di Michel Chossudovsky
La questione dei diritti umani è diventata il cavallo di battaglia della disinformazione mediatica.
La Cina non è un paese modello per quanto riguarda i diritti umani ma non lo sono neanche gli Stati Uniti e il loro indefettibile alleato britannico, responsabili di molti crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in Iraq e in tutto il mondo. Gli Stati Uniti e i loro alleati, che promuovono la tortura, gli omicidi politici e la creazione di campi di detenzione segreti, continuano a essere presentati all'opinione pubblica come un modello di democrazia occidentale da emulare, contrariamente alla Russia, all'Iran, alla Corea del Nord e alla Repubblica Popolare Cinese.
Due pesi e due misure
Mentre si mettono in evidenza le presunte violazioni dei diritti umani della Cina in Tibet, non si fa parola della recente ondata di uccisioni in Iraq e in Palestina. I media occidentali hanno a malapena ricordato il quinto “anniversario” della “liberazione” dell'Iraq e il bilancio delle uccisioni e delle atrocità perpetrate dagli Stati Uniti contro un'intera popolazione nel nome di una “guerra globale al terrorismo”.
Ci sono stati più di 1,2 milioni di morti tra i civili iracheni, e 3 milioni di feriti. Secondo le cifre dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) 2,2 milioni di profughi iracheni sono fuggiti dal loro paese e 2,4 milioni sono sfollati al suo interno:
“La popolazione dell'Iraq al momento dell'invasione statunitense nel marzo del 2003 era all'incirca di 27 milioni, e oggi è circa di 23 milioni. Un semplice calcolo aritmetico indica che attualmente più di metà della popolazione irachena è sfollata, bisognosa di assistenza, ferita o morta”. (Dahr Jamail, Global Research, December 2007
)
Lo scacchiere geopolitico
Dietro la campagna contro il governo cinese ci sono profondi e radicati obiettivi geopolitici.
I piani di guerra di Stati Uniti, NATO e Israele contro l'Iran sono a uno stadio avanzato. La Cina ha legami economici ed estesi accordi di cooperazione militare bilaterale con l'Iran. Inoltre la Cina è anche un alleato della Russia, del Kazakistan, del Kirghizistan, del Tagikistan e dell'Uzbekistan nell'ambito della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Dal 2005 l'Iran fa parte della SCO con il rango di “osservatore”.
A sua volta la SCO ha legami con la Collective Security Treaty Organization (CSTO), un'intesa di cooperazione militare tra Russia, Armenia, Bielorussia, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan.
Nell'ottobre dello scorso anno la CSTO e la SCO hanno firmato un Memorandum di Intesa che ha gettato le basi di una cooperazione militare tra le due organizzazioni. Questo accordo tra SCO e CSTO, a malapena citato dai mezzi di informazione occidentali, comporta la creazione di un'alleanza militare a tutti gli effetti tra la Cina, la Russia e gli altri stati membri di SCO/CSTO. Vale la pena di notare che la SCTO e la SCO nel 2006 hanno effettuato esercitazioni militari congiunte in coincidenza con quelle condotte dall'Iran. (Per ulteriori dettagli si veda Michel Chossudovsky, Russia and Central Asian Allies Conduct War Games in Response to US Threats, Global Research, August 2006)
Nell'ambito dei piani di guerra contro l'Iran, gli Stati Uniti mirano anche a indebolire gli alleati dell'Iran, in particolare la Russia e la China. Nel caso della Cina, Washington sta cercando di mettere in crisi i legami bilaterali con Teheran e l'avvicinamento di quest'ultima alla SCO, che ha il proprio quartier generale a Pechino.
La Cina è un alleato dell'Iran. L'intento di Washington è quello di usare le presunte violazioni dei diritti umani di Pechino come un pretesto per colpire la Cina, alleata con l'Iran.
