03 agosto 2010

Il premier e le profezie (sbagliate) sui «nemici»


Nel '94 pronosticò la fine di Bossi, ma due anni dopo il senatur ottenne un successo «storico»

PREVISIONI | SONDAGGI «CATASTROFICI» ANCHE SU CASINI, DINI E FINI


Allegria: Berlusconi non crede alla jella. Una buona notizia, nel Paese della smorfia, del «curnaciell' 'e corall'» e di Amelia, la fattucchiera che ammalia. Non fosse così, mai e poi mai si sarebbe avventurato a prevedere per Fini un futuro elettorale desolante se non disastroso. Ogni volta che l'ha fatto con gli alleati in fuga, infatti, ha portato bene. A loro.
1996 -Dopo il ribaltone del '94, Berlusconi dava Bossi per spacciato: «La Lega  è sotto l'1%». Alle elezioni del '96 però il Carroccio  supera il 10%, il suo massimo storico (Emblema)
1996 -Dopo il ribaltone del '94, Berlusconi dava Bossi per spacciato: «La Lega è sotto l'1%». Alle elezioni del '96 però il Carroccio supera il 10%, il suo massimo storico (Emblema)
Ma li avete mai letti i reportage di Charles Dickens sulDaily Mirror 
poi raccolti in «Visioni d'Italia» sul delirio italico per la smorfia? Racconta due episodi indimenticabili. Il primo su un cavallo imbizzarrito che aveva sbalzato di sella il cavaliere riducendolo in fin di vita: «Dietro il cavallo correva intanto a incredibile velocità un altro uomo, uno sconosciuto così lesto che si trovò sul posto appena dopo la caduta. Costui si gettò in ginocchio accanto al disgraziato che giaceva moribondo, gli prese la mano con l'espressione del più vivo dolore e disse: - Se ancora sei vivo, dimmi una parola, una sola! Se ancora ti rimane un soffio, dimmi quanti anni hai, fammeli giocare al lotto, per amore del Cielo!». Il secondo, se possibile, è ancora peggiore. Visto il boia decapitare un uomo in piazza, lo scrittore annota sconcertato: «I giocatori del lotto, che speculano su tutto, si mettono nei posti più comodi per contare le gocce di sangue che sprizzano di qua e di là; e poi puntano su quel numero».
Insomma, abbiamo pessimi precedenti. Anche in politica. Si pensi a Enrico de Nicola, il primo presidente della Repubblica, che stando alle leggende si era preso per segretario un gobbo, faceva cucire la fodera della vecchia borsa del suo primo processo dentro le borse nuove e teneva un cassetto pieno di spille, cornetti, ferri di cavallo. O Giovanni Leone, che il giorno del sopralluogo al Vajont si oppose a far salire sull'elicottero un fotografo (sorteggiato tra tutti i colleghi) perché con lui a bordo sarebbero stati in 13: «Preside', c'ho er pool». «E io tengo tre figli». Per non dire di quel parlamentare che aveva tale fama di menagramo da far segnare un record insuperabile: l'unica intervista al mondo in cui il nome dell'intervistato non era citato né nel titolo, né nell'articolo, né nella didascalia della foto. E come dimenticare l'onorevole Lucio Barani, che come sindaco di Aulla diede una consulenza alla maga Mirka per rimuovere la sfiga cosmica cagionata alla Provincia di Massa Carrara da Iosif Stalin, Pol Pot, Giovanni Quarantillo e altri comunisti toscani?
Va da sé che, con quel po' po' di passato, è una consolazione per tutti gli italiani di sobria razionalità illuminista avere alla guida del Paese un uomo che non dà peso a queste cose. Non vorremmo però essere nei panni di un berlusconiano scaramantico. Di quelli che si giocano al lotto la cinquina 21 (la donna nuda), 46 (i soldi), 51 (il giardino: vedi le meraviglie di villa Certosa), 55 (la musica, dati i successi con Apicella) e 70 (il palazzo del potere). In quel caso, ahi ahi...
