prova finché non comincia il processo. Fino a quel momento, si chiamano elementi di prova, perché solo il processo è il luogo nel quale la prova si forma. Questo vale però anche per la mannaia con cui l’idraulico ha sterminato la famiglia fino alla quinta generazione: non è una prova finché non comincia il processo, ma nessuno si lamenterebbe se finisse sui giornali. Riguardo gli omissis e le sintesi, Minzolini dovrebbe sapere che queste o vengono fatte dai giudici per “tagliare” le parti non attinenti con l’inchiesta – e quindi per salvaguardare la privacy degli indagati, guarda un po’ – oppure dai giornalisti, come è loro prerogativa. Lamentarsi degli omississenza indicare dove avrebbe manipolato chi ha usato le forbici è un po’ un nonsense. Non solo: quando le intercettazioni finiscono sui giornali, come in questo caso, è perché qualcuno gliele fornisce. Qualcuno chi, il PM? In questo caso sono state invece coloro che hanno avuto accesso agli atti a fare la soffiata, e tra essi ci sono sicuramente “manine” affezionate agli imputati, come chi li difende. L’interesse al caos nelle indagini è infatti trasversale, mentre l’accusa ha poco interesse a trovarsi in mezzo alle polemiche, specialmente quando, come la procura di Firenze, sa che i procedimenti saranno spostati.
COSA DICE IL DDL – E forse è il caso anche di ricordare cosa dice il Ddl ai più smemorati, sul punto. L’articolo 3, riguardante i limiti per le intercettazioni telefoniche e ambientali, si è detto già tutto: alza da 5 a 10 anni la pena prevista per poterli utilizzare, tranne che per i delitti contro la pubblica amministrazione (grazie al pressing della Lega, altrimenti malversazione e concussione sarebbero rimasti fuori). Interessante che il PM non potrà più disporre la pubblicazione di atti d’inchiesta (art. 10), anche se questo dovesse rivelarsi necessario all’indagine che si sta svolgendo (pensate ad un rapimento…). E l’articolo 12, che riporta tutte le esimenti nel caso che ad essere coinvolto in un reato sia un prete. Ma il più divertente è l‘articolo 15, che riguarda ancora una volta la stampa - chi ha scritto questa legge deve avere una particolare ossessione. La rettifica che chi finisce agli onori delle cronache è solito inviare di default – come se questo fosse una specie di obbligo morale, anche nei mille casi in cui non si smentisce nulla – deve essere pubblicata senza replica da parte del giornalista. “Se domani qualcuno finito in prigione scriverà a un giornale dicendo di non essere mai stato arrestato, la sua missiva dovrà essere pubblicata per forza, senza nemmeno poter ribattere: ‘Cari lettori, guardate che questo signore ci sta scrivendo da San Vittore’”, dice Peter Gomez sempre su L’Espresso.
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