Sotto questo aspetto, un'operazione militare diretta contro l'Iran può avere successo solo se viene colpita la struttura delle alleanze militari che legano l'Iran alla Cina e alla Russia. Il Cancelliere tedesco Otto von Bismarck lo capì benissimo con riferimento alla struttura delle alleanze militari rivali prima della prima guerra mondiale. La Triplice Alleanza era un accordo firmato nel 1882 tra la Germania, l'Impero Austro-Ungarico e l'Italia. Nel 1907 un accordo anglo-russo aprì la strada alla formazione della Triplice Intesa costituita da Francia, Regno Unito e Russia.
La Triplice Alleanza si concluse nel 1914 quando l'Italia si ritirò e si dichiarò neutrale, portando così allo scoppio della prima guerra mondiale.
La storia fa capire l'importanza delle alleanze militari contrapposte. Nel contesto attuale, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO stanno cercando di minare la formazione di un'alleanza eurasiatica SCO-CSTO che sarebbe ben capace di sfidare e contenere l'espansionismo militare degli Stati Uniti e della NATO in Eurasia mettendo insieme il potenziale militare non solo di Russia e Cina, ma anche di varie ex-repubbliche sovietiche, tra cui la Bielorussia, l'Armenia, il Kazakistan, il Tagikistan, l'Uzbekistan e il Kirghizistan.
Accerchiare la Cina
Con l'eccezione della sua frontiera settentrionale che confina con la Federazione Russia, la Mongolia e il Kazakistan, la Cina è circondata da basi militari statunitensi.
Il corridoio eurasiatico
Fin dall'invasione e occupazione dell'Afghanistan nel 2001, gli Stati Uniti mantengono una presenza militare sul confine occidentale della Cina, in Afghanistan e in Pakistan. Gli Stati Uniti mirano a costituire basi militari permanenti in Afghanistan, che occupa una posizione strategica confinando con le ex-repubbliche sovietiche, la Cina e l'Iran.
Inoltre a partire dal 1996 gli Stati Uniti e la NATO hanno anche stretto accordi militari con diverse ex-repubbliche sovietiche con il progetto GUUAM (Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbaijan Azerbaigian e Moldavia). Dopo l'11 settembre Washington ha usato il pretesto della “guerra globale contro il terrorismo” per sviluppare ulteriormente la presenza militare degli Stati Uniti nei paesi del GUUAM. L'Uzbekistan si è ritirato dal GUUAM nel 2002. (Adesso l'organizzazione si chiama GUAM).
La Cina ha interessi petroliferi in Eurasia come pure nell'Africa sub-sahariana, e questi interessi sono in conflitto con gli interessi petroliferi anglo-americani.
La posta in gioco è il controllo geopolitico del corridoio eurasiatico.
Nel marzo del 1999 il Congresso degli Stati Uniti adottò il Silk Road Strategy Act (Documento Strategico per la Via della Seta) che definiva i vasti interessi economici e strategici dell'America in una regione che andava dal Mediterraneo Orientale all'Asia Centrale. La Silk Road Strategy (SRS) delinea un quadro di sviluppo dell'impero finanziario americano lungo un esteso corridoio geografico.
Il successo della SRS richiede la contestuale “militarizzazione” del corridoio eurasiatico come strumento per assicurarsi il controllo sulle grandi riserve di gas e greggio e per “proteggere” le rotte dell'energia e i corridoi commerciali. Questa militarizzazione è soprattutto condotta contro la Cina, la Russia e l'Iran.
La militarizzazione del Mare Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan è anch'essa parte integrante di questa strategia che, dopo l'11 settembre, consiste nella proiezione “su diversi fronti”.
Inoltre dopo la fine della Guerra Fredda la Cina resta il potenziale obiettivo di un attacco nucleare preventivo degli Stati Uniti.
Nella Nuclear Posture Review (NPR) del 2002, la Cina e la Russia sono identificate, insieme a una lista di “stati canaglia”, come i potenziali obiettivi di un attacco nucleare preventivo messo in atto dagli Stati Uniti. La Cina viene definita dalla NPR come “un paese che potrebbe essere coinvolto in una contingenza immediata o potenziale”. In particolare, la Nuclear Posture Review cita uno scontro militare sullo status di Taiwan come uno degli scenari che potrebbero indurre Washington a impiegare armi nucleari contro la Cina.