Stando alle cronache, il Cavaliere avrebbe detto nei giorni scorsi ai suoi collaboratori: «Fini da solo vale solo l'1,4%». Tesi confermata, a dispetto delle stime di Renato Mannheimer, da Alessandra Ghisleri, la sondaggista preferita: «Fini, da solo, può contare su una percentuale di voti che oscilla tra l'uno e il tre per cento dei voti. In alleanza col centrosinistra varrebbe tra l'uno e il due per cento». Un futuro a tinte fosche solo in parte aggiustato da qualche rialzo successivo. Auguri.
Quando si smarcò Pier Ferdinando Casini, quattro anni fa, in occasione di un appoggio al governo Prodi sull'Afghanistan, gli auspici non erano stati diversi. Titolo Ansa: «Berlusconi: strada Casini non paga, sondaggi Udc a picco». Il Giornale berlusconiano sparò in prima pagina: «Ecco quanti elettori perde l'Udc che vota Prodi». Titolo di catenaccio: «Sondaggio per il Giornale: solo 2 su 10 con il leader. E se il partito esce dalla Cdl il 45% non lo voterà più». Compiuto lo strappo definitivo nei primi mesi del 2008, Sua Emittenza se la prendeva con i sondaggisti a suo avviso succubi di Walter Veltroni: «Secondo loro l'Udc è al 6%, mentre per i nostri è al 3,8%, è un modo scorretto di portare avanti l'informazione elettorale». Casini sorride al ricordo: «Ogni giorno ne diceva una: che eravamo sotto l'1%, che avevamo solo lo 0,8%, che potevamo arrivare all'1,4%...». Finì come sappiamo: l'Udc superò di slancio il quorum, arrivò al 5,6% e conquistò quei 36 deputati che oggi tanto farebbero comodo alla destra dopo la scelta di Gianfranco Fini.
2008 - Dopo l'appoggio di Casini al governo Prodi sull'Afghanistan, Berlusconi predisse la sconfitta elettorale dell'Udc che però, alla prova del voto, superò il quorum con il 5,6%  (Ansa)
2008 - Dopo l'appoggio di Casini al governo Prodi sull'Afghanistan, Berlusconi predisse la sconfitta elettorale dell'Udc che però, alla prova del voto, superò il quorum con il 5,6% (Ansa)
Né era andata diversamente, anni prima, con Lamberto Dini
, il ministro del Tesoro del primo governo delle destre, reo di aver messo su un governo tecnico inviso («Serve a mascherare che governano comunisti e alleati. È il maggiordomo del Quirinale») al Cavaliere. «Sappiamo in base ai nostri dati, che la lista Dini non raggiungerà il 4%», sentenziò Berlusconi. «Arriverà al 3,3%», certificò quello che era allora il suo sondaggista preferito, Luigi Crespi di Datamedia. Dini passò il quorum e, miracolo, prese 26 seggi.
Il capolavoro del Cavaliere nelle vesti della Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo, resta però la raffica di sondaggi sulla Lega e su Umberto Bossi dopo la rottura che fece cadere il primo governo Berlusconi. «Voi non lo capite», spiegò ai suoi collaboratori più preoccupati, stando alla cronaca di Augusto Minzolini, due giorni prima di essere costretto a passar la mano a Dini, «ma Bossi è un cadavere. Ho fatto un'operazione che porterà il Polo al 60%». «Se la Lega si spaccherà e quella "buona" resterà dentro il Polo», disse la settimana dopo, «il Carroccio di Bossi resterà con uno zoccolo duro del 2%».
E via così, per mesi: «La Lega è scesa sotto il 3%», «Quel traditore di Bossi resterà con pochi intimi», «La Lega rischia di sparire», «La Lega vale l'1,8%», «La Lega ha poco più dell'1%, mi viene da ridere. Gli elettori leghisti non ne vogliono sapere di votare ancora Lega con Bossi leader». «La Lega è sotto 1'1%».
Finì, alle elezioni del 1996, con il massimo successo leghista di tutti i tempi: oltre il 10%. Con un bottino di 3.776.354 voti. Cioè 749.510 più di quanti ne avrebbe avuti alle politiche del trionfale appuntamento del 2008. Per carità: altri tempi, altra situazione, altra Italia. Ma c'è quanto basta perché Gianfranco Fini oggi possa avere qualche speranzella in più: vuoi vedere che le previsioni catastrofiche del Cavaliere portano fortuna?

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