Intervista allo studioso britannico Martin Jacques, autore di "When China rules the world"
"Non sono attrezzati ad accettare la loro diversità. Ma Pechino offre una vera egemonia fuori dall'Occidente"
dal corrispondente di Repubblica FEDERICO RAMPINI
Martin Jacques
NEW YORK - "When China rules the world", quando la Cina governerà il mondo. Un titolo che è un pugno nello stomaco. O un incubo. Sarà per questo che il saggio di Martin Jacques, uscito in Inghilterra e negli Stati Uniti, è stato tradotto in Cina, Taiwan, Giappone, Indonesia, ma in nessun paese dell'Europa continentale? E' troppo duro per noi confrontarci con le tesi di Jacques? "L'Europa - sorride lo studioso britannico - ha abbandonato lo sforzo di elaborare un'idea del futuro. Ai cinesi sa esprimere solo una serie di lamentele che si possono riassumere in una sola: perché non siete come noi?"
Ma in questo libro lei non fa sconti neppure all'America. Nel sottotitolo evoca "la fine del mondo occidentale e la nascita di un nuovo ordine globale". La classe dirigente Usa può accettare questa prospettiva?"Gli Stati Uniti sono impreparati di fronte all'ascesa della Cina. Non l'hanno capita, ne hanno sottovalutato la portata. Solo dall'ultima crisi finanziaria le élite americane hanno cominciato ad avvertire il declino del loro paese. Non molto tempo prima, si cullavano ancora in un'idea d'invincibilità. C'è stata da parte delle élite americane una diabolica incomprensione della storia".
Che cosa fa velo, per capire la Cina?"Il fatto di averla considerata una nazione destinata a un futuro come il nostro, cioè a diventare una società simil-occidentale. E' stata dedicata scarsa attenzione alla possibilità che la Cina, pur trasformandosi, rimanga profondamente diversa da noi. L'America non è attrezzata ad accettare una diversità così radicale".
Il viaggio di Obama in Cina a novembre fu preceduto da enormi aspettative, si parlò della nascita di un G2. Da quel momento in poi tutto è andato storto. Copenaghen, Google, Taiwan, Tibet: la Cina è diventata "la potenza che dice no", agli occhi dell'Occidente.
"Le reazioni a quel viaggio sono emblematiche di quanto la classe dirigente e l'opinione pubblica americana siano impreparate. Obama è stato accusato di essere troppo cauto. Invece è stato realistico, ha tenuto conto dei nuovi equilibri di potere. Le priorità dei dirigenti di Pechino sono chiare. Al primo posto c'è la crescita economica indispensabile per sradicare la povertà ancora estesa in ampie aree del paese. Al secondo posto, e di conseguenza, la Repubblica Popolare deve garantirsi le relazioni internazionali più favorevoli per perseguire il primo obiettivo. Inclusa una relazione positiva con gli Stati Uniti. All'interno di questo rapporto, è vero che la Cina si è fatta più sicura di sé, più determinata, più consapevole dei nuovi rapporti di forze. I cinesi sono straordinariamente pazienti. Hanno un visione a lungo termine. Anzi: lunghissimo".
Nel suo saggio lei proietta un'ascesa della Cina ben oltre la sfera economica, politica, militare. Ma perché la Cina possa davvero dominare il mondo, dovrà competere con l'America anche sul terreno culturale. Può farlo?"La Cina ha una civiltà ben più ricca degli Stati Uniti. La sua tradizione di uno Stato centrale ha duemila anni di storia. Altri aspetti della sua civiltà sono molto più antichi. Ha una delle lingue più ricche e più antiche del mondo. Per proiettarsi all'esterno con una capacità egemonica occorrono avere risorse culturali e modernità. La cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino nell'agosto 2008 fu un interessante esempio di come la Cina adesso possa rielaborare la propria storia proponendola attraverso le tecniche di comunicazione e di spettacolo più moderne".