La Cina è stata accerchiata: l'esercito degli Stati Uniti è presente nel Mare Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan, nella Penisola Coreana e nel Mar del Giappone, come pure all'interno dell'Asia Centrale e sul confine occidentale della regione autonoma cinese dello Xinjiang-Uigur. Inoltre, sempre per quanto riguarda l'accerchiamento della Cina, “il Giappone ha gradualmente uniformato e armonizzato le sue politiche militari con quelle degli Stati Uniti e della NATO”. (Si veda Mahdi Darius Nazemroaya, Global Military Alliance: Encircling Russia and China, Global Research, 10 May 2007)
Indebolire la Cina dall'interno: supporto clandestino ai movimenti secessionisti
Coerentemente con la sua politica volta a indebolire e minare la Repubblica Popolare Cinese, Washington appoggia i movimenti secessionisti del Tibet e della regione autonoma dello Xinjiang-Uigur, che confina con il Pakistan nord-orientale e l'Afghanistan.
Nello Xinjiang-Uigur i servizi segreti pachistani (ISI), collegati con la CIA, appoggiano diverse organizzazioni islamiche. Queste ultime comprendono il Partito Riformista Islamico, l'Alleanza per l'Unità Nazionale del Turkestan orientale, l'Organizzaione uigura per la Liberazione e il Partito uiguro del Jihad Centro-Asiatico. Varie di queste organizzazioni islamiche hanno ricevuto supporto e addestramento da Al Qaeda, che è una struttura di intelligence sponsorizzata dagli Stati Uniti. L'obiettivo dichiarato di queste organizzazioni islamiche con base in Cina è la “costituzione di un califfato islamico nella regione” (per ulteriori dettagli si veda Michel Chossudovsky, America's War on Terrorism, Global Research, Montreal, 2005, Chapter 2).
“Il califfato integrerebbe l'Uzbekistan, il Tagikistan, il Kirghizistan (Turkestan Occidentale) e la regione autonoma uigura (Turkestan Orientale) in un'unica entità politica.
Il 'progetto del califfato' va contro la sovranità territoriale cinese. Supportato da varie 'fondazioni' wahabite dei paesi del Golfo, il separatismo sul confine occidentale della Cina è ancora una volta coerente con gli interessi strategici degli Stati Uniti nell'Asia Centrale.
Intanto un potente gruppo di pressione negli Stati Uniti fa arrivare il proprio supporto alle forze separatiste del Tibet.
Promuovendo tacitamente la secessione della regione dello Xinjiang-Uigur (con i servizi segreti pakistani come intermediari), Washington sta tentando di innescare un processo più ampio di destabilizzazione politica della Repubblica Popolare Cinese. Oltre a queste operazioni clandestine, gli Stati Uniti hanno creato basi militari in Afghanistan e in alcune ex-repubbliche sovietiche, proprio sul confine occidentale della Cina.
La militarizzazione del Mare Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan è anch'essa parte integrante di questa strategia”. (Ibid)
I disordini di Lhasa
I violenti disordini di metà marzo nella capitale del Tibet sono stati accuratamente orchestrati. Sono stati seguiti immediatamente da una campagna di disinformazione mediatica supportata da dichiarazioni politiche dei leader occidentali contro la Cina.
Ci sono elementi che fanno pensare che i servizi segreti statunitensi abbiano agito dietro le quinte in quella che vari osservatori hanno descritto come un'operazione attentamente premeditata. (Si veda sotto la nostra analisi).
