17 marzo 2010

Taiwan e il ministro che non voleva il boia



Con la comunità internazionale distratta dalle tiatribe sino-americane - commerci, Tibet, Google - è successo a Taiwan qualcosa che ha deviato dalla prevedibilità.
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BRACCIO DELLA MORTE
 Non, dunque, l'ormai famigerata vendita di armi Usa al governo di Taipei, che tanto malumore ha suscitato a Pechino. E' accaduto invece che il ministro della Giustizia, la nazionalista Wang Ching-feng, avesse dichiarato di non aver alcuna intenzione di firmare il via libera per le condanne alla pena capitale. Anzi, la signora ha affermato che sarebbe stata disposta "ad andare all'inferno" pur di evitare che i 40 e poco più condannati nel braccio della morte dell'isola finissero in mano al boia. Scandalo. Il ministro Wang è stata attaccata non solo da vip, ma dai compagni del suo stesso partito, il Kuomintang del presidente Ma Ying-jeou.
MORATORIA DI FATTO Scaricata anche da Ma, alla Wang non è rimasto che lasciare, senza riuscire ad attuare quella moratoria di fatto introdotta 5 anni fa dal predecessore, esponente del partito d'opposizione Dpp dell'ex leader Chen Shui-bian. Resta la pionieristica presa di posizione del ministro Wang, rara nel mondo cinese e confuciano in generale, visto che sulla pena capitale sia in Corea del Sud sia in Giappone c'è un consenso diffuso. Se lo slancio di Wang Ching-fen non è stato vano lo si capoirà osservando nei prosimi mesi cos'accade a Taipei.

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