"Un Nobel contro la Cina"
I falchi a Pechino temono un complotto occidentale dietro il premio per la pace dato al dissidente Liu Xiaobo | |
di Francesco Sisci
PECHINO -- L’ex cancelliere Helmut Kohl, l’altro candidato al premio Nobel per la pace, quello bocciato dall’accademia di Oslo, ha riunificato la Germania dopo mezzo secolo di separazione per la guerra fredda, ha iniziato il processo di consolidamento economico e politico dell’Unione europea, ha portato il popolo tedesco a emergere pacificamente nel mondo, lasciandosi alle spalle la sanguinosa eredità di due guerre mondiali. Invece cosa ha fatto Liu Xiaobo, il dissidente cinese che ieri ha vinto il Nobel, che 20 anni fa dopo il movimento di Tiananmen era una personalità di spicco, ma oggi è isolato?, si domandano intellettuali cinesi organici al partito. Questi sono anche le persone che 20 anni fa avevano conosciuto Liu Xiaobo in piazza e oggi temono complotti occidentali anticinesi molto di più che lo strapotere del PC. Anche allora, ai tempi del movimento, Liu non era il personaggio di maggior rilievo, quello con il più grande seguito. È però quello che è rimasto in Cina, non ha voluto andare all’estero. Tanta gente comune alza le spalle sulle questioni dei diritti umani, e si preoccupa solo di come mettere da parte i soldi per comprarsi la prima o la seconda casa, la prima o la seconda automobile. Allora perché dare il premio a Liu oggi invece che dieci anni fa, quando i diritti umani in Cina erano peggiori di oggi? Perché prima o dopo il premio a Sacharov i norvegesi non hanno premiato un cinese, vittima degli orrori della rivoluzione culturale? I tanti falchi nazionalisti del partito ne sono sicuri, il premio è arrivato oggi perché è in atto una cospirazione contro Pechino. La Cina è colpevole agli occhi dell’occidente di essere emersa troppo rapidamente con la sua economia, mentre l’occidente è impantanato in una crisi economica dai confini vaghi, e di avere una linea politica troppo indipendente. In effetti con il nobel a Liu Xiaobo, la Cina del 2010 viene messa nello stesso rango della Birmania del 1991, che ancora tiene in carcere la Aung An Suu Kyi, dell’URSS che deteneva nel 1975 Andrei Sacharov, o la Germania nazista che aveva rinchiuso in un campo di concentramento nel 1935 lo scrittore Carl von Ossietzky. I precedenti paiono incoerenti con la Pechino punteggiata di bar, neon, ristoranti, discoteche, ragazzi e ragazze che nelle notti inseguono relax e divertimento. Questo Nobel pare la fine di un periodo di tregua ininiziata con l’attentato alle torri gemelle di New York l’11 settembre del 2001. Da allora l’occidente aveva distolto la sua attenzione dalla Cina per concentrarsi sulla minaccia islamica, potentissima e reale con le migliaia di morti rovesciati nella capitale morale d’America. Oggi invece la minaccia islamica appare ridimensionata, sotto controllo e per certi versi non così grave. La guerra in Iraq è stata dichiarata finita, e anche quella infinita, e forse infinibile, dell’Afghanistan è stata messa in un angolo. Sono problemi locali, mal di testa, ma quattro etremisti esaltati non cambieranno gli equilibri mondiali. Invece a luglio la notizia che il prodotto interno lordo cinese aveva davvero sorpassato quello americano è un’altra cosa. Come la Cina oggi ha superato il Giappone domani potrebbe superare gli Usa. Questo ha riportato la Cina, e i suoi tanti problemi irrisolti, al centro dell’attenzione. In fondo l’occidente aveva già provato l’efficacia di un Nobel per la pace contro Pechino, dandolo nel 1990 al leader tibetano il Dalai Lama. Potrebbero essere tesi peregrine, ma al di là dei fantasmi cospiratorii dei non pochi nazionalisti cinesi, rimane il problema che la difficoltà e l’imbarazzo attuale della Cina sono raddoppiate a causa delle minacce lanciate nei giorni scorsi da Pechino contro Oslo. La Cina nei giorni scorsi infatti aveva tuonato contro la candidatura di Liu e aveva annunciato ritorsioni commerciali contro la Norvegia in caso di premio. Pechino oggi si è dimostrata debole perché aveva urlato contro Oslo e perché gli urli sono stati ignorati. Questa debolezza potrebbe versare nuova benzina sul fuoco nazionalista, e Pechino potrebbe ulteriormente irrigidirsi, per cercare di compensare con un atteggiamento di facciata allo smacco subito. Oppure potrebbe guidare un ripensamento profondo della gestione della politica estera. Pechino potrebbe capire che gli urli sono controproducenti in ogni caso, perché se qualcuno li ascolta non ne è persuaso ma solo intimorito e creano dissenso e un’immagine internazionale fosca del paese. Se gli ulti non li ascolta dimostrano debolezza. Il caso di Taiwan è lampante. L’isola si è allontanata fin tanto che Pechino minacciava, quando Pechino ha addolcito i toni, l’isola si è avvicinata. Se questo era il fine degli accademici di Oslo, allora sì probabilmente avranno ottenuto il loro scopo: il premio a Liu potrebbe essere una scossa profonda alla Cina. Ricchezza e potere della Cina rischiano di essere infangati da un gruppo di vecchi parrucconi di una città quasi ai confini del mondo se non qualcosa non si ripensa profondamente a Pechino. |
1 commento:
http://thenewvoice.wordpress.com/2010/10/12/the-2010-nobel-peace-prize-to-liu-xiaobo/#comments
Quasi 500 USD dalla NED, non c'e' affatto male per il tipo...
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