I fatti di metà marzo a Lhasa non sono stati un movimento di protesta spontaneo e “pacifico” come hanno scritto i media occidentali. Le rivolte che hanno coinvolto una banda di criminali erano premeditate. Erano state attentamente pianificate. Gli attivisti tibetani in India legati al governo del Dalai Lama in esilio “hanno accennato al fatto che si aspettavano i disordini. Ma si rifiutano di elaborare come facessero a saperlo o chi vi avesse collaborato”. (Guerilla News)
Le immagini non suggeriscono tanto una manifestazione di protesta di massa quanto una rivolta guidata da poche centinaia di individui. I monaci buddisti sono stati coinvolti nei disordini. Secondo il China Daily (31 marzo 2008), dietro alle violenze c'era anche il Congresso della Gioventù Tibetana, con base in India, considerato dalla Cina un'organizzazione affiliata al Dalai Lama che pratica la linea dura. I campi d'addestramento del Congresso della Gioventù Tibetana sono finanziati dal National Endowment for Democracy (NED). (si veda il testo delle audizioni al Congresso sull'appoggio fornito dal NED al Congresso della Gioventù Tibetana)
VIDEO: i disordini in Tibet, cosa è veramente successo
I filmati confermano che sono stati colpiti, percossi e in alcuni casi uccisi dei civili. La maggior parte delle vittime era costituita da cinesi Han. Almeno dieci persone sono morte carbonizzate in seguito a incendi dolosi, secondo le dichiarazioni del governo del Tibet. Queste dichiarazioni sono state confermate dai resoconti dei testimoni oculari. Secondo un servizio del People's Daily:
“cinque commessi di un negozio di abbigliamento sono morti carbonizzati prima di riuscire a fuggire. Un uomo alto 1 metro e 70 di nome Zuo Yuancun è stato ridotto a brandelli di pelle carbonizzata e ossa. Un lavoratore migrante è stato colpito al fegato dai criminali. Una donna è stata percossa violentemente dagli aggressori e le è stato tagliato via un orecchio”. (People's Daily, March 22, 2008)
Nel frattempo i media occidentali descrivevano con disinvoltura i saccheggi e i roghi come una “manifestazione pacifica” repressa con la forza dalle autorità cinesi. Non ci sono notizie precise (né nelle fonti cinesi, né in quelle occidentali) sul numero di vittime causate dalla repressione messa in atto dalle forze di polizia cinesi. I servizi occidentali indicano uno spiegamento nella capitale del Tibet di più di 1000 soldati e poliziotti a bordo di carri armati.
Sono stati attaccati esercizi e scuole, e incendiate auto. Secondo fonti cinesi ci sono stati 22 morti e 623 feriti. “I rivoltosi hanno incendiato più di 300 edifici, soprattutto case private, negozi e scuole, e hanno fatto a pezzi automobili e danneggiato strutture pubbliche”.
La pianificazione delle rivolte è stata coordinata con la campagna di disinformazione mediatica che accusava le autorità cinesi di avere istigato i saccheggi e i roghi. Il Dalai Lama ha accusato Pechino di aver “travestito da monaci le sue truppe” per dare l'impressione che dietro le rivolte ci fossero i monaci buddhisti. Le accuse si basavano su una fotografia risalente a quattro anni fa che ritrae dei soldati che si accingono a vestirsi da monaci per uno spettacolo (si veda il South China Morning Post, 4 aprile 2008).
“Il quotidiano continentale [il People's Daily] ha scritto che le forze di sicurezza che hanno spento le rivolte di Lhasa non avrebbero potuto indossare le uniformi mostrate nella fotografia perché si trattava di uniformi estive, inadatte al clima rigido di marzo.
Ha anche spiegato che la Polizia Armata del Popolo nel 2005 era passata alle nuove uniformi, caratterizzate dalle mostrine sulle spalle. Gli ufficiali armati mostrati nella foto indossavano le vecchie uniformi, abbandonate nel 2005... L'agenzia di stampa Xinhua ha detto che la fotografia era stata scattata durante uno spettacolo anni fa, quando i soldati prima di esibirsi avevano preso in prestito gli abiti dei monaci”. (Ibid)
L'accusa del Dalai Lama secondo la quale le autorità cinesi avrebbero istigato le rivolte, che è stata ripresa dalla stampa occidentale, è supportata dalla dichiarazione di un ex funzionario del Partito Comunista, Ruan Ming, che “afferma che il Partito Comunista Cinese ha orchestrato sapientemente i disordini in Tibet per costringere il Dalai Lama a dimettersi e per giustificare la futura repressione dei tibetani. Ruan Ming in passato scriveva i discorsi dell'ex-segretario generale del Partito Comunista Hu Yaobang”. (citato in The Epoch Times).
