18 settembre 2010

11 settembre (2001) e 17 settembre (1982): i due pesi e due misure che stritolano la nostra morale. E la nostra credibilità

Di Pino Nicotri.


La profonda ipocrisia e disonestà, nel senso anche di malafede, dell’Occidente, cioè dell’Europa e degli Usa, appaiono in tutta la loro grave enormità dal confronto tra queste due date e relative rimembranze: 11 settembre 2001 e 17 settembre 1982. La prima data è - come sanno anche i sassi - quella dell’abbattimento delle Twin Tower di New York. Ma la seconda? Chi di noi occidentali se la ricorda? No, non è la presa di Porta Pia, quella è del 19 settembre, se non erro?  Non ricordate, vero? E’ il giorno della strage di Sabra e Chatila.Vale a dire, della terribile mattanza - tra i 3 e i 6 mila civili ammazzati a sangue freddo, le donne e le bambine dopo essere state stuprate, le donne incinta dopo essere state sventrate e massacrate con il feto messo loro in braccio - fatta eseguire a Beirut dai militari israeliani alle milizie collaborazioniste dei falangisti cristiani nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila.
Per i 2.750 morti delle Twin Tower (cifra recente di Repubblica), che l’approssimazione giornalistica anche della Rai fa diventare sempre “oltre 3.000″, è stata immediatamente scatenata l’invasione dell’Afganistan e ogni anno si fanno celebrazioni e ricordi vari non solo nei giorni che cadono l’11 settembre. In più, suoniamo a rotta di collo la grancassa del dolore, esibito in modo forse eccessivo, e delle accuse all’islam intero. Al punto da scatenare una campagna contro “la moschea a Ground Zero”, sorvolando disinvoltamente - as usual - che non si tratta niente affatto di Ground Zero. E’ come urlare contro una moschea in piazza S. Pietro a Roma mentre invece la si fa in corso Vittorio Emanuele, o a Milano contro una moschea in piazza Duomo mentre invece si tratta di farla in piazza Cavour o in piazzale Augusto. Insomma, il solito nostro barare.

