Tony Blair lo sapete chi è: diciamo che nel 2009, ha ricevuto anche lui il Dan David Prize da un milione di dollari, come Magdi Allam (che però il premio lo ha dovuto spartire con altri), Gianni Alemanno (a nome della città di Roma) e Giorgio Napolitano.
Il 5 ottobre, Tony Blair si è recato a Washington a parlare presso la sede del Washington Institute for Near East Policy (WINEP). Che non è certamente un organismo neutrale.[1]
E lì ha detto che “noi” – un pronome che ricorre in tutto il suo discorso – non siamo riusciti a sconfiggere la “narrazione” secondo cui i musulmani sarebbero stati oppressi dall’Occidente.
“Guardate ai fondi che riceve [questa narrazione]. Esaminate il sistema educativo che la alimenta. E poi misurate, nel corso degli anni, la pochezza della nostra controffensiva nel nome della pacifica coesistenza. We have been outspent, outmanoeuvred and out-strategised [hanno speso più di noi, manovrato meglio di noi e usato una strategia più efficace].”
E’ impossibile, ha concluso Blair, sconfiggere “l’estremismo” senza “sconfiggere la narrazione che lo alimenta”.
Ora, Tony Blair appartiene alla scuola furbesca di chi sostiene che la maggior parte dei musulmani siano brave persone, ci sarebbero solo pochi estremisti da battere. Con chi si sottomette, ci può essere una “pacifica coesistenza“, che è quanto sognava ogni padrone di piantagione.
Estremisti come gli shabab della Somalia, i ragazzotti sbandati che hanno compiuto gli attentati nella metropolitana di Londra o qualche barbuto che langue a Guantanamo da anni.
Gente capace, nell’immaginario mediatico, solo di fare facce bruttissime mentre bruciano bandiere americane.
E questi avrebbero vinto la guerra delle narrazioni perché hanno speso più soldi, manovrato meglio e usato una strategia più efficace di
- tutti i governi occidentali
- la NATO e tutti gli apparati militari del pianeta
- l’intero sistema telemediatico mondiale
- i regimi del Medio Oriente che sostengono quasi unanimamente la guerra contro “gli estremisti”
- la NATO e tutti gli apparati militari del pianeta
- l’intero sistema telemediatico mondiale
- i regimi del Medio Oriente che sostengono quasi unanimamente la guerra contro “gli estremisti”
Ma certo, ci sono gli “education systems that succour it“. Cioè i professori di storia del Medio Oriente o gli studiosi precari di letteratura iranica. I quali certamente hanno una narrazione opposta a quella di Blair, per il semplice fatto che ne sanno molto di più dell’ex-cantante degli Ugly Rumours, Anthony Charles Lynton Blair detto Tony.
Da laureato in lingue orientali, posso dire che è vero che la narrazione di Blair da quelle parti non passa, perché gli studenti si metterebbero a ridere. Ma sempre da laureato in lingue orientali, posso garantire che nella società, nei media, nella grande manipolazione dell’opinione pubblica, gli studiosi di lingue orientali non contano assolutamente nulla.
Tony Blair, quindi, dice il falso, un po’ per battere cassa – “guarda se non sganciate altri soldi, il nemico vincerà!” – ma soprattutto perché sono false le premesse di tutto il suo discorso.
Esiste una guerra delle potenze occidentali per impossessarsi delle risorse del mondo islamico; ma non si tratta solo di questo. C’è anche una guerra di narrazioni, come giustamente dice Blair. Non è una guerra astrattamente “contro l’Islam” e non è assolutamente una “crociata cristiana”, come affermano a volte alcune vittime di questa guerra.
Sul piano concreto, è la guerra che un sistema energivoro deve necessariamente condurre per aumentare la produzione, il consumo e il flusso delle merci; e che non si limita certamente a divorare musulmani, ma il pianeta intero.
Su un piano più metafisico, è la guerra tra il Dio della Mano Invisibile – il meccanismo para-darwiniano dell’individualismo concorrenziale – e lo spirito religioso stesso, che ovunque, tra mille svendite e manipolazioni, sostiene che siamo tutti mortali creature di Dio, responsabili gli uni verso gli altri e verso tutto il creato.
E’ una guerra per distruggere tutto il potenziale latente di resistenza che esiste nella visione islamica. Per distruggere lo spirito di solidarietà che sopravvive comunque a tredici secoli di compromessi con sultani e potenti: la castrazione dell’Islam, che Blair vorrebbe, è infatti già presente quasi agli esordi della fede.
La stessa distinzione tra “moderati” ed “estremisti” fa parte di questa guerra, che mira a neutralizzare il massimo numero possibile di nemici, mentre si annientano le possibili teste.
Chi nega questa guerra, mente di più di chi parla di scontro di civiltà o di inconciliabilità tra lo spirito occidentale e quello islamico. Geert Wilders e Oriana Fallaci mentono sulle modalità di questa guerra, ma non sulla sua realtà; Tony Blair mente su entrambe.
Nel blog di Giuseppe Pensabene Perez, c’è un’affermazione di quello che nell’Islam è veramente inconciliabile con il WINEP e con Tony Blair. Qualcosa che non riguarda affatto la lunghezza di copricapi femminili e nemmeno i passatempi dei ricchi sauditi.
Al-Faḫr al-Rāzī, teologo afghano morto nel 1209, commenta il versetto coranico del Tesoro (IX, 34): “Orbene a coloro che ammucchiano l’oro e l’argento e non lo spendono sulla via di Dio annuncia castigo cocente”:
“L’Altissimo ha creato i beni affinché vi si ricorresse per colmare le necessità: se l’uomo raggiunge la misura che soddisfa il suo fabbisogno e poi accumula averi in eccedenza rispetto ad esso, non ne trae beneficio poiché sono, per l’appunto, in eccedenza rispetto al proprio fabbisogno; in tal modo li interdice ad altri che proprio con essi potrebbero saziare le proprie necessità.
Se avesse avuto bisogno di consumarli allora non avrebbe potuto accumularli.
Sarebbe giusto, dunque, vietare a colui che non ne ha bisogno l’ardimento di interdire gli averi a colui che ne abbisogna.“
Nota
[1] Il Washington Institute for Near East Policy è stato fondato nel 1985 da Martin Indyk, un direttore di ricerche dell’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), la lobby dell’unica potenza nucleare del Medio Oriente presso il congresso degli Stati Uniti.
In pratica, il WINEP è il gemello dell’AIPAC, dedicato però a lavorare direttamente con il presidente degli Stati Uniti e non con il Congresso. Ne fanno parte persone come Daniel Pipes, il finanziatore di Geert Wilders; Richard Perle, uno dei principali responsabili della guerra all’Iraq; James Woolsey, ex-direttore della CIA; il miliardario Mortimer Zuckerman, uno speculatore edilizio ed editore che è stato anche presidente della Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations.
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