Il ruolo dei servizi segreti statunitensi
L'organizzazione dei disordini di Lhasa fa parte di uno schema coerente. Costituisce un tentativo di innescare conflitti etnici in Cina e fa gli interessi della politica estera statunitense.
Che parte hanno avuto i servizi segreti statunitensi nell'attuale ondata di proteste per il Tibet?
Data la natura segreta delle operazioni di intelligence, non ci sono prove tangibili di un coinvolgimento diretto della CIA. Tuttavia alcune organizzazioni tibetane legate al “governo in esilio” del Tibet sono notoriamente supportate dalla CIA e/o dal National Endowment for Democracy (NED), braccio civile della CIA.
Il coinvolgimento della CIA nel supportare segretamente il movimento secessionista tibetano risale alla metà degli anni Cinquanta. Il Dalai Lama è stato sul libro paga della CIA dalla fine degli anni Cinquanta fino al 1974:
“La CIA condusse una campagna su vasta scala contro i comunisti cinesi in Tibet a partire dal 1956. Questo portò nel 1959 a una rivolta sanguinosa e disastrosa in cui persero la vita decine di migliaia di tibetani, mentre il Dalai Lama e circa 100.000 seguaci furono costretti a fuggire attraverso i passi Himalayani in India e in Nepal.
La CIA creò a Camp Hale, nei pressi di Leadville, Colorado, USA, un campo di addestramento militare segreto per i guerriglieri del Dalai Lama. I guerriglieri tibetani furono addestrati ed equipaggiati dalla CIA per combattere e compiere operazioni di sabotaggio contro i comunisti cinesi.
I guerriglieri addestrati negli Stati Uniti condussero regolarmente incursioni in Tibet, guidati a volte da mercenari della CIA e con il supporto degli aerei della CIA. Il programma di addestramento iniziale si concluse nel dicembre del 1961, anche se sembra che il campo del Colorado sia rimasto aperto fino al 1966.
La Task Force tibetana della CIA creata da Roger E. McCarthy, insieme all'esercito tibetano, proseguì l'operazione (nome in codice ST CIRCUS) di disturbo delle truppe cinesi per altri 15 anni fino al 1974, quando il coinvolgimento sancito ufficialmente cessò.
McCarthy, che fu anche capo della Task Force tibetana all'apice della sua attività dal 1959 al 1961, passò poi a condurre operazioni simili in Vietnam e nel Laos.
Verso la metà degli anni Sessanta la CIA cambiò strategia: dopo aver paracadutato per anni guerriglieri e spie sul Tibet passò alla costituzione del Chusi Gangdruk, un esercito di circa 2000 guerriglieri di etnia khamba, in basi come Mustang nel Nepal.
Questa base fu chiusa solo nel 1974 dal governo nepalese dopo forti pressioni di Pechino.
Dopo la Guerra d'Indocina del 1962, la CIA sviluppò stretti legami con i servizi segreti indiani, sia per l'addestramento che per la fornitura di agenti in Tibet”. (Richard Bennett, Tibet, the 'great game' and the CIA, Global Research, March 2008)
Il National Endowment for Democracy (NED)
Il National Endowment for Democracy (NED), che fa pervenire aiuti finanziari ai gruppi di opposizione stranieri filo-americani, ha avuto un ruolo significativo nell'innescare “rivoluzioni di velluto” utili agli interessi geopolitici ed economici di Washington.
Il NED, anche se formalmente non fa parte della CIA, svolge un'importante funzione di intelligence nella sfera dei partici politici e delle organizzazioni non governative. Venne creato nel 1983, quando la CIA era accusata di corrompere politici e di formare organizzazioni della società civile fasulle. Secondo Allen Weinstein, che fu il responsabile della costituzione del NED durante l'amministrazione Reagan: “Molto di quello che facciamo noi oggi 25 anni fa veniva fatto segretamente dalla CIA”. (Washington Post, Sept. 21, 1991).
