09 ottobre 2010

Ancora sul Nobel a Liu Xiaobo





"Un Nobel contro la Cina"



I falchi a Pechino temono un complotto occidentale dietro il premio per la pace dato al dissidente Liu Xiaobo
di Francesco Sisci

PECHINO -- L’ex cancelliere Helmut Kohl, l’altro candidato al premio Nobel per la pace, quello bocciato dall’accademia di Oslo, ha riunificato la Germania dopo mezzo secolo di separazione per la guerra fredda, ha iniziato il processo di consolidamento economico e politico dell’Unione europea, ha portato il popolo tedesco a emergere pacificamente nel mondo, lasciandosi alle spalle la sanguinosa eredità di due guerre mondiali.
Invece cosa ha fatto Liu Xiaobo, il dissidente cinese che ieri ha vinto il Nobel, che 20 anni fa dopo il movimento di Tiananmen era una personalità di spicco, ma oggi è isolato?, si domandano intellettuali cinesi organici al partito.
Questi sono anche le persone che 20 anni fa avevano conosciuto Liu Xiaobo in piazza e oggi temono complotti occidentali anticinesi molto di più che lo strapotere del PC. Anche allora, ai tempi del movimento, Liu non era il personaggio di maggior rilievo, quello con il più grande seguito. È però quello che è rimasto in Cina, non ha voluto andare all’estero.
Tanta gente comune alza le spalle sulle questioni dei diritti umani, e si preoccupa solo di come mettere da parte i soldi per comprarsi la prima o la seconda casa, la prima o la seconda automobile.
Allora perché dare il premio a Liu oggi invece che dieci anni fa, quando i diritti umani in Cina erano peggiori di oggi? Perché prima o dopo il premio a Sacharov i norvegesi non hanno premiato un cinese, vittima degli orrori della rivoluzione culturale?
I tanti falchi nazionalisti del partito ne sono sicuri, il premio è arrivato oggi perché è in atto una cospirazione contro Pechino. La Cina è colpevole agli occhi dell’occidente di essere emersa troppo rapidamente con la sua economia, mentre l’occidente è impantanato in una crisi economica dai confini vaghi,  e di avere una linea politica troppo indipendente.
In effetti con il nobel a Liu Xiaobo, la Cina del 2010 viene messa nello stesso rango della Birmania del 1991, che ancora tiene in carcere la Aung An Suu Kyi, dell’URSS che deteneva nel 1975 Andrei Sacharov, o la Germania nazista che aveva rinchiuso in un campo di concentramento nel 1935 lo scrittore Carl von Ossietzky. I precedenti paiono incoerenti con la Pechino punteggiata di bar, neon, ristoranti, discoteche, ragazzi e ragazze che nelle notti inseguono relax e divertimento.
Questo Nobel pare la fine di un periodo di tregua ininiziata con l’attentato alle torri gemelle di New York l’11 settembre del 2001. Da allora l’occidente aveva distolto la sua attenzione dalla Cina per concentrarsi sulla minaccia islamica, potentissima e reale con le migliaia di morti rovesciati nella capitale morale d’America.
Oggi invece la minaccia islamica appare ridimensionata, sotto controllo e per certi versi non così grave. La guerra in Iraq è stata dichiarata finita, e anche quella infinita, e forse infinibile, dell’Afghanistan è stata messa in un angolo. Sono problemi locali, mal di testa, ma quattro etremisti esaltati non cambieranno gli equilibri mondiali.
Invece a luglio la notizia che il prodotto interno lordo cinese aveva davvero sorpassato quello americano è un’altra cosa. Come la Cina oggi ha superato il Giappone domani potrebbe superare gli Usa. Questo ha riportato la Cina, e i suoi tanti problemi irrisolti, al centro dell’attenzione. In fondo l’occidente aveva già provato l’efficacia di un Nobel per la pace contro Pechino, dandolo nel 1990 al leader tibetano il Dalai Lama.
Potrebbero essere tesi peregrine, ma al di là dei fantasmi cospiratorii dei non pochi nazionalisti cinesi, rimane il problema che la difficoltà e l’imbarazzo attuale della Cina sono raddoppiate a causa delle minacce lanciate nei giorni scorsi da Pechino contro Oslo. La Cina nei giorni scorsi infatti aveva tuonato contro la candidatura di Liu e aveva annunciato ritorsioni commerciali contro la Norvegia in caso di premio. Pechino oggi si è dimostrata debole perché aveva urlato contro Oslo e perché gli urli sono stati ignorati.
Questa debolezza potrebbe versare nuova benzina sul fuoco nazionalista, e Pechino potrebbe ulteriormente irrigidirsi, per cercare di compensare con un atteggiamento di facciata allo smacco subito. Oppure potrebbe guidare un ripensamento profondo della gestione della politica estera.
Pechino potrebbe capire che gli urli sono controproducenti in ogni caso, perché se qualcuno li ascolta non ne è persuaso ma solo intimorito e creano dissenso e un’immagine internazionale fosca del paese. Se gli ulti non li ascolta dimostrano debolezza. Il caso di Taiwan è lampante. L’isola si è allontanata fin tanto che Pechino minacciava, quando Pechino ha addolcito i toni, l’isola si è avvicinata.
Se questo era il fine degli accademici di Oslo, allora sì probabilmente avranno ottenuto il loro scopo: il premio a Liu potrebbe essere una scossa profonda alla Cina. Ricchezza e potere della Cina rischiano di essere infangati da un gruppo di vecchi parrucconi di una città quasi ai confini del mondo se non qualcosa non si ripensa profondamente a Pechino.