Resta una diversità irriducibile, che ci rende difficile accettare la prospettiva di un'egemonia cinese: abbiamo valori incompatibili, la democrazia liberale e i diritti umani."Per questa ragione l'Occidente sarà il più refrattario alla penetrazione culturale cinese, e cercherà di resistere. La Cina ha meno da offrirci. Ma ha già compiuto delle avanzate notevoli in tutto il resto del mondo. Nei paesi emergenti la Cina rappresenta una valida alternativa a quel modello che fu definito il "Washington consensus". In particolare durante l'ultima crisi economica, Pechino ha dato ulteriori prove di avere uno Stato molto efficiente, più efficiente dei nostri. In futuro tutto il dibattito sul ruolo dello Stato dovrà tener conto del modello cinese. L'egemonia è fatta anche di questo: istituzioni che danno risultati".
Come dovrebbe comportarsi l'Occidente?"L'Occidente vede se stesso come la più cosmopolita fra tutte le culture. E' un curioso rovesciamento: in realtà siamo i più provinciali. Tutte le altre civiltà, dal XVIII secolo in poi hanno dovuto confrontarsi con un avversario più forte. La colonizzazione europea, poi l'americanizzazione, hanno sottoposto gli altri a uno sconvolgimento. Sono stati costretti, anche con la forza, a "diventare cosmopoliti". Noi non siamo passati attraverso questa esperienza. Di conseguenza siamo i più ignoranti. L'ascesa della Cina sarà per noi un apprendimento. Ci saranno aspetti che non amiamo affatto di quella civiltà, altri che scopriremo interessanti. Lo spostamento del potere dagli Stati Uniti verso la Cina è un processo secolare, inevitabile. Non dipende dalle singole scelte, o dai singoli errori, che questa o quella Amministrazione americana può fare. Sono in movimento forze più profonde, che vanno al di là dell'influenza dei nostri leader".
Nel suo saggio lei proietta un'ascesa della Cina ben oltre la sfera economica, politica, militare. Ma perché la Cina possa davvero dominare il mondo, dovrà competere con l'America anche sul terreno culturale. Può farlo?"La Cina ha una civiltà ben più ricca degli Stati Uniti. La sua tradizione di uno Stato centrale ha duemila anni di storia. Altri aspetti della sua civiltà sono molto più antichi. Ha una delle lingue più ricche e più antiche del mondo. Per proiettarsi all'esterno con una capacità egemonica occorrono avere risorse culturali e modernità. La cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino nell'agosto 2008 fu un interessante esempio di come la Cina adesso possa rielaborare la propria storia proponendola attraverso le tecniche di comunicazione e di spettacolo più moderne".
Resta una diversità irriducibile, che ci rende difficile accettare la prospettiva di un'egemonia cinese: abbiamo valori incompatibili, la democrazia liberale e i diritti umani."Per questa ragione l'Occidente sarà il più refrattario alla penetrazione culturale cinese, e cercherà di resistere. La Cina ha meno da offrirci. Ma ha già compiuto delle avanzate notevoli in tutto il resto del mondo. Nei paesi emergenti la Cina rappresenta una valida alternativa a quel modello che fu definito il "Washington consensus". In particolare durante l'ultima crisi economica, Pechino ha dato ulteriori prove di avere uno Stato molto efficiente, più efficiente dei nostri. In futuro tutto il dibattito sul ruolo dello Stato dovrà tener conto del modello cinese. L'egemonia è fatta anche di questo: istituzioni che danno risultati".
Come dovrebbe comportarsi l'Occidente?"L'Occidente vede se stesso come la più cosmopolita fra tutte le culture. E' un curioso rovesciamento: in realtà siamo i più provinciali. Tutte le altre civiltà, dal XVIII secolo in poi hanno dovuto confrontarsi con un avversario più forte. La colonizzazione europea, poi l'americanizzazione, hanno sottoposto gli altri a uno sconvolgimento. Sono stati costretti, anche con la forza, a "diventare cosmopoliti". Noi non siamo passati attraverso questa esperienza. Di conseguenza siamo i più ignoranti. L'ascesa della Cina sarà per noi un apprendimento. Ci saranno aspetti che non amiamo affatto di quella civiltà, altri che scopriremo interessanti. Lo spostamento del potere dagli Stati Uniti verso la Cina è un processo secolare, inevitabile. Non dipende dalle singole scelte, o dai singoli errori, che questa o quella Amministrazione americana può fare. Sono in movimento forze più profonde, che vanno al di là dell'influenza dei nostri leader".
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