Il NED opera attraverso quattro organi fondamentali: il National Democratic Institute for International Affairs (NDIIA), l'International Republican Institute (IRI), l'American Center for International Labor Solidarity (ACILS) e il Center for International Private Enterprise.
Il NED ha finanziato le organizzazioni della “società civile” venezuelane che hanno tentato un golpe contro il presidente Hugo Chavez. Ad Haiti il NED ha finanziato i gruppi d'opposizione che stavano dietro l'insurrezione armata che ha contribuito alla deposizione del presidente Bertrand Aristide nel febbraio del 2004. Il colpo di stato di Haiti è stato il risultato di un'operazione militare e di intelligence attentamente orchestrata. (Si veda Michel Chossudovsky, The Destabilization of Haiti, Global Research, February 2004)
Il NED finanzia varie organizzazioni per il Tibet sia all'interno sia fuori della Cina. La principale organizzazione pro-Dalai Lama per l'indipendenza del Tibet finanziata dal NED è l'International Campaign for Tibet (ICT), fondata a Washington nel 1988. L'ICT ha sedi a Washington, Amsterdam, Berlino e Bruxelles. Diversa dalle altre organizzazioni per il Tibet finanziate dalla NED, l'ICT ha strettissimi legami e aree comuni con il NED e il Dipartimento di Stato USA:
“Alcuni direttori dell'ICT sono anche membri dell'establishment impegnato nella 'promozione della democrazia', come Bette Bao Lord (che presiede Freedom House e dirige il Freedom Forum), Gare A. Smith (che è stato vice segretario aggiunto al Bureau of Democracy, Human Rights and Labor del Dipartimento di Stato), Julia Taft (ex-direttore del NED, ex segretario di stato aggiunto e coordinatore speciale per le questioni tibetane, ha lavotato per l'USAID ed è stata anche presidente e amministratore delegato di InterAction), e infine Mark Handelman (che è anche direttore della National Coalition for Haitian Rights, un'organizzazione il cui lavoro è ideologicamente legato agli interventi del NED ad Haiti).
Anche del consiglio dell'ICT fanno parte due persone strettamente legate al NED, Harry Wu e Qiang Xiao (che è l'ex-direttore esecutivo dell'organizzazione Human Rights in China, finanziata dal NED).
Il consiglio internazionale dell'ICT comprende anch'esso famosi 'democratici' come Vaclav Havel, Fang Lizhi (che almeno nel 1995 era tra i dirigenti di Human Rights in China), Jose Ramos-Horta (che è nel consiglio internazionale del Democracy Coalition Project), Kerry Kennedy (che è direttore del China Information Center, finanziato dal NED), Vytautas Landsbergis (patrocinatore della neoconservatrice Henry Jackson Society, con sede in Gran Bretagna – v. Clark, 2005), e fino alla morte avvenuta di recente, la 'levatrice dei neocon' Jeane J. Kirkpatrick (che era anche legata a realtà 'democratiche' come Freedom House e la Foundation for the Defense of Democracies)”. (Michael Barker, "Democratic Imperialism": Tibet, China, and the National Endowment for Democracy Global Research, August 13, 2007)
Tra le altre organizzazioni per il Tibet finanziate dal NED ci sono la Students for a Free Tibet (SFT) di cui abbiamo già parlato. La SFT è stata costituita nel 1994 a New York City “come progetto dell'US Tibet Committee e dell'International Campaign for Tibet (ICT), finanziata dal NED. La SFT è nota per aver steso uno striscione di 140 metri sulla Grande Muraglia” (F. William Engdahl, Risky Geopolitical Game: Washington Plays ‘Tibet Roulette’ with China, Global Research, April 2008).