Per il massacro a sangue freddo di Sabra e Chatila, uno dei vari fatti compiere dagli israeliani ai cristiani falangisti o compiuti in prima persona, non è invece successo nulla. Anzi, il suo responsabile, il generale israeliano Ariel Sharon e vari altri ufficiali dei servizi segreti e dello stato maggiore, è poi diventato capo del governo israeliano! Reputo grave che un popolo affidi il proprio governo a un soldataccio con le mani così lorde di sangue, ma sono affari del popolo israeliano. Che però a un certo punto ha prodotto persone capaci di autocritica e dolore come quella del regista Ariel Folman con il bel film Valzer con Bashir, mentre noi navigando in senso inverso abbiamo prodotto i Giuliano Ferrara, Paolo Guzzanti, ecc.
Insomma, il solito due pesi e due misure elevato all’ennesima potenza, che individua, descrive e misura il nostro abisso morale e la vera natura della nostra politica in Medio Oriente. Si noti che il massacro di Sabra e Chatila è stato reso possibile dal fatto che la Casa Bianca ha deciso di evacuare da Beirut con 15 giorni di anticipo i suoi militari fatti arrivare per proteggere la disgraziata e affamata popolazione civile dei campi profughi - una umanità tuttora dolente e in Libano priva di diritti civili - dai massacratori falangisti cristiani e dagli stessi militari israeliani che avevano invaso il Libano per schiacciare la Resistenza palestinese e far fuori anche Arafat. Insomma, gli Usa hanno la responsabilità di fatto di avere spianato la strada con il disco verde. Fermo restando che il tracollo morale dell’Occidente verso il mondo arabo e islamico è iniziato con la spedizione di Napoleone in Egitto ed è proseguito, fino a esplodere con il colonialismo inglese e francese per diventare il cancro che ancora ci consuma con la politica angloamericana in Medio Oriente dei nostri giorni. Nel passato recente, c’è da dire che come Londra ha la responsabilità delle tragedie etniche e territoriali dell’Iraq e dell’India/Pakistan, così Parigi ha la responsabilità del sistema politico confessionale che dilania il Libano da decenni anche con guerre civili perché i cosiddetti cristiani non vogliono assolutamente perdere il predominio assegnato loro dal colonialismo francese.
La sporcizia intellettuale, la disonestà politica e l’opportunismo voltagabbanesco di noi occidentali, e italiani in particolare,  è descritta alla perfezione dalla parabola dell’arcitaliano, come lui stesso si pregia definirsi, Giuliano Ferrara. E mi scuso se nomino un tale imbarazzante personaggio. Ferrara è passato dal prendere a pugni in diretta tv un direttore di orchestra che rifiutava di dedicare ai martiri di Sabra e Chatila il concerto in esecuzione in piazza a Torino all’organizzare a Roma l’Israele Day, e fin qui passi, ma poi anche l’ossequio ruffiano e conformista, se non anche leccacingoli, a qualunque eccesso e crimine dei dirigenti e militari israeliani. Insomma, un paladino tra la Oriana Fallaci e la Giovanna d’Arco dell’ultrasionismo arabofobo duro e puro. Non è cambiato solo Ferrara, cosa  che non frega niente a nessuno, ma anche gran parte di noi, sinistra compresa. Marco Travaglio, l’eroe dell’antiberlusconismo duro e puro, ha applaudito anche lui il massacro di Gaza definendo l’invasione israeliana negli stessi termini in cui di recente l’ha definita Berlusconi e prima di lui il voltagabbana Paolo Guzzanti e la colona ultrasionista arabofoba Fiamma Nirenstein, portata da Berlusconi in parlamento: una giusta risposta ad una aggressione.
A Beirut e in Libano ho fatto il giro di vari campi profughi e degli annessi luoghi delle varie stragi e massacri di palestinesi compiute dagli invasori israeliani e fiancheggiatori cristiani. Ne sono uscito abbastanza scosso. Anche perché il livello di vita degli oltre 400 mila profughi palestinesi, ammassati nei campi, è troppo spesso miserabile. Solo da poco tempo i palestinesi hanno acquisito il diritto al lavoro, ma solo dietro domanda al ministero del Lavoro e annessa autorizzazione. In ogni caso i palestiensi devono lavorare sotto padrone e NON possono svolgere professioni autonome come fare il medico, l’avvocato, l’ingegnere, ecc. Non credevo alle mie orecchie quando mi hanno detto che per comprare un televisore o un frigorifero i palestinesi devono avere l’autorizzazione dei servizi segreti libanesi. Il problema è che per evitare “l’inquinamento” di oltre 400 mila musulmani i cristiani non vogliono assolutamente che i palestinesi abbiano i diritti civili. Il lato comico, si fa per dire, è che i palestinesi NON vogliono diventare libanesi, non ci pensano neppure da lontano, ma restare palestinesi, però con diritti civili, in attesa del chimerico tornare a casa, cioè in Palestina.