Silvia Baraldini e Liu Xiaobo (da Medioevo Sociale)

Il Presidente Obama "intima" alla Cina la immediata scarcerazione di Liu Xiaobo l'indomani del conferimento del premio Nobel per la Pace. Liù Hiaobo è una delle figure più significative di Tien An Men ed è diventato nel corso degli anni una vera propria icona dell'Occidente come la Betancourt, la signora birmana San Suu Kui, Neda e poi Sakineh,
il Dalai Lama ed i suoi monaci che vogliono tornare al potere in Tibet, ed altre figure ancora che servono ad attizzare odio verso paesi o regimi mal sopportati dagli Usa.
Io sono per la difesa dei diritti civili ed umani, ma per la loro universale applicazione. Non si può combattere per i diritti soltanto in determinate direzioni e soltanto contro certe realtà ma dappertutto ed in tutte le circostanze. I diritti civili ed umani non debbono essere strumentalizzati per umiliare le nazioni che si vogliono mettere in difficoltà o legare alla colonna infame dell'obbrobrio, della riprovazione generale.
Ricordo che gli USA non hanno le carte in regola per contestare alla Cina o all'Iran o ad altri comportamenti lesivi dei diritti umani. La nostra connazionale Silvia Baraldini è stata tenuta prigioniera negli USA per circa venti anni, detenuta in diverse prigioni e sottoposta a regime durissimo ed a torture per periodi prolungati di tempo. Non aveva mai commesso alcun delitto, alcun fatto di sangue: era attivista ed ideologa dei diritti degli afroamericani, diritti negati tuttora dal momento che la stragrande maggioranza dei tre milioni di detenuti americani sono neri e vengono utilizzati per lavori coatti appaltati da privati. E' vero che il Presidente degli USA è nero ma la sua elezione ha portato lustro soltanto alla parte alto borghese e non a tutti i neri. Obama è nero ma la sua politica e la sua ideologia sono wasp del tutto bianche e delle tradizioni più intransigenti del capitalismo.
Silvia Baraldini è stata detenuta dal 1983 al 1999. Fu estradata in Italia con l'impegno del nostro Governo di farle completare i 43 anni di detenzione alla quale era stata condannata dal tribunale americano. Gli USA hanno cercato di fare impazzire Silvia Baraldini.
"La censura operata sulla sua posta, la durissima restrizione nei rapporti con l’esterno, con i propri parenti, compresa l’anziana madre, sono nulla se paragonati alle vere e proprie torture che subisce: per tre mesi consecutivi le applicano l’interruzione costante del sonno. La svegliano ogni 20 minuti. La guardia arriva, apre la porta e le punta sul viso un fascio di luce con la propria torcia. Se non si sveglia, fa chiasso e fa in modo che il suo debole dormiveglia venga sempre sistematicamente interrotto. Al contempo la deprivano della luce, le impediscono di riconoscere i colori, la circondano di un alone separatorio con tutto ciò che può essere il contatto mentale tra la realtà e la cella."


Attualmente molti prigionieri politici privi di ogni diritto perchè etichettati come "terroristi" sono detenuti a Guantanamo ed in altre carceri segrete sparse per il mondo. Sottoposti a torture di vario genere a cominciare di quella famigerata detta waterboarding.
Subiscono umiliazioni allo scopo di piegarne l'autostima e di ridurli alla sottomissione totale. Non sono assistiti da legali e non hanno rapporti con la famiglie. Quando vengono
liberati si trovano sdradicati e sospesi nel vuoto dal momento che tutti rifiutano di riceverli
appunto perchè criminalizzati e circondati di una sinistra fama. Anche se liberi saranno civilmente morti.
Non abbiamo mai sentito la voce di un detenuto di Guantanamo e mai la sentiremo. E' come se fossero morti anche se continuano a vivere sotto la stretta sorveglianza di militari che spesso si comportano con sadismo, senza un briciolo di umanità.
Pietro Ancona
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http://it.wikipedia.org/wiki/Silvia_Baraldini
http://www.donvitaliano.it/?p=265


INOLTRE SULL'ARGOMENTO SI E' ESPRESSO, COME SEMPRE MIRABILMENTE, DOMENICO LOSURDO (CLICCARE SU QUESTO LINK).

1 commento:

Lente sulla Cina ha detto...

http://thenewvoice.wordpress.com/2010/10/12/the-2010-nobel-peace-prize-to-liu-xiaobo/#comments

Quasi 500 USD dalla NED, non c'e' affatto male per il tipo...