La SFT, insieme ad altre cinque organizzazioni per il Tibet, lo scorso gennaio ha proclamato “l'inizio di una 'sollevazione del popolo tibetano'... e ha contribuito a creare un ufficio temporaneo per il suo coordinamento e finanziamento”. (Ibid)
“Il NED finanzia anche il Tibet Multimedia Center per 'la diffusione delle informazioni relative alla lotta per i diritti umani e la democrazia in Tibet', basato anch'esso a Dharamsala. E sempre il NED finanzia anche il Tibetan Center for Human Rights and Democracy”. (Ibid)
C'è una divisione di compiti tra la CIA e il NED. Mentre la CIA fornisce segretamente supporto a gruppi ribelli paramilitari armati e a organizzazioni terroristiche, il NED finanzia i partiti politici della “società civile” e le organizzazioni non governative per instaurare la “democrazia americana” nel resto del mondo.
Il NED è, per così dire, il “braccio civile” della CIA. Gli interventi di CIA e NED nelle varie parti del mondo sono caratterizzati da uno schema ricorrente.
Operazione psicologica: screditare la leadership cinese
L'obiettivo a breve termine è quello di screditare la leadership cinese nei mesi che precedono i Giochi Olimpici di Pechino, usando la campagna in Tibet per distrarre l'opinione pubblica dalla guerra in Medio Oriente e dai crimini di guerra commessi da Stati Uniti, NATO e Israele.
Le presunte violazioni cinesi dei diritti umani vengono messe in evidenza per dare un volto umano alla guerra degli Stati Uniti in Medio Oriente.
I piani di guerra promossi dagli Stati Uniti contro l'Iran vengono ora giustificati con il rifiuto di Teheran di conformarsi alle richieste della “comunità internazionale”.
Con il Tibet in prima pagina la vera crisi umanitaria in Medio Oriente non fa più notizia.
Più in generale, si distorce l'intera questione dei diritti umani: le realtà sono capovolte, i numerosi crimini commessi dagli Stati Uniti e dai loro alleati sono nascosti o giustificati come strumenti proteggere la società contro i terroristi.
Nel valutare le violazioni dei diritti umani sono stati introdotti due pesi e due misure. In Medio Oriente il massacro di civili viene classificato come danno collaterale. È giustificato come parte della “guerra globale al terrorismo”. Si dice che le vittime sono responsabili della loro stessa morte.
La torcia olimpica
La manifestazioni di protesta nelle capitali occidentali contro le violazioni cinesi dei diritti umani sono state organizzate con grande tempestività.
Sembra ora possibile che si verifichi un boicottaggio parziale dei Giochi Olimpici. Il ministro degli esteri francese Bernard Kouchner (che sostiene gli interessi americani e fa parte del Gruppo Bilderberg), ha proposto il boicottaggio della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici. Secondo Kouchner l'idea andrebbe discussa durante un incontro dei ministri degli esteri dell'Unione Europea.
La torcia olimpica è stata accesa in Grecia durante una cerimonia turbata dagli “attivisti pro-tibetani”. L'azione è stata promossa da “Reporter Senza Frontiere”, organizzazione che ha noti legami con i servizi segreti statunitensi. (Si veda Diana Barahona, Reporters Without Borders Unmasked, May 2005). “Reporter Senza Frontiere” riceve finanziamenti anche dal National Endowment for Democracy (NED).
La torcia olimpica è simbolica. L'Operazione psicologica consiste nel prendere di mira la torcia nei mesi che precedono i Giochi Olimpici di Pechino.
A ogni tappa di questo processo la leadership cinese viene denigrata dai media occidentali.
Implicazioni economiche globali
La campagna per il Tibet contro la leadership cinese potrebbe avere dei contraccolpi
Ci troviamo nel punto critico della più grave crisi economica e finanziaria della storia moderna. La crisi è strettamente connessa con l'avventura militare promossa dagli Stati Uniti in Medio Oriente e nell'Asia Centrale.
La Cina ha un ruolo strategico per quanto riguarda l'espansionismo militare statunitense. Per ora non ha esercitato il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in merito alle varie risoluzioni del Consiglio promosse dagli Stati Uniti e dirette contro l'Iran.
La Cina ha anche un ruolo centrale nel sistema economico e finanziario globale.
