14 settembre 2013

Alcune radici del Socialismo con caratteristiche cinesi


Da Marx21,   di Francesco Maringiò*

Chinese-Dragon-at-Dusk(1) Qualsiasi discussione sul presente e sul futuro della Cina non può prescindere dal fondamentale contributo dato da questo paese alla lotta per il Socialismo.È interessante notare come nei primi 15 anni dalla nascita dell’URSS (1917-1932), ci siano state tre diverse “configurazioni” di Socialismo:a)    il Comunismo di Guerra (1918-1921), da Gramsci definito il “collettivismo della miseria”;b)    la Nuova Politica Economica (1921-1929), su impulso di Lenin;c)    la Collettivizzazione dell’agricoltura e la centralizzazione integrale dell’economia (1929-1932), su impulso del nuovo gruppo dirigente bolscevico, a seguito della morte di Lenin (1924).

Nessuna di queste fasi è stata indolore e, soprattutto, nessuna è stata la proiezione delle analisi dei classici del marxismo. Pertanto è del tutto legittimo che oggi ci siano nuovi esperimenti e che il gruppo dirigente cinese cerchi la sua strada per costruire il socialismo in un Paese orientale, arretrato tecnologicamente rispetto alla triade imperialista ed in cui vive un quarto della popolazione mondiale.(2) Quando il PCC prese il potere nel 1949 la Cina era uno dei Paesi più poveri al mondo, a seguito del lungo “secolo delle umiliazioni” (1839-1949) iniziato con la Prima Guerra dell’Oppio che diede vita a quel processo definito da Ken Pomeranz come “La Grande Divergenza”. Attraverso questo processo il mondo occidentale (segnatamente Europa Occidentale ed Usa) è inconfutabilmente emerso nel corso del XIX sec come la più potente e ricca civiltà mondiale, eclissando l’Oriente asiatico della Cina dei Qing, dell’India dei Moghul, del Giappone dei Tokugawa e dello stesso Impero Ottomano. Questa Grande Divergenza vede l’Europa in rapida ascesa utilizzando un processo di sviluppo che Adam Smith considerava “innaturale” (ossia basato prevalentemente sul commercio estero), mentre per l’Asia, dopo un percorso di sviluppo “naturale”, si avvia un profondo arretramento, a seguito della Guerra dell’Oppio e dell’inizio del periodo di colonizzazioni e guerre. Quindi, mentre per i Paesi europei diventa centrale combattere le guerre per controllare le rotte marittime e commerciali verso l’Oriente, per i governanti cinesi era centrale avere una politica di rapporti di buon vicinato con gli stati confinanti e di sviluppare il mercato interno per uniformare il proprio dominio sotto un’unica economia nazionale (cosa, questa, che li rende impreparati a fronteggiare le invasioni militari e coloniali che stanno per abbattersi sui loro mari e sul loro Paese).È interessante osservare come sin dall’era Ming e nella prima fase della dinastia Qing, i governanti cinesi facessero uso del mercato con l’obiettivo di arricchire la nazione. Chén Hóngmóu (1696-1771), filosofo ed influente ufficiale della dinastia Qing, già nel XVII sec insisteva a lungo sul ruolo dello Stato e sull’utilizzo del mercato come strumento di arricchimento della nazione.(3) Le riforme di Deng Xiaoping prendono le mosse dopo un periodo di caos e turbolenze e puntano ad individuare obiettivi di lavoro concreti capaci di portare il Paese fuori dalla condizione di pesante arretramento che stava vivendo. Infatti quanto il PCC prese il potere, si trovò a governare un paese profondamente arretrato. Compito principale del gruppo dirigente cinese fu quello di ridurre le disuguaglianze interne e, contemporaneamente, quelle tra la Cina ed i Paesi capitalisti più avanzati. Ma la lotta contro queste due disuguaglianze, molto spesso, non può essere fatta contemporaneamente. E se in una prima fase, soprattutto durante la Rivoluzione Culturale, il gruppo dirigente si è concentrato sulla riduzione delle disuguaglianze interne, è con la nuova politica di Riforma ed Apertura che si presta attenzione alla riduzione del divario tra la Cina ed i paesi capitalisti più sviluppati. Per fare questo, si attinge alla tradizione dell’amministrazione e del governo richiamata al punto (2) e si fa ricorso al mercato come elemento di dinamizzazione dell’economia, permettendo anche la nascita di un poderoso settore di economia privata. A bilanciare questo aspetto, rimane comunque il fatto che il potere politico resta saldamente nelle mani del PCC il quale compie una totale espropriazione politica della borghesia, ma non compie una totale espropriazione economica della stessa, al fine di non bloccare lo sviluppo delle forze produttive.Deng pose spesso l’accento sul fatto che il socialismo non significasse “socializzazione della miseria” ed il mercato non fosse prerogativa esclusiva del capitalismo: «pianificazione e forze di mercato non rappresentano l'essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c'è una pianificazione anche nel capitalismo; l'economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell'attività economica». [Deng Xiaoping, in: John Gittings, The Changing Face of China, Oxford University Press, 2005]Questo approccio ricorda molto quello avuto da Lenin con la NEP (Nuova Politica Economica) che introdusse l’idea della transizione come un lungo periodo che vede la compresenza nell’economia di piano e mercato. In questa nuova fase allo Stato socialista spetta il compito di controllare gli elementi chiave dell’economia, mentre al mercato gli si riconosce una funzione progressiva imprescindibile. Del resto lo stesso Marx dice che, nel passaggio dal capitalismo al socialismo, la proprietà dominante non è più quella capitalistica ma quella socialista, ma ciò non esclude che ci siano forme di proprietà privata. Il discrimine sta nel fatto che non è quella la proprietà che impronta di sé tutta la società.