Negli incontri, cui ho assistito e partecipato, tra personalità libanesi ed esponenti del Forum Palestina - che dal 2000 organizza ogni anno una visita di massa sui luoghi dei massacri grazie all’impegno del grande giornalista Stefano Chiarini, purtroppo scomparso poco tempo fa - sono venute fuori due buone notizie. Il capo del maggiore partito di governo, un Hariri cugino del capo del governo ucciso con 7 uomini della sua scorta  da non si sa ancora chi, si è impegnato a farci trovare per la visita dell’anno prossimo il pieno diritto dei palestinesi al lavoro, segno che l’opera di Charini - ricordato e amato da tutti i palestinesi e libanesi progressisti - e la credibilità del Forum Palestina sono notevoli. Walid Jumblat, il leader della minoranza drusa, progressita, s’è impegnato anche lui per la piena conquista dei diritti civili per i profughi palestinesi, ma ha avvertito che il processo sarà lento. Infine, Talal Salman, direttore ed editore del quotidiano Assafir, il più autorevole del Libano (non ha mai interrotto le pubblicazioni neppure durante la guerra civile), ha spiegato che secondo lui l’attacco all’Iran non ci sarà. Opinione ripetuta giorni dopo da Jumblat.
Sono stato tra l’altro a Kana, il paesino nel quale gli israeliani nel corso dell’ultima invasione del Libano hanno bombardato due palazzi con la scusa che “da lì sparavano contro i nostri soldati” facendo un massacro di civili, soprattutto bambini. Che quella israeliana fosse una scusa lo faceva intuire l’orribile frase di uno dei massimi comandanti militari - “Per ogni nostro caduto uccideremo cento di loro” - inferocito per l’imprevista resistenza opposta dalle milizie di Hetzbollah. In realtà, come è facile appurare andando a Kana, gli israeliani volevano uccidere i due comandanti militari di Hetzbollah che abitavano con le loro famiglie in quegli affollati palazzi, e per uccidere loro hanno massacrato decine di civili innocenti. Ne pubblico parte delle foto. Così come pubblico parte delle foto che mostrano le orrende condizioni di vita nei campi profughi palestinesi e come è ridotto ancora oggi il campo di Chatila. Non c’è bisogno di didascalie. Purtroppo. 
Il campo profughi di Sabra non è stato più ricostruito, tanto era stato ridotto a macerie e a montagne di cadaveri. Gli israeliani avevano chiuso in una morsa di acciaio i due campi respingendo indietro, mandandoli così a morire, i disgraziati terrorizzati che cercavano scampo fuggendo. Il regista di Valzer con Bashir racconta delle telefonate di militari di truppa come lui per avvertire Sharon che  “sta accadendo qualcosda di allarmante” della gelida risposta di Sharon: “La ringarzio della telefonata”. Della quale peraltro non aveva bisogno: è assodato che con il suo stato maggiore si godeva lo spettacolo del massacro osservandolo con il binocolo dai piani alti di un palazzone immediatamente fuori dal campo. C’è chi crede, anche tra gli israeliani, che forse è per questo che Dio lo ha ridotto in coma da anni, tronco umano che di umano ormai non ha neppure il poco che aveva prima, e non si decide a farlo spirare. No comment.
Per i morti delle Twin Tower è stato invaso l’Afganistan, poi anche l’Iraq. Per quelli del Kosovo è stato messo in moto e fatto funzionare il Tribunale Internazionale. Per Sharon e i massacratori di Sabra e Chatila non è successo nulla. Stefano Chiarini e altri erano riusciti a fare intervenire la giustizia del Belgio, che per i delitti contro l’umanità può intevenire ovunque, ma tutto è stato messo a tacere: Israele e gli Usa sono troppo potenti. Alcuni dei massacratori sono diventati ministri del Libano mentre altri campano comunque tranquilli. Almeno uno fa il taxista e ancora oggi si vanta di averne “sgozzati un sacco” e che il problema era “se stuprare le donne prima o lavorare subito di coltello o ascia”. Coltello o ascia? “Eh sì, perché gli israeliani ci avevano fornito di quelle armi per evitare che usando le armi da fuoco suscitassimo allarme e capissero anche fuori dal campo che era in corso un massacro. Però alla fine per sbrigarci abbiamo usato anche le rami da fuoco e gli epslosivi per cancellare la tracce”.
Che non sono cancellabili. Non negli animi degli esseri umani non accecati dall’odio e dal fanatismo.
Due pesi e due misure: una tenaglia che stritola la nostra morale. E la nostra credibilità.
Non è il caso di volere giustizia? Non vendetta: ma giustizia.
 

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