In seguito a un surplus commerciale da record, la Cina ora ha 1,5 milioni di miliardi di dollari in strumenti di debito statunitensi (compresi Buoni di Tesoro). Dunque è in grado di mandare in crisi i mercati valutari internazionali. Il dollaro statunitense crollerebbe ulteriormente se la Cina dovesse vendere i suoi titoli di debito denominati in dollari. (Per ulteriori dettagli si veda F. William Engdahl, op. cit.)
Inoltre la Cina è il maggior produttore di una vasta gamma di beni lavorati che costituiscono, per l'Occidente, una quota consistente del consumo domestico mensile. I giganti occidentali della vendita al dettaglio contano sul flusso continuo e ininterrotto di articoli di consumo a basso costo dalla Cina.
Per i paesi occidentali l'ingresso della Cina nelle strutture globali del commercio, dell'investimento, della finanza e dei diritti di proprietà intellettuale della World Trade Organization (WTO) è fondamentale. Se Pechino decidesse di ridurre le sue esportazioni negli Stati Uniti di prodotti “Made in China”, l'ormai fragile base produttiva americana non sarebbe in grado di colmare il divario, almeno non nell'immediato.
Inoltre gli Stati Uniti e i loro alleati come il Regno Unito, la Germania, la Francia e il Giappone hanno importanti interessi nel settore degli investimenti in Cina. Nel 2001 gli Stati Uniti e la Cina hanno firmato un accordo commerciale bilaterale in attesa dell'ingresso della Cina nella WTO. Questo accordo consente agli investitori statunitensi, comprese le principali istituzioni finanziarie di Wall Street, di posizionarsi nel sistema finanziario di Shanghai e nel mercato bancario cinese.
Ma se sotto certi aspetti la Cina è ancora la “colonia della produzione a basso costo” dell'Occidente, i rapporti della Cina con il sistema commerciale globale non sono assolutamente inalterabili.
I rapporti della Cina con il capitalismo globale hanno le proprie radici nella “Politica della Porta Aperta” formulata nel 1979. (Michel Chossudovsky, Towards Capitalist Restoration. Chinese Socialism after Mao, Macmillian, London, 1986, chapters 7 and 8)
Fin dagli anni Ottanta la Cina è diventata per i mercati occidentali il principale fornitore di prodotti industriali. Qualsiasi minaccia rivolta contro la Cina e/o qualsiasi iniziativa militare diretta contro gli alleati eurasiatici della Cina, compreso l'Iran, potrebbe compromettere le esportazioni cinesi di articoli di consumo.
La base industriale della Cina, orientata all'esportazione, è fonte di formidabile ricchezza per le economie capitaliste avanzate. Da dove viene la ricchezza della famiglia Walton, proprietaria di WalMart? WalMart non produce niente. Importa articoli economici “Made in China” e li rivende sul mercato al dettaglio statunitense a un prezzo moltiplicato per dieci.
Questo processo di sviluppo basato sulle importazioni ha permesso ai paesi “industrializzati” occidentali di chiudere gran parte delle loro fabbriche. A loro volta, le industrie cinesi con manodopera a basso costo servono a generare i profitti multimiliardari delle corporazioni occidentali, compresi i giganti della vendita al dettaglio che comprano oppure delocalizzano la loro produzione in Cina.
Qualsiasi minaccia di natura militare diretta contro la Cina potrebbe avere conseguenze economiche devastanti, ben peggiori della nota spirale ascendente del prezzo del greggio.
Traduzione a cura di Manuela Vittorelli
Michel Chossudovsky dirige il Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione. Ha scritto vari bestseller internazionali, tra cui The Globalization of Poverty and the New World Order, Global Research, 2003 e America's "War on Terrorism", Global Research, 2005. È collaboratore dell'Encyclopedia Britannica. I suoi scritti sono stati tradotti in più di 20 lingue.
Michel Chossudovsky è anche autore del primo studio esaustivo sulla restaurazione del capitalismo in Cina, pubblicato più di vent'anni fa, Michel Chossudovsky, Towards Capitalist Restoration. Chinese Socialism after Mao, Macmillian, London, 1986. È appena tornato da un viaggio in Cina. È stato a Shanghai e Pechino nel marzo del 2008.
Fonte:
Global Research, 13 aprile 2008
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