È indubbia l’influenza esercitata dalle riflessioni di Lenin sulla NEP nel pensiero di Deng ma, allo stesso tempo, credo valga la pena considerare l’importanza avuta anche dalla radicata tradizione dell’amministrazione e del governo del Paese, durante la fase di “sviluppo naturale” e prima richiamata nelle considerazioni dell’ufficiale Qing sull’uso del mercato come elemento di arricchimento della nazione. È per questa via che il nuovo corso cinese punta a combattere le due disuguaglianze: quelle interne ed il divario con i paesi capitalisti più sviluppati.(4) A determinare la natura capitalistica di un società non è quindi la presenza o meno del mercato in economia. È nel rapporto tra il potere dello stato e quello del capitale che va indagata la natura del carattere capitalistico dello sviluppo economico su basi di mercato: se lo stato non è subordinato all’interesse di classe dei capitalisti, allora l’economia di mercato mantiene un carattere non capitalistico. Ed è stato proprio il diverso modello di sviluppo economico tra l’Europa (“modello innaturale”) e l’Asia (“modello naturale”) e porre le basi per l’affermazione di differenti sistemi  economici e, nel primo caso, a porre le basi per lo sviluppo di un mercato capitalistico. Ed infatti, mentre in Europa l’identificazione tra interesse di classe ed interesse nazionale è stato molto forte, nella Cina dei Ming e dei Qing si è seguita una strada molto diversa. E così la società occidentale si è sviluppata ed organizzata sulla base dell’interesse immediato del capitalismo ad una accumulazione illimitata di capitale e potenza che l’ha portata a prediligere una continua corsa agli armamenti ed all’espansione militare. Caso emblematico è stata l’Inghilterra divenuta, a seguito delle esigenze del nascente capitalismo uno stato che è diventato il centro di un impero marittimo e territoriale mondiale, alla continua ricerca di mercati da dominare o materie prime di cui appropriarsi.Questo mancato intreccio tra militarismo, industrialismo e capitalismo nella Cina ha posto le basi per un diverso sviluppo economico, pur in presenza di un importante ruolo giocato dal mercato. Quello che è mancato -e tutt’ora manca- in questo Paese, che certo vive profonde contraddizioni e disuguaglianze che dovranno essere corrette in futuro, è una sovrapposizione tra l’interesse privato e quello dello Stato che, grazie al controllo rigido del suo sistema politico riesce ad esercitare un ruolo di guida ed indirizzo dell’economia in funzione di un arricchimento della nazione e quindi del suo sviluppo interno ed in relazione ai paesi capitalistici più avanzati.È in queste considerazioni che, a mio modesto avviso, vanno ricercate le radici culturali del sistema di pensiero che va sotto il nome di “socialismo con caratteristiche cinesi” e che rappresenta oggi un elemento importante di innovazione del marxismo del XX sec.Del resto, contrariamente a quanto pensava Lenin, il Novecento non ha visto la crisi generale e conclusiva del capitalismo con conseguente vittoria del socialismo, ma ha lasciato aperta la strada alla ricerca e costruzione di società “altre” dal capitalismo. La Cina popolare, figlia di questa ricerca, si configura oggi come una società dicotomica (non capitalista/non ancora socialista) in cui la prospettiva socialista può vincere solo se la contraddizione oggi presente fra elementi di socialismo e di capitalismo porta alla vittoria dei primi. Questo risultato, se ci sarà, non potrà che essere il frutto di un lungo processo storico (innescato da appena cinque decenni) che durerà alcuni secoli e pertanto, per cogliere il senso di questa “tappa iniziale della prima fase” di costruzione del socialismo, è necessario collocare l’’esperienza cinese in una fase storica molto ampia.FontiDomenico Losurdo, relazione al Seminario del Dipartimento Esteri del PdCI, Ancona, Giugno 2011Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, 2008Kenneth Pomeranz, The Great Divergence: China, Europe, and the Making of Modern World Economy, Princeton University Press, 2009William T. Rowe, Saving the World: Chen Hongmou and Elite Consciousness in Eighteen-Century China, Stanford University Press, 2001*Sintesi dell’intervento tenuto in occasione del Seminario internazionale: “La Cina nel 21° Secolo: Presente e Futuro”, realizzato al Parlamento Europeo a Bruxelles, il 6 e 7 Giugno 2013, su iniziativa della rete Correspondances Internationales, dalla Fondazione Gabriel Péri e dal Gruppo europeo GUE-NGL, che ha visto la presenza di dirigenti politici ed intellettuali da tutto il mondo e la partecipazione di una delegazione del Centro Studi sulle teorie sociali e filosofiche straniere del Partito Comunista Cinese.

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